Ravenna

LA DIVINA COMMEDIA: 2017-2021

commissione di Ravenna Festival

in coproduzione con Teatro Alighieri, Ravenna Teatro-Teatro delle Albe

un progetto di Marco Martinelli e Ermanna Montanari

La sfida della Commedia

di Marco Martinelli e Ermanna Montanari

INFERNO estate 2017

PURGATORIO estate 2019

PARADISO estate 2021

ideazione, direzione artistica e regia Marco Martinelli e Ermanna Montanari

in scena Ermanna Montanari, Marco Martinelli,

Luigi Dadina, Alessandro Argnani, Roberto Magnani,

Michela Marangoni, Laura Redaelli,

Alessandro Renda, Massimiliano Rassu

musiche Luigi Ceccarelli

scene Edoardo Sanchi

fonico Marco Olivieri

Vorremmo partire con le parole e l’italiano settecentesco di Giambattista Brocchi, che nelle sue Lettere sopra Dante, 1797, scrive: “Io non dubito che Dante si sarebbe alzato al paro di Eschilo o di Shakespeare se ai tempi suoi fosse stata in voga in Italia l’arte del teatro e ch’egli l’avesse voluta coltivare.”

Partiamo da qui perché concordiamo con l’erudito veneziano, e ne raccogliamo l’ implicita sfida: trasformare in teatro il capolavoro che ha dato origine alla lingua e alla letteratura italiana. Già altri hanno tentato: noi pensiamo che non si tratti di rivestire di immagini sceniche i canti danteschi, quanto di estrarne l’intima “natura” teatrale.

Dante si è veramente “alzato al paro di Eschilo e di Shakespeare”, e i suoi 14.233 endecasillabi ripartiti in terzine sono uno stupefacente congegno teatrale. La parola “teatron”, che significa “visione”, racchiude proprio quella che l’autore definisce “mirabile visione”, mirabile teatro quindi, capace di accogliere nel suo campo visivo l’umanità intera nelle sue molteplici esperienze, dal basso osceno e sanguinante dell’Inferno al trascolorare malinconico del Purgatorio, per ascendere infine là dove visione e parola si trasmutano nell’indicibile Paradiso.

È una sfida che culliamo dall’adolescenza, da quando, nella stessa aula scolastica del liceo Dante Alighieri di Ravenna, ascoltavamo per la prima volta la musica di quei versi. Questo è il nostro intento: misurarci con quella poesia vertiginosa senza tradirla e senza rimanerne schiacciati. Prendere sul serio l’intento dell’autore, sicuramente anacronistico e presuntuoso rispetto ai nostri tempi, quando dice che scopo del suo poema è addirittura quello di dare la “felicità” al lettore. Così descrive il suo obiettivo nell’Epistola XIII a Cangrande della Scala:

“… liberare i viventi in questa vita dallo stato di miseria e condurli alla felicità.”

Siamo così abituati a sentire e risentire i versi danteschi in mille letture, che il carattere sulfureo, incendiario di quei versi ci passa spesso sulla pelle senza toccarci: “l’abitudine è una gran sordina”, come sottolinea un poeta novecentesco amante della Commedia, Samuel Beckett. Dante è invece “dannatamente” serio quando dice, a se stesso e a noi, che in gioco è l’umana salvezza. L’orizzonte primo di Dante sono i Vangeli e la rivelazione cristiana: sradicarlo da questa matrice condanna a non intendere i sensi riposti di questo viaggio. Non è necessario essere credenti, per “capire” Dante: così come è importante tener presente la modernità di un autore, punta avanzata del suo tempo, che si apre audacemente alle visioni del mondo non strettamente cattoliche, come l’Islam, e al rispetto della modernitas della scienza, facendo dialogare tra loro la cultura pagana e la fede, la filosofia e la teologia.

Ma occorre essere consapevoli che il suo “fuoco centrale” è fondamentalmente cristologico. Un Cristo-Beatrice, sorprendente.

Questa presa di posizione sul piano filosofico e sapienziale non è disincarnata dall’essere “politico” del nostro autore: il poema è insieme religioso e politico. L’universo dantesco non tollera divisioni: è un umanesimo integrale, un “trasumanar” quello con cui ci provoca a distanza di sette secoli. In un’Italia dilaniata dalla corruzione, “serva Italia”, il grido di quest’uomo in esilio, in un’epoca segnata da faide partitiche e vendette sanguinose, condannato proprio con l’accusa di “barattiere”, suona di una sempre più bruciante contemporaneità. E per quanto radicato nel medioevo italiano e nella fede che ha costruito le cattedrali, il poema parla all’intera umanità e alle culture più lontane: basti pensare alle analisi raffinatissime di Michio Fujitani, studioso giapponese, che ha proposto una suggestiva rilettura del poema alla luce del buddismo e della cultura dell’Estremo Oriente, in cui i diavoli dell’inferno sono anch’esse figure-guida, “aiutanti”, perché a loro modo aiutano Dante a prendere consapevolezza del proprio “inferno” interiore.

La nostra Divina Commedia si articolerà per tappe nelle programmazioni del Ravenna Festival: estate 2017 INFERNO, estate 2019 PURGATORIO, estate 2021 PARADISO.

Una leggenda medievale che iniziò a circolare subito dopo la diffusione del poema sosteneva che avremmo compreso la Commedia dopo sette secoli: quanti ne sono passati dalla sua morte a Ravenna, il 14 settembre 1321.

Chiamata pubblica per La Divina Commedia

In occasione di Inferno, prima parte del progetto La Divina Commedia: 2017-2021 di Marco Martinelli e Ermanna Montanari (commissionato da Ravenna Festival), Ravenna Teatro chiede a tutti i cittadini, senza limiti di numero, età, lingua o preparazione specifica, di partecipare alla realizzazione della messa in scena facendo parte del coro o delle attività a latere. L’apertura del “Cantiere Dante” è il 6 dicembre.

Inferno – 34 repliche al Ravenna Festival dal 25 maggio 2017 – potrebbe diventare il lavoro più complesso e articolato mai concepito dal Teatro delle Albe. E per realizzarlo Marco Martinelli e Ermanna Montanari chiedono l’apporto della loro città, Ravenna. «La chiave prima con cui tradurremo in termini scenici il “trasumanar” dantesco – spiegano i due fondatori delle Albe – è pensare l’opera in termini di sacra rappresentazione medievale». Non si costruiscono edifici teatrali nell’epoca di Dante, ma tutta la città è un palcoscenico, dalle chiese alle piazze: e nei “misteri” i giullari professionisti vengono affiancati da centinaia di cittadini in veste di “figuranti”, mentre altri cittadini pensano a costruire le scene, i costumi, le luci. È una città intera che si mette in scena, e mette in scena la propria visione civile e filosofica.

Partendo dunque dal modello del teatro medievale – che ha influenzato nei secoli altri modelli teatrali, come quello della rivoluzione russa del poeta Majakovskji e del regista Meyerchol’d – a partire dal 6 dicembre (data del primo degli incontri di preparazione al progetto) – si aprirà in città un “Cantiere Dante”, rivolto a tutti cittadini che vorranno partecipare a Inferno, un grande “laboratorio” che vedrà i cittadini impegnati con mansioni e livelli diversi di partecipazione alla creazione: canto, danza e movimento, recitazione corale, costruzione di scene e costumi, arti visive. Poi, in gennaio, ci sarà un primo incontro illustrativo e organizzativo con tutti coloro che fino a quel momento si saranno presentati alla chiamata, che comunque sarà valida fino alla primavera del 2017.

CANTIERE DANTE

Incontri di preparazione a La Divina Commedia

Questi incontri di approfondimento sulla Commedia e sul teatro costituiscono la prima tappa della “chiamata pubblica”. Gli incontri sono a ingresso libero e si terranno al teatro Rasi alle ore 20.30.

martedì 6 dicembre

Dante e la Commedia

Sebastiana Nobili, docente di Letteratura teatrale italiana, Università di Bologna (sede di Ravenna); Giuseppe Ledda, docente di Filologia dantesca, Università di Bologna; Marco Veglia, docente di Letteratura italiana medievale, Università di Bologna.

sabato 17 dicembre

Il teatro, il sacro

Marco De Marinis, docente di Discipline teatrali al Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna; Lorenzo Mango, docente di Storia del teatro moderno e contemporaneo all’Università degli studi di Napoli L’Orientale; Luigi Allegri, docente di Storia del teatro e dello spettacolo e direttore del Dipartimento di Lettere, arti, storia e società dell’Università di Parma

mercoledì 21 dicembre

Il mio Dante

Ivan Simonini, presidente delle Edizioni del Girasole, Elisabetta Gulli Grigioni studiosa di iconografia popolare, Franco Gabici presidente della Società Dante Alighieri di Ravenna; Emanuela Mambelli, docente di Italiano e Storia presso l’I.T.G. “Camillo Morigia” di Ravenna e coordinatrice del progetto “Dante in rete”.

L’organizzazione è a cura di Ravenna Teatro.

Per informazioni su come partecipare al Cantiere Dante: tel. 0544 36239, cantieredante@ravennateatro.com, ravennateatro.com

La sede di Ravenna Teatro è il teatro Rasi in via di Roma 39 a Ravenna, uffici aperti al pubblico da lunedì a venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18.

Che cosa fu ideato? Rifare tutto. Fare in modo che tutto diventi nuovo; che la nostra falsa, sporca, tediosa, mostruosa vita diventi una vita giusta, pulita, allegra, bellissima.

Aleksander Blok

La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene un giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno di lei.

Albert Camus

Se i popoli si accorgessero del loro bisogno di bellezza, scoppierebbe la rivoluzione.

James Hillman

1917. Quei dieci giorni che sconvolsero il mondo

Dopo aver esplorato il tema della Grande Guerra, il Festival quest’anno rimanda a un altro formidabile evento storico, dopo il quale, analogamente al primo conflitto mondiale, il mondo non fu più lo stesso. Nell’ottobre del 1917 a Pietrogrado, l’attuale San Pietroburgo, l’insurrezione iniziata in febbraio portò alla caduta dell’Impero Russo degli zar e alla presa del potere, attraverso la formazione di un governo rivoluzionario, dei bolscevichi guidati da Lenin e Lev Trockij. Furono “I dieci giorni che sconvolsero il mondo” appassionatamente descritti da quel testimone d’eccezione che fu il giornalista americano John Reed. Anche in questo caso si è trattato del crollo di un vecchio mondo, grazie all’imporsi travolgente di una nuova religione politica, quasi messianico avvento, prima della sua epifania totalitaria. Nel nostro immaginario questa è la Rivoluzione per eccellenza, la sovversione radicale di modi di pensare e della stessa quotidianità, che sprigionò energie troppo a lungo represse, creando illusioni e speranze. Fu l’euforia che cedette il passo fin troppo rapidamente alla disillusione e ai decenni plumbei e tragici dello stalinismo e del totalitarismo sovietico.

Nota artistica

“Vittoria sul sole”

Lasciatoci alle spalle quello che è stato il “secolo delle ideologie”, possiamo con sguardo disincantato e senza nostalgie indagare e rievocare quell’esplosione creativa che vide il mondo delle arti partecipare in prima fila alla Rivoluzione. Le arti stesse sperimentarono una rivoluzione, sia formale, di linguaggio e contenuti, che di “uso” e comunicazione, mettendosi al servizio di quella propaganda che trovò proprio nella Rivoluzione Russa il più straordinario luogo in cui inventarsi affinando tecniche che giungono fino ai nostri giorni. Musica, teatro, poesia, arti figurative, cinema vissero un’irripetibile stagione di trasformazione, grazie a individualità geniali e potenti, come Mosolov, Lourié, Mejerchol’d, Majakovskij, Esenin, Blok, Chlebnikov, Malevicˇ, El Lissitzky, Goncharova, Vertov, Eisenstein. Fu un gigantesco laboratorio che grazie all’incontro tra linguaggi artistici diversi elaborò la grammatica della modernità, per come oggi la conosciamo e pratichiamo. Anche artisti di generazioni immediatamente successive – come Prokof’ev e Šostakovicˇ nella musica e poetesse e poeti come Achmatova e Cvetaeva, Mandel’stam, Pasternak – furono plasmati dalla rivoluzione e ne patirono sulla propria pelle, in alcuni casi particolarmente tragici, ferite profonde durante quello che Osip Mandel’stam ha icasticamente definito “epoca dei lupi”.

