Torna l’elisir d’amore al Teatro La Fenice

L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti

Venerdì 6 luglio alle ore 19.00 (fuori abbonamento), ottavo appuntamento operistico della Stagione lirica 2012 – 2013, andrà in scena al Teatro La Fenice L’elisir d’amore, melodramma giocoso in due atti di Gaetano Donizetti su libretto di Felice Romani, in una ripresa del fortunato allestimento firmato da Bepi Morassi (regia), Gianmaurizio Fercioni (scene e costumi) e Vilmo Furian (luci).
Omer Meir Wellber dirigerà l’Orchestra e il Coro del Teatro La Fenice (maestro del Coro Claudio Marino Moretti) e il cast che comprenderà Désirée Rancatore nel ruolo di Adina, Celso Albelo in quello di Nemorino, Alessandro Luongo in quello di Belcore, Elia Fabbian in quello del dottor Dulcamara e Oriana Kurteshi in quello di Giannetta.
La prima di venerdì 6 luglio 2012 alle ore 19 .00, fuori abbonamento, sarà seguita da quattro repliche: domenica 8 luglio ore 17.00 (turno B), mercoledì 11, venerdì 13 e domenica 15 luglio, tutte alle ore 19.00 e fuori abbonamento.

Presentato il 12 maggio 1832 al Teatro alla Canobbiana di Milano, il melodramma giocoso L’elisir d’amore segnò la definitiva consacrazione di Donizetti in quella piazza che, nonostante il lusinghiero trionfo di Anna Bolena (Teatro Carcano, 26 dicembre 1830), non gli aveva risparmiato critiche e incomprensioni per Ugo conte di Parigi (Teatro alla Scala, 13 marzo 1832). Proprio in quanto abituato agli alti e bassi milanesi, Donizetti si dimostrò titubante di fronte al felice esito della prima dell’Elisir, esprimendo la propria incredulità al suo mèntore e maestro Giovanni Simone Mayr ed arrendendosi all’evidenza dell’ormai conquistata stima dei milanesi solo dopo qualche tempo.
Già coinvolto in una contrapposizione al partito belliniano che lo aveva visto nel fastidioso ruolo del ‘perdente’, Donizetti contava comunque caldi estimatori nel capoluogo lombardo, fra i quali Alessandro Lanari, impresario del Teatro alla Canobbiana, ancora oggi ricordato – insieme ai vari Barbaja, Merelli, Jacovacci – come una delle personalità più importanti nella promozione del melodramma ottocentesco italiano. Fu proprio Lanari a cercare Donizetti, presente a Milano per Ugo conte di Parigi, e a proporgli di collaborare con il medesimo librettista, ma su un lavoro comico. Il librettista, già allora salutato come il più colto e fine in attività, era Felice Romani, che
con L’elisir d’amore avrebbe fornito uno dei propri saggi più riusciti e che già aveva al suo attivo titoli quali i rossiniani Il turco in Italia e Bianca e Falliero o i belliniani I Capuleti e Montecchi, Il pirata, La straniera e La sonnambula. Per la fretta, Romani attinse direttamente, e dichiaratamente, al libretto francese Le philtre (1831) di Eugène Scribe (musicato da Auber) che, per giudizio
universalmente condiviso, ne venne non poco migliorato. Per quanto pesasse l’urgenza dei tempi di lavoro, sembra comunque priva di fondamento la leggenda secondo la quale Donizetti compose la partitura in soli quindici giorni, come del resto lascia intuire la singolare raffinatezza della strumentazione.
Il fiuto di Lanari non venne smentito, e fin dalla prima L’elisir d’amore è divenuto un classico dell’opera ottocentesca. Un classico, in verità, un po’ atipico, giacché non condivide con la stragrande maggioranza delle grandi opere d’epoca romantica l’appartenenza al genere serio. Per contro è interessante evidenziare che nemmeno le coordinate della tradizionale opera comica sono in grado di renderne conto appieno, e che il sottotitolo «melodramma giocoso» non corrisponde perfettamente ai concreti contenuti della trama ed ai caratteri espressivi della musica. Più correttamente L’elisir d’amore sarebbe infatti da ascrivere a quel genere intermedio, via via definito
come «opera semiseria» o «comédie larmoyante», che dalla seconda metà del Settecento fino all’Ottocento inoltrato – con titoli quali Cecchina o sia La buona figliola, Nina pazza per amore, La gazza ladra – si era fatto principale veicolo d’identificazione borghese, ponendo in primo piano la serietà del contenuto sentimentale, inteso come edificante strumento di commozione.
Con l’eccezione del ciarlatano Dulcamara, che fin dallo ‘sdottoreggiante’ e verboso esordio in versi sdruccioli appare in tutto e per tutto riconducibile alla categoria del basso buffo settecentesco, l’assimilazione di toni sentimentali consentì a Donizetti e Romani un’umanizzazione dei caratteri, da intendersi come superamento delle tipologie settecentesche ancora ben presenti al pubblico italiano grazie alla circolazione dei capolavori comici di Rossini. Emblematici della diversa opzione donizettiana sono la malinconica aria conclusiva di Adina «Prendi, per me sei libero» ed il canto spianato che caratterizza il ruolo di Nemorino come tenore di grazia, circa il quale è forse superfluo rammentare il più celebre brano dell’opera, il cantabile «Una furtiva
lacrima».