Ed è proprio il lacerante rapporto tra intellettuale e potere uno dei temi del Festival, che trova nella vicenda umana e artistica di Šostakovicˇ il caso, esemplare se pur controverso, più universalmente noto e dibattuto. Da qui il titolo di questa XXVIII edizione “Il rumore del tempo”, grazie al romanzo dello scrittore inglese Julian Barnes, incentrato proprio sul compositore russo; non solo però: questo è anche il titolo di una raccolta di prose brevi di Mandel’stam.

“Non è di me che voglio parlare: voglio piuttosto seguire l’epoca, il rumore e il germogliare del tempo. […] Ci sono generazioni fortunate in cui l’epos si esprime in forma di esametri e di cronache. Al posto di questo, nel caso mio, c’è un segno di discontinuità, e tra me e la mia epoca si apre un abisso, un baratro riempito dal tempo che rumoreggia…”

Il Dmitrij Šostakovicˇ del romanzo di Barnes ha già riscosso straordinari successi in patria e in mezzo mondo allorché il compagno Stalin in persona (ritratto da Mandel’stam in quei versi che lo condannarono a morte certa ancorché sadicamente differita come “il montanaro del Cremlino, l’assassino, lo sbaraglia-mugicchi”) emette – è il 28 gennaio 1936 – l’inappellabile condanna: la sua non è musica, è solo caos. Da quel momento la vita del “nemico del popolo” Šostakovicˇ non è che una foglia al vento e la sua anima assediata dalla paura è il campo di battaglia fra codardia ed eroismo. Nella speranza che la sua arte sappia resistere al rumore del tempo.

Questa parabola, dalla vittoriosa Rivoluzione d’Ottobre all’“epoca dei lupi” del grande terrore stalinista, è ripercorsa nel programma del Festival. A partire dal grande “cuneo rosso” del pianoforte nella rivoluzione, evocato da Daniele Lombardi pensando a El Lissitzky, e dalla “Vittoria sul sole”, opera di due “agimenti” e 6 quadri di Aleksej Krucˇënych, con musica di Mihail V. Matjusin e scene e costumi di Kazimir S. Malevicˇ, oltre a un prologo in neolingua zaum di Velimir Chlebnikov, capolavoro del futurismo russo che pur essendo del 1913 compendia efficacemente quella che sarà l’audace estetica della Rivoluzione. Fino a giungere al grande concerto interamente dedicato a Šostakovicˇ dalla Filarmonica di San Pietroburgo – la leggendaria orchestra della Leningrado del grande, terribile assedio nel corso del quale venne composta e poi eroicamente eseguita la Settima Sinfonia – diretta da Yuri Temirkanov nell’appunto celebre Sinfonia n. 7 Leningrado e nel concerto per pianoforte, tromba e orchestra n. 1, al pianoforte Denis Matsuev.

Ma la grande “anima russa” riuscì miracolosamente a preservare la proprio spiritualità, così duramente messa alla prova, ma capace di covare come la brace sotto cumuli di cenere. Anche questo fondamentale aspetto trova eco nel programma del Festival grazie al ritorno del Coro del Patriarcato di Mosca diretto da Anatolij Grindenko e all’omaggio al grande regista Andrej Tarkovskij, “distribuito” in due concerti: quello proposto dal Duo Gazzana (con musiche di Johann Sebastian Bach, Valentin Silvestrov e Arvo Pärt) e quello che vede protagonisti il direttore Leonard Slatkin con l’Orchestra National de Lyon e la straordinaria violinista Anne-Sophie Mutter, per la prima volta a Ravenna Festival, con l’esecuzione di “Nostalghia” di To ̄ru Takemitsu. Come ha scritto Tarkovskij “L’arte esiste e si afferma là dove esiste quell’eterna e insaziabile nostalgia della spiritualità, dell’ideale, che raccoglie gli uomini attorno all’arte”. Pensava che per mezzo del cinema bisognasse “porre i problemi più complessi del mondo moderno, al livello di quei grandi problemi che nel corso dei secoli sono stati l’oggetto della letteratura, della musica e della pittura”. Questa è la missione, non consolatoria o meramente edonistica, dell’arte.

Il principale nucleo tematico rivoluzionario viene approfondito attraverso una produzione commissionata a una giovane compagnia teatrale ravennate. Con “1917” ErosAntEros intona un canto per ridare vita alle parole e alle musiche di coloro che hanno vissuto e cantato la Rivoluzione Russa, restituendo la sorpresa e la gioia dell’avvento di un tempo nuovo. Le musiche dal vivo, che avranno un ruolo di primo piano nello spettacolo e saranno eseguite dal giovane ma valentissimo Quartetto Noûs, sono tratte da una delle opere più amare e violente – per visceralità espressionista – di Šostakovicˇ, il Quartetto n. 8 (ufficialmente dedicato “alle vittime del fascismo e della guerra” ma suscettibile di una lettura in chiave autobiografica).

Ravenna Festival per Dante

Dante è sempre, ed è sempre stato, al centro delle tematiche affrontate da Ravenna Festival. Dal 2015 il cammino dantesco del Festival ha subito un’accelerazione, che a partire dal ricordo dei 750 anni dalla nascita del Poeta – celebrati con un’intera edizione sotto il segno de L’amor che move il sole e l’altre stelle – mira al 2021, quando ricorrerà il settimo centenario dalla morte.

Il coinvolgimento – dei giovani, dei non professionisti, della cittadinanza tutta – è il tratto che accomuna questi progetti e trasforma l’omaggio al Poeta del Festival 2017 in un laboratorio diffuso all’insegna della partecipazione e riscoperta di quel patrimonio condiviso che è l’opera di Dante.

Proprio la valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale legato al poeta – e alla città – è l’obiettivo del bando “Giovani artisti per Dante”, che si rivolge alla nuova generazione di creativi e appassionati di Dante (la maggioranza dei componenti del gruppo deve avere meno di 30 anni), chiamata ad applicare tutti i linguaggi performativi nel progettare spettacoli di breve durata destinati ad animare i Chiostri Francescani accanto alla Tomba del Poeta (tutte le mattine alle 11 dal 25 maggio al 2 luglio).

Olivier Dubois, direttore del Centre Chorégraphique National de Roubaix / Ballet du Nord, torna invece al Festival con “Les mémoires d’un seigneur”, una creazione che – attraverso l’incontro sul palco fra un solo danzatore (il prediletto Sébastien Perrault) e 40 non professionisti selezionati in un workshop – esplora le nozioni del potere e della tentazione, trasformandosi in un caravaggesco ritratto d’inferno. Nel “signore” di Dubois si riflette un’intera civiltà, indagata tanto nella solitudine del protagonista quanto nella massa dei corpi in movimento, vera e propria materia prima e “scena vivente” della coreografia, allo stesso modo in cui il viaggio di Dante è un viaggio umano e universale. Il racconto in tre parti de Les Mémoires – quasi un’epica della solitudine che si dipana fra lotte e trionfi in tre “epoche”: La Gloria, La Caduta, L’Addio – si presta così a prologo di un progetto dedicato alla Divina Commedia che impreziosirà con la firma di Dubois il percorso del Festival verso il 2021.

E se gli spettacoli di “Giovani artisti per Dante” rinnoveranno ogni mattina l’incontro con il Poeta, l’appuntamento quotidiano si raddoppia con i 34 giorni di “Inferno” (tutti i giorni dal 25 maggio al 2 luglio, tranne il lunedì, alle 20).

In un Teatro Rasi completamente trasfigurato, il primo capitolo del nuovo progetto di Marco Martinelli e Ermanna Montanari guiderà gli spettatori nei paesaggi infernali alla scoperta della “intima ‘natura’ teatrale” – nelle parole degli autori – della Commedia, i cui “14.233 endecasillabi ripartiti in terzine sono uno stupefacente congegno teatrale (…) capace di accogliere nel suo campo visivo l’umanità intera nelle sue molteplici esperienze, dal basso osceno e sanguinante dell’Inferno al trascolorare malinconico del Purgatorio, per ascendere infine là dove visione e parola si trasmutano nell’indicibile Paradiso”. Sarà possibile ripensare l’opera in termini di sacra rappresentazione medievale, con la consapevolezza che al tempo di Dante tutta la città era palcoscenico, dalle chiese alle piazze, e nei “misteri” i giullari professionisti erano affiancati da centinaia di cittadini in veste di figuranti, mentre altri si curavano di scene, costumi, luci. Questa “città in scena” sarà l’orizzonte su cui si svilupperà il coinvolgimento della cittadinanza nella produzione dello spettacolo. La trilogia, una produzione originale commissionata da Ravenna Festival in collaborazione con Ravenna Teatro – Teatro delle Albe, si completerà con il Purgatorio nel 2019 e il Paradiso nel 2021.

E se il Teatro Rasi trasformato in Inferno fu molto probabilmente conosciuto se non frequentato da Dante, in quanto allora Convento delle Clarisse, ci piace pensare che i “Vespri a San Vitale” che animeranno quotidianamente alle 19, dal 25 maggio al 2 luglio, la Basilica con i canti di cori provenienti da tutta Europa e selezionati attraverso un omonimo bando internazionale, facciano parte di quel paesaggio sonoro che il Poeta stesso abbia udito allorché si dedicava alla stesura del suo Paradiso.

Passaggio in India

Si diceva prima, citando Andrej Tarkovskij, dell’eterna e insaziabile nostalgia della spiritualità che è – o dovrebbe essere – alla base di una vera ricerca artistica. È difficile trovare una dimensione artistica che sia più compenetrata di spiritualità della musica “classica” indiana. L’incontro con questa tradizione musicale, pur così diversa dai nostri modi e dai nostri canoni e così apparentemente lontana dal nostro gusto estetico, suscita un profondo sentimento di bellezza trascinante e ammaliatrice a cui è difficile sottrarsi. Sono messaggi provenienti da un mondo remoto in cui l’artista non si propone di esprimere se stesso né ambisce all’originalità e dove l’organizzazione sociale non mira a soddisfare le pulsioni individuali. La perfezione consiste piuttosto nel trascendere se stessi, nel superamento dell’io, nell’abbandono dei desideri, sicché lo svolgimento impeccabile della propria funzione all’interno della società diventa occasione di esercizio spirituale, e l’arte e l’amore mezzi per attingere a quella realtà divina da cui sgorgano ogni bene e ogni bellezza.

Un’occasione per un incontro molto ravvicinato, vera e propria full immersion nella musica classica indiana e sorta di “passaggio in India” (ricordando il magnifico romanzo di Edward Morgan Forster) è rappresentata da un festival nel festival, ovvero il Darbar.

Fondato nel 2006 da Sandeep Singh Virdee, che ne è Direttore Artistico, per celebrare la memoria del padre, il musicista Bhai Gurmit Singh Ji Virdee (1937-2005), il Darbar Festival, che a Londra si tiene al Southbank Center, si è imposto in pochi anni come il più importante festival di musica classica indiana al di fuori dell’India e ha ospitato praticamente tutti i maggiori musicisti del Paese, di tutte le principali tradizioni e aree geografiche: dal Sud (Carnatica) al Nord (Indostana). Sandeep Virdee si è innamorato di Ravenna e ha voluto organizzare una vera e propria edizione del Darbar (che tradizionalmente si svolge nell’arco di un fine settimana) con le stesse modalità con cui si svolge nella capitale inglese, mattina e sera, rispettando sia i cicli giornalieri che annuali del raga. Superfluo forse dire quanto sarà emozionante assistere a un concerto di sarod in quella San Vitale che guarda all’Oriente o di bansuri nella più ieratica chiesa di Dante, San Francesco. Dimostrazioni di stili e strumenti e sessioni di hatha yoga accompagnate da musica live completeranno una tre giorni che ha tutte le carte in regola per essere memorabile.

Il progetto indiano del Festival si arricchisce di altri due appuntamenti. Se l’affascinante mondo della danza tradizionale – soprattutto kathak e kathakali – è ormai noto e apprezzato in Occidente lo si deve soprattutto a grandi danzatori-coreografi come Akram Khan e Shantala Shivalingappa, che hanno saputo innovare un linguaggio quasi pietrificato nel tempo. Per la sezione Passaggio in India è stata invitata una delle più giovani e audaci coreografe inglesi di origine indiana, Shobana Jeyasingh, che presenterà in prima italiana la sua ultima, intensa creazione Material Men, per due danzatori della “diaspora” indiana di diverso stile e provenienza (classico e hip hop), su musiche originali della compositrice australiana Elena Kats-Chernin eseguite dal vivo da uno dei migliori giovani quartetti inglesi, lo Smith Quartet.

Tra le rivoluzioni – questa volta assai quiete – del secolo passato una non è mai stata dimenticata, fertile com’è stata di conseguenze che giungono fino ai nostri giorni. Stiamo parlando della rivoluzione psichedelica e hippy che può essere datata attorno all’uscita di uno dei dischi più rivoluzionari della storia del pop-rock: Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, che compirà nel 2017 mezzo secolo di gloriosa vita. In quel disco, tra i primi concept albums della storia, molti udirono per la prima volta il fascinoso suono del sitar, suonato da George Harrison. Fu così che il nome di Ravi Shankar divenne improvvisamente famoso e celebrato ed ebbe inizio la scoperta della musica indiana, se non addirittura dell’India stessa, meta di magical mystery tours che lasciarono segni indelebili in molti di quegli improvvisati ma entusiasti viaggiatori. Ravi è scomparso pochi anni fa ma sua figlia, la splendida musicista Anoushka Shankar, prosegue sulla strada da lui indicata e presenterà per la prima volta in Italia la sua ultima composizione pubblicata nel disco Land of Gold. Un progetto musicale che affronta temi estremamente attuali, come quello dei rifugiati, ma si rivolge a tutti coloro che vivono questa “età dell’ansia” indicando una meta, un approdo sicuro.

Tra sinfonie e liturgie

L’arco dell’esistenza e della vita artistica di Dmitrij Dmitrievicˇ Šostakovicˇ si è consumato in quello che Osip Mandel’štam ha definito, nel suo Il rumore del tempo, “quell’immenso gelo che ha saldato decenni riducendoli a un sol giorno, a una sola notte, a un inverno profondo dove la presenza dello Stato è terribile come una stufa rovente di gelo”. Fra i grandi compositori russi del ’900, Šostakovicˇ è quello che più d’ogni altro ha vissuto da vicino e dall’interno il confronto con un potere oppressivo e assoluto, sempre in bilico fra lusinghe e minacce, paura e compromessi, onorificenze e messe al bando. Costretto più volte a sconfessare la propria musica bollata di “formalismo”, subì pesanti attacchi quando gli organi ufficiali del partito definirono la sua Lady Macbeth del Distretto di Mcensk “caos invece che musica”, e poi grezza, primitiva, volgare, piccolo borghese, sinistroide…

Artista Nazionale dell’URSS, 2 volte Premio Lenin, 5 volte Premio Stalin, Eroe del Lavoro Socialista, ricevette anche il marchio di “nemico del popolo” e temette per la sua stessa vita, ma riuscì a mantenersi sempre coerente rispetto alla propria musica, che ancora vive come l’impeto di un sussurro sopra il rumore del tempo. A lui, come già ricordato, è dedicato l’intero programma presentato da Yuri Temirkanov e la Filarmonica di San Pietroburgo.

Gli appuntamenti sinfonici al Pala de André si apriranno con il ritorno di un altro grande direttore di scuola russa formatosi al conservatorio di San Pietroburgo, Semyon Bychkov a capo della Munich Philharmonic. In programma uno dei più popolari e monumentali capolavori della letteratura pianistica mondiale, il concerto n. 1 in si bemolle minore di Pëtr Il’icˇ Cˇajkovskij – solista Jean-Yves Thibaudet, mentre la seconda parte prevede il poema sinfonico Symphonie fantastique di Louis-Hector Berlioz, altra pagina di grande respiro del repertorio romantico.

Dopo la già ricordata Orchestre National de Lyon diretta da Leonard Slatkin con la presenza di Anne-SophieMutter, il Pala ospiterà l’Orchestra Nazionale della Rai, sul podio il direttore slovacco Juraj Valcˇuha e al piano David Fray, solista nel concerto per pianoforte di Robert Schumann; il programma prevede inoltre un altro poema sinfonico, Eine Alpensinfonie di Richard Strauss, pagina eseguita piuttosto raramente anche per via dell’assai ampio organico di 125 musicisti che prevede.

Ancora una volta il Festival può vantare la presenza di Riccardo Muti e della sua Orchestra Giovanile Luigi Cherubini; l’edizione 2017 li vedrà coinvolti nel progetto – che celebrerà proprio quest’anno il suo ventennale – de Le Vie dell’Amicizia.

Gli sconvolgimenti epocali che segnano il percorso della storia umana sono anche fonte o conseguenza di rivoluzioni del pensiero. Con il titolo “Rivoluzioni in musica” si sottolineano programmi e autori che rappresentano passaggi cruciali nella concezione e nel definirsi di nuovi stile e forme musicali, ma anche esempi significativi di quell’eterno confronto/scontro col potere che da sempre costituisce un imprescindibile aspetto della vita degli artisti e dei musicisti in modo particolare.

Non è forse abbastanza riconosciuto quanto Franz Joseph Haydn sia autore straordinariamente innovativo e quanto a lui si debba il merito di avere definito nuove forme e stili che hanno rivoluzionato il corso della storia della musica a partire da Mozart. A misurarsi con Haydn saranno musicisti che ricercano attraverso l’energia vitale della loro lettura la forza di una novità interpretativa, capace di portare una luce di viva attualità sulla musica del passato. Ottavio Dantone e Giovanni Sollima, con Accademia Bizantina, saranno protagonisti di un concerto interamente dedicato a Haydn – le Sinfonie nn. 80 e 81 e il secondo concerto in re maggiore per violoncello – un incontro in esclusiva per Ravenna Festival.

Il passaggio dalle forme rinascimentali al Barocco e l’invenzione della sonata e del concerto si devono al genio di Arcangelo Corelli. Lo celebreranno due violinisti, fra i più illustri e virtuosi interpreti del violino barocco e, come il compositore nativo di Fusignano, originari della provincia ravennate: Stefano Montanari e Enrico Onofri si divideranno le 12 sonate dell’opera V di Arcangelo Corelli replicando entrambi la n. 12 – la celebre Follia – in quelle che abbiamo battezzato “Follie Corelliane”.

Fra i grandi protagonisti delle rivoluzioni musicali non si poteva non ricordare Claudio Monteverdi, di cui ricorre il 450° della nascita. A lui sono dedicati due concerti: nella Basilica di San Vitale I Cantori di San Marco e I Solisti della Cappella Marciana diretti da Marco Gemmani proporranno la ricostruzione di un Vespro della Beata Vergine Assunta del periodo tardo veneziano della maturità di Claudio Monteverdi; nella Basilica di Sant’Apollinare in Classe Elena Sartori a capo dell’Allabastrina Choir & Consort sotto il titolo È questa vita un lampo proporrà significativi brani della Selva Morale e Spirituale.

Una ricorrenza che ci invita a celebrare mutamenti epocali che hanno avuto diretti influssi e ripercussioni sulle forme e le pratiche musicali è quella del V centenario della riforma luterana. Il corale luterano – che inserì nel canto sacro la lingua volgare e l’uso di temi semplici ispirati o tratti da melodie popolari – ebbe la sua espressione più alta grazie al genio di Johann Sebastian Bach. Sarà protagonista del concerto che La Stagione Armonica diretta da Sergio Balestracci terrà nella Basilica di Sant’Agata Maggiore; al corale luterano sarà abbinata l’esecuzione della Missa Papae Marcelli, anch’essa espressione dei rivolgimenti musicali che seguirono le nuove disposizioni in ambito liturgico stimolate dalla pubblicazione delle tesi di Lutero, grazie all’applicazione che ne fece un altro genio assoluto, quello di Giovanni Pierluigi da Palestrina.

Il 1917 e lo scoppio della rivoluzione d’ottobre coincisero anche con la proclamazione dell’Indipendenza della Finlandia che approfittò della situazione per emanciparsi dalla sudditanza alla Russia degli Zar. Per celebrare i 100 anni dell’Indipendenza della Finlandia, torna a Ravenna lo straordinario coro di voci bianche e giovani della Cattedrale di Helsinki Cantores Minores diretto da Hannu Norjanen in un concerto – Il suono del Nord – di autori nordici e finlandesi dal medioevo ai giorni nostri, passando per Bach.

Ai Chiostri della Biblioteca Classense e sotto il segno di Rivoluzioni in musica, il concerto del Quartetto Adorno,uno dei più promettenti e giovani quartetti d’archi italiani, propone invece autori che hanno scritto significativepagine di cambiamento all’interno del percorso della musica occidentale, da Ludwig van Beethoven – che segnò un progressivo e radicale stravolgimento delle potenzialità espressive dei quartetti – a Claude Debussy e il suo impressionismo in musica, ma soprattutto Anton Webern con i suoi Cinque pezzi per archi op. 5 (1909), nei quali cominciò a sperimentare il progressivo distacco dal sistema tonale che porterà alla grande rivoluzione dodecafonica.

Uno dei protagonisti delle nuove forme di sperimentazioni generate dal serialismo fu certamente Karlheinz Stockhausen del quale, nel 2017, ricorrono i 10 anni dalla scomparsa. Roberta Gottardi eseguirà il suo Harlekin, opera concepita per un clarinettista-mimo-danzatore. Con Harlekin, che ha avuto l’opportunità di studiare con l’autore stesso, Roberta Gottardi si è aggiudicata il primo premio al concorso organizzato annualmente dalla Fondazione Stockhausen.

Ritorneranno quest’anno, nell’occasione dei 60 anni dalla loro fondazione, i Chicago Children’s Choir diretti da Josephine Lee in un doppio concerto al Teatro Alighieri e alla Chiesa di San Giacomo a Forlì. Sempre vario e accattivante il loro repertorio che spazia dal classico al gospel, dal folk al pop, eseguiti con maniacale ricerca della qualità musicale unita a una costante cura per l’aspetto coreografico che trasforma in spettacolo ogni loro concerto.

Le liturgie domenicali in programma quest’anno saranno caratterizzate da un forte accento ecumenico – per la presenza di cori legati istituzionalmente alla Chiesa Protestante e Ortodossa alle quali rispettivamente appartengono – oltre che dalla grande qualità degli interpreti.

Domenica 4 giugno nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, la celebrazione liturgica prevederà l’esecuzione la Missa Ducalis a 13 voci di Costanzo Porta, nato a Cremona nel 1529 e morto a Padova nel 1601, che fu Maestro della Cappella Metropolitana di Ravenna dal 1567 al 1575. Significativamente sarà eseguita dal Coro Costanzo Porta di Cremona diretto da Antonio Greco che la sera guiderà lo stesso Coro Costanzo Porta e l’Ensemble Cremona Antiqua in un concerto a Sant’Apollinare in Classe per la rassegna Rivoluzioni in Musica dal titolo Controcanti con musiche di Andrea e Giovanni Gabrieli e Arvo Pärt, musiche e canti fra loro diversi, se non “contrari”, soprattutto per il diverso modo col quale si rapportarono al potere e a poteri di diversa natura coi quali dovettero confrontarsi; il minimalismo ascetico di Arvo Pärt non foss’altro che per la natura stessa della sua forma, fu un modo di contrastare e opporsi al sistema, controcanti e canti contro, appunto.

Domenica 11 giugno I Cantori di San Marco diretti da Marco Gemmani animeranno la celebrazione eucaristica nella Basilica di Sant’Agata Maggiore.

Domenica 18 giugno i Cantores Minores della Cattedrale di Helsinki diretti da Hannu Norjanen canteranno a Sant’Apollinare in Classe.

Domenica 26 giugno il Coro del Patriarcato Ortodosso di Mosca diretto da Anatolij Grindenko canterà la Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo nella Chiesa Ortodossa Protezione della Madre di Dio (ex Chiesa di San Simone e Giuda); la stessa sera nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo terranno il loro concerto.

Domenica 2 luglio il celebre quintetto vocale Orlando Consort canterà nella Basilica di San Vitale.

La danza

Oltre ai già citati “Les mémoires d’un seigneur” di Olivier Dubois e “Material Men” di Shobana Jeyasingh, la programmazione di danza accoglie una delle più prestigiose compagnie del mondo, sempre acclamata nel corso delle sue tournée internazionali: il Ballet Nacional de Cuba, fondato nel 1948 dalla leggendaria danzatrice Alicia Alonso, che ne è ancora direttrice artistica e anima ispiratrice. “La magia della danza” vuole condensare in un unico sontuoso spettacolo tutta la ricchezza del balletto classico. Questa antologia sapientemente composta raccoglie i momenti salienti dell’arte coreografica del XIX secolo, rivisti secondo i canoni della celebrata scuola cubana di balletto. La magia della danza ci presenterà ricreazioni rigorose di episodi di balletti come Giselle, La Bella Addormentata, Schiaccianoci, Lago dei cigni o Don Chisciotte che rappresentano un esempio della coreografia cubana degli ultimi tempi, in cui l’arte accademica è assimilata all’essenza nazionale, testimoniando così le molteplici possibilità espressive del linguaggio classico.

Oltre alla magnifica compagine cubana il Festival presenta un ulteriore appuntamento nel suo “cartellone” coreutico, si tratta di “Uccidiamo il chiaro di luna” Danze, voci, suoni del Futurismo italiano, con le coreografie Silvana Barbarini (allieva di Giannina Censi, l’unica danzatrice futurista, scoperta da Filippo Tommaso Marinetti), con i danzatori della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi. Lo spettacolo, prodotto nell’ambito del progetto Ric.Ci di Marinella Guatterini, funge da perfetto pendant a Vittoria sul sole, in quanto compendio di quanto il futurismo italiano riuscì a elaborare rivoluzionando i linguaggi di teatro, danza, musica, poesia e arti figurative. I due spettacoli costituiscono così un’occasione davvero speciale per immergersi nella vivacissima atmosfera di inizio Novecento quando tutto sembrava possibile, buttandosi dietro le spalle tutto ciò che appariva irrimediabilmente passatista, come si diceva allora, compreso l’anemico “chiaro di luna” inesorabimente “rottamato” da Marinetti & Co.

Il Festival all’Antico Porto di Classe

Dopo il successo dell’appuntamento della passata edizione, il Festival torna ad abitare una delle testimonianze più affascinanti della storia della città. Per secoli fra i più importanti e prestigiosi scali del mondo antico e oggi Parco Archeologico grazie all’impegno di Fondazione Ravennantica, l’Antico Porto di Classe si fa palcoscenico per “Il ciclope”, dramma satiresco di Euripide. Grazie alla collaborazione fra il Teatro dei Due Mari e DAF – Teatro dell’Esatta Fantasia, l’irriverenza e la forza archetipica dell’opera di Euripide dialogano con la nostra contemporaneità e il concetto di “strano”, ritrovando così nel teatro classico “una nuova carica sperimentale che permette di ‘giocare’” – suggerisce il regista Angelo Campolo – “con la prospettiva rovesciata del Noi e dell’Altro sovvertendo tutte le certezze dei discorsi “civilizzatori” tradizionali. Non ci sono più buoni né cattivi, dei o mostri che spaventino, ma solo creature umane che fanno i conti con le proprie paure, le debolezze e i desideri”.

Completano gli appuntamenti a Classe il concerto “Sound, Stones, Sunset” – che vedrà Fabio Mina intrecciare flauto, duduk, khaen, elettronica e field recording alla pedal steel guitar e al dobro di Geir Sundstol – e quello del Saskatoon Children’s Choir, che arriva dal Canada con Rise Up Singing.

Tra fotografia e cinema: il trionfo del bianco e nero Il Festival torna a due passioni perseguite con continuità nel corso degli anni: cinema e fotografia, le “nuove” arti del secolo scorso, ampiamente presenti in questa edizione.

Viene ripresa la fortunata rassegna Musica&Cinema con tre appuntamenti tutti caratterizzati dall’esecuzione live delle musiche, originali o di nuova composizione. Il primo è costituito un capolavoro del cinema espressionista nonché primo cult movie della storia del cinema, “Il gabinetto del Dottor Caligari” (1919) di Robert Wiene, che verrà musicato con la tecnica del live electronics dall’affiatatissimo quartetto di Edison Studio (ovvero Mauro Cardi, Luigi Ceccarelli, Fabio Cifariello Ciardi e Alessandro Cipriani).

Secondo episodio è rappresentato da un altro capolavoro qual è “La passion de Jeanne d’Arc” di Carl Theodor Dreyer (1928), musicato dall’Orlando Consort le cui splendide voci a cappella creeranno un abbinamento struggente fra le lancinanti immagini del film e musiche del XV secolo in una sorta di inedita sacra rappresentazione, che nella spoglia chiesa di San Francesco troverà una cornice particolarissima.

La trilogia di musiche per il cinema si conclude con uno dei più bei film di Charlie Chaplin “The Gold Rush” (La febbre dell’oro, 1925), il cui accuratissimo restauro digitale è stato eseguito dalla Cineteca di Bologna. Le musiche originali di Charles Chaplin sono state sapientemente ricostruite da uno specialista come Timothy Brock che le eseguirà sul podio dell’Orchestra Luigi Cherubini.

Uno sguardo a ritroso rivela come il Festival abbia ospitato e dato ampia visibilità a molti dei fotografi grazie al cui lavoro si può parlare, analogamente a quanto è accaduto per il teatro, di una “Romagna Felix”: da Paolo Roversi a Guido Guidi, dall’Osservatorio Fotografico alla coppia Lelli e Masotti, il cui lavoro si è imposto negli ultimi decenni a livello internazionale, sia nell’ambito della foto di spettacolo che in ricerche in cui la fotografia dialoga con linguaggi come il video e la musica/suono. Due le proposte ospitate nel MAR, Museo d’Arte della Città. La prima è la mostra “Musiche”, vero e proprio viaggio fotografico dove riconoscere i protagonisti di linguaggi musicali tra loro molto diversi, da Keith Jarrett a Arvo Pärt, da Astor Piazzolla a Claudio Abbado. “Non più musica alta e bassa – scrivono Lelli e Masotti – seria, leggera, pesante, ma compresenza attiva nel paesaggio musicale che vive attornoa noi. Non c’è volontà di catalogazione, di elenco, di tassonomia, c’è una serie che si compone e si scompone, un percorso personale ed evocativo che ricorda momenti inesorabilmente fissati.” Secondo momento espositivo è rappresentato dalla videoinstallazione “Vuoto con memoria” di Silvia Lelli, esito di un ininterrotto lavoro di ricerca che prosegue da anni negli spazi silenziosi e deserti di quella meraviglia architettonica che è – appunto – Palazzo San Giacomo a Russi.

Trilogia d’Autunno

Lo sguardo sul tempo e sulle mutazioni che sempre accompagnano il traghettare da un secolo all’altro e in particolare l’affacciarsi del ’900, sarà il focus della scelta dei titoli che compongono la trilogia di quest’anno.

Composti nell’arco dell’ultimo decennio del XIX secolo, “Cavalleria Rusticana” (1890 Roma, Teatro Costanzi), Pagliacci” (1892 Milano, Teatro Dal Verme), “Tosca” (1900 Roma, Teatro Costanzi), risentono degli influssi delle nuove sensibilità che corrono per l’Europa, incarnando le istanze di un’adesione al reale per quello che è e per come si manifesta, nei suoi aspetti più materiali e crudi, intendendo così darne una rappresentazione più vera.

Il progetto avrà in Cristina Mazzavillani Muti la mente ispiratrice che, a capo del suo ormai tradizionale e apprezzato staff, curerà la regia, l’ideazione scenica e l’impaginazione dell’intera operazione. A dirigere i tre titoli è stato chiamato Vladimir Ovodok, uno dei primi allievi dell’Italian Opera Academy di Riccardo Muti, che sarà a capo dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e del Coro del Teatro Municipale di Piacenza istruito da Corrado Casati.

La stagione dei teatri

Ermanna Montanari, Luigi Ceccarelli, Daniele Roccato
Lus
di Nevio Spadoni

da giovedì 1 a domenica 4 dicembre 2016
inizio ore 21, domenica ore 15.30

Teatro Alighieri – Via Mariani, 2 – Ravenna
Spettacolo in abbonamento (uno dei sei titoli fissi per i turni A, B, C, D)

Il concerto-spettacolo di Ermanna Montanari, Luigi Ceccarelli e Daniele Roccato, diretto da Marco Martinelli sul testo di Nevio Spadoni, arriva per la prima volta a La stagione dei teatri di Ravenna dopo la fortunata trasferta in Cina di ottobre al “R.A.W! – China Shanghai International Arts Festival”. Luṣ sostituisce Maryam, di Luca Doninelli, inizialmente programmato al Teatro Rasi dal 9 dicembre al 21 dicembre.
E sabato 3 dicembre la compagnia incontra il pubblico alla sala Corelli

Ermanna Montanari e Luigi Ceccarelli hanno realizzato pagine indimenticabili di teatro in musica, da L’Isola di Alcina a La mano, spettacoli del Teatro delle Albe che hanno segnato la storia del teatro italiano negli ultimi due decenni. E nel 2015 hanno deciso di dare una nuova veste a Luṣ (Luce), il poemetto di Nevio Spadoni in lingua romagnola, che le Albe avevano portato in scena vent’anni prima, nel 1995. Così Luṣ (prodotto da Emilia Romagna Teatro Fondazione) è divenuto uno spettacolo completamente nuovo, diretto da Marco Martinelli, in cui il testo-preghiera-maledizione di Spadoni si sposa con un’architettura sonora originale realizzata da Ceccarelli e Daniele Roccato (contrabbassista solista e compositore, una delle voci più originali e prestigiose della scena musicale internazionale), in un’alchimia che vede in scena tre figure duellare con i loro “strumenti”: la voce caleidoscopica di Montanari, Ceccarelli con il suo computer per l’elaborazione elettronica in tempo reale, e Roccato con il suo contrabbasso.

«Non so come spiegarlo – dice Ermanna Montanari –. Lus significa luce nel mio dialetto romagnolo. E la voce è un artificio che si costruisce dalla natura. Natura e artificio, un paradosso. E Lus vuol dire voce. Il romagnolo è duro e gutturale, lontano dalle raffinatezze, raggiunge la crudezza delle cose. Potrei definirlo “ruh”, ciò che precede la tecnica, la lingua della comunicazione, l’italiano. E il dialetto è come la lingua degli animali, che noi non conosciamo. È una turbolenza, è un corpo manifesto di un demone che erompe da un tempo senza voce. Lus è una matrice racchiusa dentro una mandorla insignificante e pura, inviolabile. Non so come altrimenti dire».

Lus è centrato su Bêlda, veggente e guaritrice delle campagne romagnole di inizio Novecento. Una figura potente di donna vittima dell’ipocrisia del paese, che nell’orgoglioso grido di rivolta contro la codardia degli uomini si permette un maleficio di morte ai danni di un “pretaccio”, colpevole di aver disseppellito la madre di lei. La regia di Marco Martinelli fa di Luṣ un concerto che racconta, senza raccontare, la magia incantatoria dei suoni, antica come il mondo, incarnata con forza nel nostro presente, nelle “facce”, malate e abbacinate, nei gorghi di colore, sangue e mercurocromo dipinti ad acquerello da Margherita Manzelli.

Sabato 3 dicembre – ore 18 – Sala Corelli del Teatro Alighieri
Incontro con la compagnia a cura di Laurence Van Goethem, studiosa e traduttrice, co-direttrice della rivista Alternatives Théâtrales

Lus
di Nevio Spadoni
voce Ermanna Montanari
musiche Luigi Ceccarelli, Daniele Roccato eseguite dal vivo
regia Marco Martinelli
foto Luca Del Pia
spazio scenico e costumi Margherita Manzelli, Ermanna Montanari
disegno abito di Bêlda Margherita Manzelli
animazione dello sfondo con opere originali di Margherita Manzelli a cura di Margherita Manzelli, Alessandro e Francesco Tedde
regia del suono Marco Olivieri
disegno luci Francesco Catacchio
direzione tecnica Fagio
Emilia Romagna Teatro Fondazione in collaborazione con Teatro delle Albe/Ravenna Teatro

BIGLIETTI: Platea e palco I, II e III ordine. Sostenitore: €24. Ridotto*: €20. Under30: €16. Under20: € 8.
Galleria e palco IV ordine. Sostenitore € 17. Ridotto*€ 15. Under30: €10. Under20: € 8.
Loggione. Sostenitore € 7, under20 € 5.
*cral e gruppi organizzati, insegnanti, oltre i 65 anni, iscritti all’Università per gli Adulti Bosi Maramotti, Soci Coop Adriatica, EspClub Card, Soci BCC, tessera TCI.

Biglietterie
Teatro Alighieri, via Mariani 2 Ravenna tel. 0544 249244 (feriali dalle 10 alle 13, giovedì dalle 16 alle 18 e da un’ora prima dello spettacolo).
Teatro Rasi, via di Roma 39 Ravenna tel. 0544 30227 (il giovedì dalle 16 alle 18 e da un’ora prima dello spettacolo).

BIGLIETTI GRATUITI: per ogni spettacolo de La stagione dei teatri, grazie al contributo di Fondazione Flaminia, Ravenna Teatro/Teatro delle Albe distribuisce agli studenti universitari del campus di Ravenna biglietti gratuiti. La distribuzione avverrà la settimana di ogni spettacolo il martedì al Punto Ristoro (dalle 12.30 alle 13.30) e il giovedì al Teatro Rasi (dalle 16 alle 18). Posti limitati.

INFORMAZIONI

China National Peking Opera Company

Faust

da giovedì 17 a domenica 20 novembre 2016
inizio ore 21, domenica ore 15.30

Teatro Alighieri – Ravenna
Spettacolo in abbonamento (uno dei sei titoli fissi per i turni A, B, C, D)

Fortemente voluto da Ravenna Teatro, arriva a “La stagione dei teatri” Faust, progetto drammaturgico che crea un nuovo linguaggio in cui si combinano Oriente e Occidente, portato in scena dalla Compagnia Nazionale dell’Opera di Pechino per la prima volta a Ravenna. Una sfida produttiva importante, intrapresa da Emilia Romagna Teatro e affidata alla giovane regista tedesca Anna Peschke e a un gruppo di altrettanto giovani interpreti cinesi che eseguono un repertorio musicale originale composto da Luigi Ceccarelli, Alessandro Cipriani e Chen Xiaoman, accompagnati da un ensemble musicale formato da musicisti italiani e cinesi.
Lo spettacolo andrà in scena in lingua cinese con sottotitoli in italiano.

Obiettivo della regista Anna Peschke è quello di creare uno slancio originale verso la creazione di un nuovo linguaggio fra Oriente e Occidente. Una sfida che irradia diversi aspetti, dall’avvio fertile di un rapporto pensato con la China National Peking Opera Company (oggi inclusa dall’Unesco nel “patrimonio culturale mondiale intangibile”), alla potenzialità insita nel cercare nell’alfabeto gestuale e musicale di quel linguaggio vie espressive scardinanti per la visione scenica occidentale.

Il progetto è basato sul dramma Faust: prima parte di Johann Wolfgang Goethe, pubblicato per la prima volta in Germania nel 1808 e considerato il capolavoro fondamentale della letteratura tedesca. Guo Moruo pubblicò l’intero dramma per la prima volta in cinese nel 1928, e da allora è stato diffuso come testo di letteratura occidentale, studiato poi nelle università, raggiungendo il grande pubblico di lettori e appassionati.
L’opera viene messa in scena come un Jīngjù, la famosa arte performativa che non solo combina canto e recitazione, ma comprende anche danza, arti acrobatiche e marziali in uno stile affascinante. Questa nuova forma e questa estetica orientale possono mostrare al pubblico occidentale un classico, un’opera celebre come Faust in un contesto innovativo e offrire nuove prospettive su una storia senza tempo. Inoltre questa produzione segna un passo in avanti verso una forma contemporanea di Jīngjù, che si apre a moderne influenze e a tematiche del nostro tempo. Il personaggio di Faust simboleggia l’archetipo dell’uomo contemporaneo che in nome del proprio piacere e per avidità, sottomette e sfrutta la natura e le persone, noncurante della miseria e della distruzione che genera. Mefistofele induce Faust in tentazione con seducenti promesse di gioventù, amore e piaceri, ma Faust sceglie in piena consapevolezza e responsabilità. Un’esperienza creativa toccante e stimolante, un’analisi e un’elaborazione attenta di un tema significativo, profondo e illuminante, che costituisce un’esplorazione artistica completamente nuova per una squadra formata da artisti occidentali e cinesi. Un incontro fra musica composta da un autore cinese, su modalità melodiche tradizionali, e musica composta da autori italiani.
«Come regista – spiega Anna Peschke – la mia sfida principale risiede nel lavorare con gli attori della compagnia China National Peking Opera Company: questi performer possono raccontare un’intera storia con i movimenti, attraverso la danza e le azioni. Tra le peculiarità della dura educazione dell’Opera di Pechino c’è infatti l’insegnamento della facoltà di comunicare tutto tramite il corpo e la mimica, senza l’uso della parola. Il risultato cui ho mirato è l’emersione di una performance sperimentale e interculturale, un interagire di forme di teatro diverse. Tale connessione crea legami importanti per una reciproca comprensione culturale, arricchendo il dialogo tra la cultura tedesca e cinese».

E in occasione della prima volta a Ravenna dell’Opera di Pechino, Ravenna Teatro propone sulla sua pagina Facebook un contest fotografico che mette in palio biglietti omaggio per le repliche del Faust (facebook.com/ravennateatro).

FAUST
di Li Meini
basato sul dramma Faust: prima parte di Johann Wolfgang Goethe
traduzione Fabrizio Massini
progetto e regia Anna Peschke
consulente artistico Xu Mengke
musiche originali composte da Luigi Ceccarelli, Alessandro Cipriani, Chen Xiaoman
scene Anna Peschke
luci Tommaso Checcucci
costumi Akuan
materiali scenici Li Jiyong
trucco e acconciature Ai Shuyun, Li Meng
coreografie Zhou Liya, Han Zhen
con Liu Dake, Xu Mengke, Zhao Huihui, Zhang Jiachun
musicisti Fu ChaYina (yueqin), Vincenzo Core (chitarra elettrica ed elaborazione elettronica), Wang Jihui (jinghu), Niu LuLu (gong), Laura Mancini (percussioni), Giacomo Piermatti (contrabbasso), Wang Xi (bangu)

19 novembre – ore 18
Sala Corelli del Teatro Alighieri – ingresso libero

INCONTRO CON LA CHINA NATIONAL PEKING OPERA COMPANY
a cura di Roberto Cuppone

Inclusa dall’Unesco nella lista del “patrimonio culturale mondiale intangibile” l’Opera di Pechino vanta origini antichissime che risalgono al VII secolo. Questa famosa arte performativa non solo combina canto e recitazione come avviene nell’opera occidentale ma comprende anche danza, arti acrobatiche e marziali in uno stile affascinante. Roberto Cuppone, che dialogherà con gli artisti della compagnia, è regista, storico del teatro e docente universitario, e si occupa di commedia dell’arte e teatro contemporaneo nella prospettiva di uno sviluppo in senso antropologico della ricerca e della didattica.

BIGLIETTI: Platea e palco I, II e III ordine. Sostenitore: €24. Ridotto*: €20. Under30: €16. Under20: € 8.
Galleria e palco IV ordine. Sostenitore € 17. Ridotto*€ 15. Under30: €10. Under20: € 8.
Loggione. Sostenitore: € 7. Under20: € 5.
*cral e gruppi organizzati, insegnanti, oltre i 65 anni, iscritti all’Università per gli Adulti Bosi Maramotti, Soci Coop Adriatica, EspClub Card, Soci BCC, tessera TCI.

Biglietterie
Teatro Alighieri, via Mariani 2 Ravenna tel. 0544 249244 (feriali dalle 10 alle 13, giovedì dalle 16 alle 18 e da un’ora prima dello spettacolo).
Teatro Rasi, via di Roma 39 Ravenna tel. 0544 30227 (il giovedì dalle 16 alle 18 e da un’ora prima dello spettacolo).

BIGLIETTI GRATUITI: per ogni spettacolo de La stagione dei teatri, grazie al contributo di Fondazione Flaminia, Ravenna Teatro/Teatro delle Albe distribuisce agli studenti universitari del campus di Ravenna biglietti gratuiti. La distribuzione avverrà la settimana di ogni spettacolo il martedì al Punto Ristoro (dalle 12.30 alle 13.30) e il giovedì al Teatro Rasi (dalle 16 alle 18). Posti limitati

28 ottobre 2016, ore 21.00
Allarmi!
produzione ERT – Emilia Romagna Teatro
@ Teatro Rasi, Ravenna
La stagione dei teatri

Allarmi! narra le vicende di un gruppo di terroristi che vuole sovvertire con la violenza il potere costituito: diffondono le proprie idee e cercano proseliti attraverso la rete, preparano fisicamente i corpi a fare la rivoluzione. Non credono nella democrazia, odiano gli immigrati e vogliono instaurare una nuova dittatura in Europa. Nella sua cameretta, un leader molto particolare, tesse un piano per fissare il proprio nome nella storia per l’eternità.

ore 18.00
Incontro di presentazione di Culture Teatrali 24/2015 “LA TERZA AVANGUARDIA. ORTOGRAFIE DELL’ULTIMA SCENA ITALIANA”, a cura di Silvia Mei
Intervengono Claudio Angelini / Città di Ebla, Lorenzo Donati, Laura Gemini, Graziano Graziani, Chiara Lagani / Fanny & Alexander, Agata Tomsic / ErosAntEros, Cristina Valenti e la curatrice. Coordina Marco De Marinis.

October 28 2016
Alarms!
production ERT – Emila Romagna Teatro
@ Teatro Rasi, Ravenna
La stagione dei teatri

Alarms! tells the story of a group of terrorists who want to overthrow the established power by violence. They spread their ideas and seek recruits through the network, physically prepare their bodies to make the revolution. They do not believe in democracy, they hate immigrants and want to establish a new dictatorship in EuropeIn her bedroom, a very special leader, devises a plan to fix her name in history forever.
Primi sguardi su Allarmi!

“Allarmi! è uno spettacolo limpido, ben scandito nei passaggi dal piano narrativo a quello della riflessione storico-politica, è divertente, profondo, ma anche pieno di ironia, terribilmente ben costruito sia drammaturgicamente che registicamente, mette in scena quattro giovani attori ben preparati tecnicamente e fortemente espressivi, sostenuti inoltre da uno strepitoso Marco Cavicchioli […] Allarmi! non offre soluzioni definitive, non giudica i personaggi, chiama in causa il pubblico che deve comportarsi da vero “spettatore all’angolo di una strada” come Brecht suggeriva si dovesse comportare il pubblico davanti ai suoi drammi didattici. […] La posta in gioco è alta. Allarmi! non va preso sotto gamba, si possono storicizzare gli accadimenti proposti dall’invenzione artistica, si possono ricondurre al contesto storico sociale attuale, ciascuno spettatore comunque non potrà uscire indifferente ai temi sollevati: un dubbio, una domanda, un pensiero gli frullerà nella testa fuori dal teatro e forse agirà come un tarlo nella sua vita reale.”
Simona Sagone, “Radio Città Fujiko“

“Tanti gli applausi, tutti egregiamente meritati. Per il testo originale di Emanuele Aldrovandi, che miscela alla perfezione riflessione e divertissement. Per le idee del registra, Davide Sacco, e di Agata Tomsic (che in scena impersona magistralmente Vittoria), che hanno guidato l’autore fino a farsi realizzare da lui un abito su misura. Per la regia semplice e originale nei cambi di scena, nella fisicità, nella gestione degli spazi, e per gli inserti video, geniali. Applausi ovviamente ai quattro attori, impeccabili nei loro molti personaggi: Giusto Cucchiarini, Luca Mammoli e Massimo Scola e Marco Cavicchioli. Applausi, infine, per Ert – Emilia Romagna Teatro. Perché questa, vivaddio, è una produzione pubblica.”
Simone Arminio, “quotidiano . net”

Primi sguardi su Allarmi!

“Allarmi! è uno spettacolo limpido, ben scandito nei passaggi dal piano narrativo a quello della riflessione storico-politica, è divertente, profondo, ma anche pieno di ironia, terribilmente ben costruito sia drammaturgicamente che registicamente, mette in scena quattro giovani attori ben preparati tecnicamente e fortemente espressivi, sostenuti inoltre da uno strepitoso Marco Cavicchioli […] Allarmi! non offre soluzioni definitive, non giudica i personaggi, chiama in causa il pubblico che deve comportarsi da vero “spettatore all’angolo di una strada” come Brecht suggeriva si dovesse comportare il pubblico davanti ai suoi drammi didattici. […] La posta in gioco è alta. Allarmi! non va preso sotto gamba, si possono storicizzare gli accadimenti proposti dall’invenzione artistica, si possono ricondurre al contesto storico sociale attuale, ciascuno spettatore comunque non potrà uscire indifferente ai temi sollevati: un dubbio, una domanda, un pensiero gli frullerà nella testa fuori dal teatro e forse agirà come un tarlo nella sua vita reale.”
Simona Sagone, “Radio Città Fujiko“
http://erosanteros.org/simona-sagone-su-allarmi-radio-citta-fujiko-10-ottobre-2016/

“Tanti gli applausi, tutti egregiamente meritati. Per il testo originale di Emanuele Aldrovandi, che miscela alla perfezione riflessione e divertissement. Per le idee del registra, Davide Sacco, e di Agata Tomsic (che in scena impersona magistralmente Vittoria), che hanno guidato l’autore fino a farsi realizzare da lui un abito su misura. Per la regia semplice e originale nei cambi di scena, nella fisicità, nella gestione degli spazi, e per gli inserti video, geniali. Applausi ovviamente ai quattro attori, impeccabili nei loro molti personaggi: Giusto Cucchiarini, Luca Mammoli e Massimo Scola e Marco Cavicchioli. Applausi, infine, per Ert – Emilia Romagna Teatro. Perché questa, vivaddio, è una produzione pubblica.”
Simone Arminio, “quotidiano . net”
http://erosanteros.org/simone-arminio-su-allarmi-quotidiano-net-14-ottobre-2016/

“C’è Internet, ci sono i simboli, i rituali, c’è la necessità di apparire, perché se s’interrompe la diretta streaming dell’assassinio l’azione di per sé non ha più ragione d’esistere, ci sono le paure più facili, più diffuse, ci sono ragionamenti plausibili da parte di tutte le posizioni in campo, perché in fondo ogni personaggio del testo scritto da Emanuele Aldrovandi è comprensibile nel suo agire: Vittoria così come suo padre, Ordine (il sottomesso) così come il fascistello picchiatore, il giovane istruito come pure il presidente dell’Ue, che potrebbe risultare vincitore nella fermezza della sua inattaccabile, letteralmente, dissertazione sul perfetto meccanismo politico, economico, sociale che governa il capitalismo, macchina imbattibile. C’è una Democrazia sorridente e sui trampoli, che per l’eccessiva sicurezza di essere dalla parte giusta rischia di cadere, c’è un Punto di Vista con la mano tesa che argomenta rabbioso la legittimità della propria esistenza, anche lui con la sua logica, c’è poco da fare. E c’è il pubblico, infine, messo di fronte a sé stesso.”
Giulia Foschi, “nonfarneundramma“

Riccardo Muti dirige Traviata in forma di concerto al Teatro Alighieri di Ravenna
Mercoledì 3 agosto (ore 20.30) per il primo dei due concerti che concludono la seconda edizione dell’Italian Opera Academy

La seconda edizione della Italian Opera Academy condotta dal maestro Muti al Teatro Alighieri di Ravenna, che ha visto i giovani direttori, maestri collaboratori e cantanti selezionati tra centinaia di domande giunte da tutto il mondo lavorare senza sosta alla “Traviata”, si avvia alla conclusione con un doppio concerto. Prima di lasciare spazio al gesto dei suoi giovani allievi per il gala conclusivo (venerdì 5 agosto), sarà lo stesso Riccardo Muti – mercoledì 3 agosto ore 20.30 – a dirigere una selezione di brani dalla popolarissima opera verdiana, naturalmente sul podio dell’Orchestra Luigi Cherubini, strumento fondamentale del lavoro dell’Accademia e luogo di crescita essa stessa, nelle cui fila, da oltre dieci anni, centinaia di giovani professori d’orchestra hanno vissuto un’esperienza formativa insostituibile. Sul palcoscenico dell’Alighieri, insieme alla Cherubini, i cantanti selezionati: i soprano Claudia Pavone e la russa Venera Protazova che si avvicendano nel ruolo di Violetta, i tenori Ivan Defabiani nei panni di Alfredo Germont e Oreste Cosimo in quelli di Gastone, e il mezzosoprano Mariangela Marini che dà voce a Flora e ad Annina. Insieme a loro, a completare il cast, i baritoni Sergio Vitale (Germont padre) e Donato Di Gioia (Barone Douphol), e i bassi Daniele Macciantelli (Marchese D’Obigny) e Graziano Dallavalle (Dottor Grenvil). Il Coro è quello del Teatro Municipale di Piacenza preparato dal maestro Corrado Casati.

In programma, l’esito del lavoro condotto con i cantanti seguiti da una “docente” d’eccezione, Renata Scotto, appunto sulla “Traviata”, in un’ampia selezione presentata in forma di concerto. E improntata a una lettura che rispetti l’essenza del dettato verdiano, secondo quello che è il vero obiettivo dell’Accademia, nata per trasmettere quel metodo rigoroso di affrontare l’opera italiana che Riccardo Muti ha appreso dai propri maestri, primo tra tutti Antonino Votto, che a sua volta aveva studiato e collaborato con Arturo Toscanini, che il verbo di Verdi aveva ascoltato dalla fonte prima. E che si traduce in dominio assoluto della partitura, studio rigorosissimo, lunghe prove al pianoforte, attenzione al più piccolo dettaglio e al senso vero di ogni frase, musicale e poetica.

La strenua difesa della cultura musicale italiana e della migliore tradizione interpretativa nelle mani di Riccardo Muti si trasforma qui in una vera e propria “accademia”: una sorta di bottega artigianale in cui il sapere maturato lungo anni di straordinaria carriera si trasmette alle giovani generazioni. Oggetto di studio e approfondimento quest’anno è stata appunto “La traviata”, un’opera popolare ma raffinatissima, come tutte le opere di Verdi, “la cui scrittura -spiega Muti – è teatro, sempre: teatro scavato, ricercato, studiato alla perfezione. Tornito sui significati profondi della parola, sui silenzi. E fatto di grandi gesti melodici, ma anche di piccole dissonanze nascoste, rivelatrici… dove tutto è chiosato: in partiture fitte di indicazioni espressive, con parole, dinamiche e colori dettagliati con precisione meticolosa”. Una ricchezza che stride con consuetudini interpretative a dir poco irrispettose, perché “pochi autori sono bistrattati al pari di Verdi: alle sue opere si fanno tranquillamente tagli, o aggiunte… si storpiano le parole, gli accenti, le intenzioni, tanto che il dramma diventa comico… Verdi non l’avrebbe tollerato. Il suo teatro è tagliato nel cristallo come quello di Mozart, basta volerlo e saperlo leggere!”.

Info e prevendite: 0544 249244 – teatroalighieri.org
Biglietti: da 20 a 93 euro (ridotti 85)
‘Speciale giovani’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffe ridotte.

Teatro Alighieri di Ravenna
Mercoledì 3 agosto, ore 20.30

Riccardo Muti
dirige una selezione di brani tratti da “La traviata” di Giuseppe Verdi

Preludio e Atto Primo Introduzione e Brindisi
Scena ed Aria Violetta (Finale Atto i)
Atto II, Parte I
Atto II, Parte II
Atto III

Violetta Valéry Claudia Pavone, Venera Protazova
Flora Bervoix, Annina Mariangela Marini
Alfredo Germont Ivan Defabiani
Giorgio Germont, suo padre Sergio Vitale
Gastone, Visconte di Letorières Oreste Cosimo
Barone Douphol Donato Di Gioia
Marchese D’Obigny Daniele Macciantelli
Dottor Grenvil Graziano Dallavalle

Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
maestro del coro Corrado Casati

Libertà e pace nella voce di Joan Baez


Palazzo Mauro de Andrè, mercoledì 13 luglio ore 21

Il cerchio si chiude, come in un antico mandala, con l’ultimo, preziosissimo granello di sabbia colorata. E il cammino «sulla lunga strada per la libertà» di Ravenna Festival, che ha preso il via dall’omaggio a Nelson “Madiba” Mandela, arriva all’icona del pacifismo e della lotta per i diritti civili, alla folk-singer più celebre di tutti i tempi, Joan Baez. L’usignolo di Woodstock, come è stata definita dopo lo storico festival del 1969, sarà sul palcoscenico del Palazzo De André, mercoledì 13 luglio (ore 21.00) – accompagnata da Dirk Powell (fiddlle, banjo, mandolino, chitarra, fisarmonica e pianoforte) e Gabriel Harris (percussioni) – per una serata indimenticabile che offrirà l’occasione per ripercorrere la lunga carriera di una delle più grandi voci femminili di tutti i tempi.

Joan Chandos Báez, seconda di tre sorelle, nasce il 9 gennaio 1941 a Staten Island in una famiglia scozzese-messicana che da subito le fornisce l’humus per far crescere valori democratici e culturalmente impegnati. La madre, Joan Bridge, di Edimburgo, è docente di letteratura. Il padre Albert Vinicio è infatti un fisico con ideali profondamente pacifisti: rifiuta di partecipare al “Progetto Manhattan” che porta alla costruzione della bomba atomica e, durante la guerra fredda, rinuncia a importanti commesse per l’industria bellica; si impegna invece nell’assistenza sanitaria e nell’Unesco. Un incarico, quest’ultimo, che lo porta a spostarsi insieme alla famiglia dagli Stati Uniti all’Europa, fino al Medio Oriente, Iraq compreso. Anni dopo Joan scrive che il periodo vissuto a Baghdad le ha fatto capire molto sulle ingiustizie umane; e, dice ancora, pur ancora bambina, si è sentita vicina alla sofferenza di quella gente.

Inizia a suonare da giovanissima, affascinata dalle canzoni di Pete Seeger, che impara subito a cantare. Nella propria carriera, lunga cinquant’anni, riesce a passare dai temi della beat generation all’impegno per i diritti civili, diventando il simbolo di una generazione “in rivoluzione”. Qualche esempio? Nel 1965 canta l’inno pacifista “We Shall Overcome” e si unisce alla voce di Martin Luther King nella storica marcia per i diritti civili in Alabama; e l’anno dopo è al fianco di Cesar Chavez e dei contadini immigrati della California, nella loro lotta per ottenere migliori condizioni di lavoro e di vita. Poi la musica e l’attivismo politico diventano inseparabili per Joan Baez quando l’America comincia a parlare del Vietnam: “Where Have All the Flowers Gone?”, chiede Joan con la chitarra, gridando pubblicamente la propria obiezione alle spese di guerra. Icona, dunque, del pacifismo, e della lotta per i diritti civili, ha anche interpretato la canzone di Gianni Morandi, “C’era un ragazzo che come me…”, facendola conoscere al mondo intero. D’altra parte il suo primo atto di “disubbidienza civile” risale a quando ha 16 anni e, studentessa alla Palo Alto High School, rifiuta di uscire da scuola per un’esercitazione anti aerea. È l’anno in cui acquista la prima chitarra Gibson, per 50 dollari.

Centrale, nella vita e nella carriera artistica di Joan Baez, il profondo rapporto artistico e personale con Bob Dylan che si dipana in un breve ma intenso periodo degli anni Sessanta e che contribuisce ad aumentare e “raffinare” i temi di protesta e di richiesta di giustizia delle proprie composizioni. Non a caso nella canzone “To Bobby”, del 1972, lo implora direttamente a tornare all’attivismo politico. È lo stesso anno in cui si unisce a una delegazione pacifista che attraversa il Vietnam del Nord per sostenere i diritti umani e per consegnare la posta ai prigionieri di guerra americani. E mentre si trova ad Hanoi, la città viene investita dal cosiddetto “bombardamento di Natale”, che prosegue per undici giorni. Insomma, mezzo secolo canzoni e concerti che raccontano il mondo, sempre in prima linea per far circolare valori collettivi, in contro tendenza con il sogno a stelle e strisce che insegue il successo personale e il mito del consumismo. E tutto grazie a una voce straordinaria (ha un’estensione vocale di tre ottave) e una semplice chitarra. La sua musica è ancora oggi percorsa da quel vitale e gentile “We shall overcome” che ha saputo trasformare in una hit, in un successo contagioso: un inno che incoraggia ad alzarsi in piedi e a lottare per una società più giusta. Non a caso nel 2009 ne ha inciso anche alcune strofe in farsi, rilanciando la nuova versione della canzone su YouTube, per esprimere la propria solidarietà al popolo iraniano, che subiva le repressioni del regime durante le manifestazioni per le frodi elettorali di quell’anno. È, senza dubbio alcuno, una straordinaria folk-singer, ma la sua musica negli anni ha spaziato anche nel rock, pop, country e gospel. Autrice di molte delle proprie canzoni, ha interpretato anche brani degli amici e colleghi Woody Guthrie, Pete Seeger, Bob Dylan, dei Beatles e dei Rolling Stones; di Jackson Browne, Paul Simon, Stevie Wonder e molti altri.

Nominata Ambasciatore della Coscienza 2015 di Amnesty International (il principale riconoscimento che Amnesty riserva a coloro che hanno mostrato straordinario carisma nella lotta per i diritti umani, nella loro vita e nella loro carriera professionale un tributo a personalità straordinarie che usano il loro talento per sensibilizzare tantissime persone) Joan Baez ha risposto all’appello dell’organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani, e di Roberto Saviano, per la campagna a favore dei diritti umani “Here’s to you”, – che richiama appunto la grande ballata che la stessa Baez ha scritto con Ennio Morricone per il film “Sacco e Vanzetti” – decidendo di cantare in questo tour anche quella sua celebre canzone e di ospitare negli ingressi dei teatri un desk di Amnesty.

“An evening with Joan Baez” il tour italiano che si apre a Ravenna Festival – dove il concerto è realizzato con il contributo di Coop Alleanza 3.0 – proseguirà il 14 luglio al Teatro del Vittoriale di Gardone Riviera, il 16 a Recanati, il 18 a Roma nella Cavea dell’Auditorium Parco della musica e il 19 a Bollate (Villa Arconati).

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: ingresso da 15 euro (ridotto 12) a 45 euro (ridotto 41)
Speciale giovani: 5 euro per under 14; under 18 anni e universitari 50% tariffe ridotte

In occasione del concerto di Joan Baez è attivo il servizio navetta straordinario e gratuito – dedicato al pubblico del Festival – che percorrerà 2 volte la tratta Stazione Ferroviaria – Palazzo M. De André con partenza da Piazza Farini alle ore 20,15 e 20,30. Al termine del concerto due corse riporteranno gli spettatori al capolinea.

Beethoven e Bruckner per il ritorno di Kent Nagano a Ravenna Festival


Palazzo Mauro de Andrè, lunedì 11 luglio ore 21

L’intelligenza e la purezza delle sue interpretazioni l’hanno reso famoso, così come il gesto elegante e incisivo, e Ravenna Festival è uno dei suoi palcoscenici prediletti. Il direttore californiano Kent Nagano torna lunedì 11 luglio (ore 21 al Palazzo de Andrè) a Ravenna (per la quinta volta dal 1998) sul podio dell’Hamburg Philhamonic che dallo scorso anno lo ha scelto come direttore musicale. Un ritorno segnato da un programma, di grande impegno interpretativo e decisamente accattivante per il pubblico, che è un “monumento” alla grande musica tedesca del XIX secolo: da una parte il prodigio del Concerto n. 4 in sol maggiore per pianoforte e orchestra op. 58 di Ludwig van Beethoven, dall’altra la più “intima” delle poderose sinfonie di Anton Bruckner, la Sesta in la maggiore.

Si completa così la ricca galleria di direttori che ha animato questa ventisettesima edizione del festival: da Riccardo Muti a Ivan Fischer e Daniel Harding, fino appunto al maestro di origini giapponesi, allievo di Bernstein e Boulez, prescelto da Messiaen che fu suo mentore, e da anni chiamato a dirigere i massimi complessi orchestrali in Europa e negli States – in particolare legato all’Orchestra sinfonica di Montreal e a quella di Göteborg, oltre che proprio alla Filarmonica di Amburgo.

Ad interpretare il Concerto beethoveniano che apre il concerto di Ravenna è chiamato Martin Helmchen: “ha un portamento nobile e un suono sublime e sa modellare linee musicali eleganti e pulite come quelle di un tempio greco”, così scrive il «New York Times» di questo pianista, allievo di Arie Vardie e di Alfred Brendel, e avezzo ad esibirsi con orchestre quali le Filarmoniche di Berlino e di Vienna. A Helmchen è affidato quel singolare esordio in cui il pianoforte, quasi improvvisando a sipario chiuse, espone da solo il primo tema che poi pervade tutto il primo movimento con una inesauribile serie di implicazioni e variazioni. Composto tra il 1895 e la fine dell’anno seguente – durante un biennio in cui lo svolgimento creativo di Beethoven è attraversato da un’ondata creativa di inaudita e violenta fecondità – il concerto n. 4 segna certamente una nuova dimensione espressiva nel genere. Segnato da un rapporto solista/orchestra più affettuosamente colloquiale che di contrapposizione dialettica, e soprattutto con una ricchezza armonica e una luminosità timbrica che ne sottolineano il tono “poetico”, pare quasi il rovescio intimo della medaglia del Beethoven titanico ed eroico che in quegli stessi mesi emerge invece dalla Quinta sinfonia.

La seconda parte della serata sarà invece dedicata alla Sinfonia n. 6 di Bruckner, quella che meno risponde a quell’immagine di ridondante grandiosità e di potenza strumentale che solitamente si associa al ritroso autore austriaco. Composta tra il 1879 e il 1881, eseguita solo parzialmente in pubblico vivente l’autore, fu proposta invece integralmente solo nel 1899 sotto la direzione di Gustav Mahler, che di Bruckner era stato allievo. Quella che l’autore definiva “la più sfacciata delle mie sinfonie” è certamente meno cerimoniosa delle altre, meno “altisonante”, anche se non mancano momenti di densa polifonia e di vertigine armonico-ritmica come nel Majestoso d’apertura. Solo il tono generale più controllato e dimesso è pervaso di ripensamenti intimistici e di slanci di immediata cantabilità. Sembra che Brahms, che mai era stato tenero con Bruckner, presente a Vienna nel febbraio del 1883 alla primissima esecuzione (dei soli secondo e terzo movimento), si sia unito agli applausi del pubblico.

Il concerto è reso possibile grazie al contributo di CNA Provinciale di Ravenna in collaborazione con Arco Lavori.

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: da 15 euro (ridotti 12) a 93 euro (ridotti 85)
‘I giovani al festival’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffe ridotte.

Come per tutti i concerti al Palazzo de Andrè è attivo il servizio navetta straordinario e gratuito – dedicato al pubblico del Festival – che percorrerà 2 volte la tratta Stazione Ferroviaria – Palazzo M. De André con partenza da Piazza Farini alle ore 20,15 e 20,30.
Al termine del concerto due corse riporteranno gli spettatori al capolinea.

Le danze visionarie di Alonzo King


Palazzo Mauro de André, sabato 9 luglio ore 21,30

Lo chiamano “coreografo visionario” per il talento che Alonzo King dipana nelle sue costruzioni di danza, “cattedrali” di movimento puro. Cattedrali visibili e apprezzabili anche nel dittico che presenta nella sua prima apparizione al Ravenna Festival (sabato 9 luglio, Palazzo Mauro de Andrè ore 21.30) con i paesaggi di danza intima di Writing Ground, ispirato alle liriche di Colum Mc Cann su un mosaico di musiche tradizionali di diverse religioni, e Rasa, coreografia nata dalla collaborazione con il grande musicista di tabla Zakir Hussain (uno dei molti specialisti di World Music con i quali King collabora da sempre), intessuto di una squisita filigrana coreografica dove, nell’eco di gesti che riemergono inaspettatamente dalla struttura classica, l’autore sembra suggerire una connessione tra i diversi linguaggi del corpo, confluiti nel corso del tempo in un unicum.

È un gioco di linee aguzze e luminose, quello di Alonzo King, rivelatore delle forti ascendenze balanchiniane dell’artista, che fu allievo di Stanley Williams alla School of American Ballet. Eredità entrata nel suo dna ed imprinting decisivo – maggiore anche del breve passaggio da Alvin Ailey – quando decise di passare definitivamente (a soli trent’anni) alla coreografia, fondando nel 1982 la sua compagnia Lines, con sede a San Francisco in California. Da allora è stato un esploratore instancabile dell’evoluzione del balletto neoclassico in forme contemporanee e in lavori sensibili al rapporto con altri generi musicali e artistici, come le collaborazioni con il maestro di tablas Zakir Hussain, il leggendario sassofonista Pharaoh Sanders e persino con i monaci Shaolin o gli artisti africani Baka. La tecnica del balletto classico non è per King uno stile, bensì “una scienza di movimento basata su leggi naturali”, alla quale affianca, per l’allenamento dei suoi danzatori, altre discipline, dallo yoga al Gyrokinesis. Figlio di un attivista per i diritti civili, Alonzo King è inoltre figura perfettamente in sintonia con il tema sulle tracce di Mandela lanciato dal Ravenna Festival di quest’anno. E al Palazzo Mauro de André dimostrerà nel suo dittico l’anelito spirituale cui si ispira negli ultimi anni. “La danza può e deve essere un ritorno allo spirito. Com’era in origine: una pratica per connettersi con il Divino”, afferma King. A interpretare le sue “thought structures” (“meditate strutture”) di danza, una compagnia recentemente rinnovata con interpreti svettanti in altezza e tecnica brillante, in grado di lanciarsi nelle pirotecnie dei suoi lavori.

Commissionata nel 2010 dai Ballets de Monte-Carlo Writing Ground, che ha debuttato negli Stati Uniti nel 2013, è una coreografia ispirata alle liriche di Colum McCann, scrittore americano di origine irlandese, affiancata da una selezione raffinata di musica sacra tratta dalla tradizione ebraica, cristiana, musulmane e tibetana. King la immagina come danza empatica tra culture e religioni diverse, immersa in un bagno dorato dalle luci di Axel Morgenthaler, abituale collaboratore di King, e dai costumi raffinati di Robert Rosenwasser, altra firma storica del Lines Ballet. Nelle note di presentazione, Colum McCann dedica alcuni versi alla vessata condizione delle donne, a cui fa eco un episodio della coreografia nella danza desolata di una danzatrice, al tempo stesso forte e vulnerabile.

Rasa, che chiude lo spettacolo, nasce nel 2007 dalla collaborazione con il grande musicista di tabla Zakir Hussain. Un rapporto basato sui fondamenti della ‘classicità’: “Cosa si intende per classico? Ciò che è permanente, opposto a ciò che è temporaneo. È ciò che sostanzia l’essenza delle opere che attraversano i tempi e restano universalmente ‘parlanti’, ieri come oggi.”
E così ecco che la dialettica tra danza e la musica per tabla parte proprio dall’idea di universalità/permanenza che sostanzia le due arti. King si confronta con la complessa partitura di Hussein ( cui si affianca il violino e la voce di Kala Ramnath) partendo dalla sua visione del senso del movimento che si ‘irradia’ dal singolo danzatore. Non sfugge infatti che nelle nove sezioni di Rasa la danza non è quasi mai ‘corale’, quanto piuttosto giustappone i singoli interpreti – ora colti in assoli, ora in duetti o trii- ciascuno sempre con il proprio specimen coreografico. In questa complessa e suggestiva tessitura di dinamiche si compie un altro dei tipici effetti della danza di King. L’occhio è portato a focalizzare i particolari: un polso che improvvisamente si piega; un busto che si avvolge su se stesso; ora un danzatore isola parti del corpo come nell’hiphop, un altro avvolge una gamba sull’altra in un sinuoso arabesco fisico.

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: da 12 euro (ridotti 10) a 42 euro (ridotti 38)
I giovani al festival’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffe ridotte.

Il servizio navetta gratuito per il Palazzo de Andrè, realizzato in collaborazione con Start Romagna e con il contributo di Tecno Allarmi Sistemi, percorrerà 2 volte la tratta Stazione – Palazzo M. De André, con partenza da Piazza Farini, alle ore 20,30 e 20,45. Al termine dello spettacolo due corse riporteranno gli spettatori al capolinea.

Alonzo King

Al termine della sua carriera di danzatore nell’Alvin Ailey American Dance Theatre e nell’American Ballet Theatre, nel 1982 crea la sua compagnia. Considerato dalla critica un coreografo visionario, è regolarmente invitato per nuove creazioni presso le più importanti compagnie, tra le quali il Frankfurt Ballett, Alvin Ailey American Dance Theatre, Swedish Royal Ballet, Joffrey Ballet, Dance Theater of Harlem.
Molto noto negli Stati Uniti, collabora regolarmente con la televisione, il cinema, l’opera. Nel 1989 inaugura a San Francisco il Dance Center, sede della compagnia, e dal 2001 della LINES Ballet School. Nel corso della sua carriera di interprete e coreografo ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti internazionali. Grande ammiratore di George Balanchine, Alonzo King ha sviluppato una danza inventiva, sensuale, vibrante, anche grazie al contributo dei suoi danzatori, forti di una tecnica ineccepibile. Le collaborazioni con artisti di diversa provenienza e disciplina generano creazioni nutrite di forti diversità culturali, un ponte tra tradizione e modernità. William Forsythe ha detto di lui: “è uno dei rari veri maestri della nostra epoca”.

Alonzo King LINES Ballet

Compagnia di danza contemporanea con base a San Francisco, è guidata dal 1982 da Alonzo King, con una visione artistica globale unica nel suo genere.
Collaborando con compositori, musicisti e visual artist di fama internazionale, Alonzo King crea brani che si ispirano ad un amplio ventaglio di tradizioni culturali, profondamente ancorati alla tecnica del balletto classico e di grande potenziale espressivo. Tra questi il saxofonista jazz Pharoah Sanders, il virtuoso di tabla Zakir Hussain, l’attore Danny Glover, i monaci Shaolin. Parallelamente alle abituali stagioni a San Francisco, la compagnia gode sempre più di grandi successi internazionali, presente nelle stagioni e nei festival più importanti tra i quali la Biennale Danza di Venezia, Montpellier Danse, Wolfsburg Festival, La Maison de La Danse di Lione ed il Monaco Danse Forum. La Compagnia sostiene il suo progetto didattico attraverso la LINES Ballet School, il programma in collaborazione con l’Università Dominicana della California e il Dance Center, uno dei maggiori centri dedicati alla danza nella costa ovest degli Stati Uniti.

Il termine LINES (traduzione letteraria di “linee”) è un’allusione a tutto ciò che è visibile nel mondo fenomenico. Non esiste nulla che non sia formato senza una linea. La linea ed il cerchio sono presenti in ogni forma visibile. Nella matematica si tratta di una serie infinita di punti dritti o curvi senza larghezza. Siamo contornati da linee: le nostre impronte digitali, la forma del nostro corpo, le costellazioni, la geometria. La linea implica connessione genealogica, progenie e parole. Indica una direzione, un’intenzione di comunicare ed un concetto. Il filo di un pensiero. Una frontiera o l’infinito. Una linea melodica. L’Equatore. Una vibrazione o un’insieme di punti, una linea è l’organizzazione visibile di ciò che vediamo.
Alonzo King

A Ravenna Festival l’anteprima nazionale di HUMAN,

di e con Marco Baliani e Lella Costa
Teatro Alighieri, venerdì 8 e sabato 9 luglio ore 21

Venerdì 8 luglio debutta in anteprima nazionale al Teatro Alighieri (replica il 9, sempre alle 21) nell’ambito di Ravenna Festival 2016 “HUMAN” il nuovo spettacolo di Marco Baliani e Lella Costa che sarà in tournée sui palcoscenici italiani nella stagione 2016/17 a partire dal Teatro Strehler di Milano. Scene e costumi sono di Antonio Marras, le musiche originali di Paolo Fresu con Gianluca Petrella. “Perché si mettono in viaggio sapendo in partenza che forse moriranno? Per quel forse” in questa frase di Baliani e Costa la sintesi della riflessione a cui invita lo spettacolo. Testimonianze dirette, brandelli di vita vissuta, narrazioni tramandate da chi si è spostato da una riva all’altra di quel mare che dovrebbe unire, ma che si è trasformato in un baratro di sofferenza. Marco Baliani supera il proprio concetto di teatro civile e, insieme a Lella Costa, indaga la linea di confine che separa l’umano dal disumano. Il racconto, moltiplicato dalle voci di quattro giovani attori (David Marzi, Noemi Medas, Elisa Pistis e Luigi Pusceddu, selezionati nel corso di un workshop tenutosi a Cagliari), affronta il tema della migrazione, di uomini e donne in fuga da guerre e carestie, in cerca di salvezza. Quei ricordi si sovrappongono alle epopee classiche e diventano anch’essi mito. Senza rinunciare all’ironia, perché solo il teatro sa toccare nodi conflittuali terribili con la leggerezza del sorriso, la visionarietà delle immagini, l’irriducibilità della poesia.

Un lavoro – scritto da Baliani e Costa con la collaborazione alla drammaturgia di Ilenia Carrone – che si dipana tra attualità e mito: «D’armi io canto e dell’eroe che, primo, dalle coste di Troia venne all’Italia, profugo per suo destino». La prima ispirazione è stata l’Eneide, il poema di Virgilio che celebra la nascita dell’impero romano da un popolo di profughi: in una lectio magistralis tenuta nell’aula magna dell’Alma Mater Studiorum di Bologna, Marco Baliani è partito dal mito per interrogarsi e interrogarci sul senso profondo del migrare.
Poi l’incontro con Lella Costa e la reminescenza di un altro mito, ancora più folgorante nella sua valenza simbolica e profetica: Ero e Leandro, i due amanti che vivevano sulle rive opposte dell’Ellesponto. Prende avvio così HUMAN, dal tema delle migrazioni e dalla volontà di raccontarne “l’odissea ribaltata”. Ma nel suo farsi vira, incalzato dagli eventi: al centro si pone lo spaesamento comune, quell’andare incerto di tutti quanti gli human beings in questo tempo fuori squadra.

All’interno del progetto teatrale Human Eni, main partner, si inserisce con un percorso di coinvolgimento attivo degli studenti delle scuole superiori di cinque delle città toccate dal tour. L’obiettivo è quello di innescare una riflessione tra le giovani generazioni sul tema dei diritti umani, della migrazione e della trasformazione del tessuto sociale, a partire da alcune parole chiave dello spettacolo, UMANO/FUGA/NOI/CONFINI/SGUARDO. Le riflessioni degli studenti daranno vita ad una videoinstallazione che accompagnerà lo spettacolo a Ravenna, Torino, Milano, Mestre e Livorno. Al termine del progetto, gli autori selezioneranno uno tra i racconti scritti dai ragazzi, che diventerà la sceneggiatura di un cortometraggio. A Ravenna è stato coinvolto il Liceo Scientifico Oriani e dalla penna di Francisca Orrego, Bruno Nery Fernandes, Ilaria Fabbrocino, Lorenzo Bottacini, Eugenia Mazzotti, Robin Smith e Letizia Giangiulio sono nati altrettanti pensieri, storie, e racconti di speranza, di vera umanità.

Partner del Festival per lo spettacolo in scena all’Alighieri l’Autorità Portuale di Ravenna.

Info e prevendite: tel. 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: da 15 a 35 euro.
‘I giovani al festival’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffe ridotte.

HUMAN

Il titolo lo abbiamo trovato, la parola HUMAN sbarrata da una linea nera che l’attraversa, come a significare la presenza dell’umano e al tempo stesso la sua possibile negazione.
Umano è il corpo nella sua integrità fisica e psichica, nella sua individualità.
Quando questa integrità viene soppressa, o annullata con la violenza, si precipita nel disumano.

Umani sono i sentimenti, le emozioni, le idee, le relazioni, i diritti.
Li abbiamo sognati eterni e universali: dobbiamo prendere atto – con dolore, con smarrimento – che non lo sono.
La storia del nostro novecento e ancora le vicende di questo primo millennio ci dicono che le intolleranze e le persecuzioni, individuali o di massa, nei confronti degli inermi e degli innocenti, continuano a perpetrarsi senza sosta.
Con la nostra ricerca teatrale vogliamo insinuarci in quella soglia in cui l’essere umano perde la sua connotazione universale, utilizzare le forme teatrali per indagare quanto sta accadendo in questi ultimi anni, sotto i nostri occhi, nella nostra Europa, intesa non solo come entità geografica, ma come sistema “occidentale” di valori e di idee: i muri che si alzano, i fondamentalismi che avanzano, gli attentati che sconvolgono le città, i profughi che cercano rifugio.

Ma se ci fermassimo qui sarebbe un altro esempio di cosiddetto teatro civile, e questo non ci basta: non vogliamo che lo spettatore se ne vada solo più consapevole e virtuosamente indignato o commosso.
Vogliamo spiazzarlo, inquietarlo, turbarlo, assediarlo di domande.
E insieme incantarlo e divertirlo, ché è il nostro mestiere.
E per riuscirci indagheremo teatralmente proprio quel segno di annullamento, quella linea che sancisce e recide: esplorare (e forse espugnare?) la soglia fatidica che separa l’umano dal disumano, confrontarci con le parole, svelare contraddizioni, luoghi comuni, impasse, scoperchiare conflitti, contraddizioni, ipocrisie, paure indicibili.

Vogliamo costruire un teatro spietatamente capace di andare a mettere il dito nella piaga, dove non si dovrebbe, dove sarebbe meglio lasciar correre. E andare a raggiungere i nervi scoperti della nostra cultura riguardo alla dicotomia umano/disumano.

Senza rinunciare all’ironia e perfino all’umorismo: perché forse solo il teatro sa toccare nodi conflittuali terribili con la leggerezza del sorriso, la visionarietà delle immagini, la forza della poesia.

Marco Baliani e Lella Costa

Le testimonianze dirette, i brandelli di vita vissuta, le narrazioni tramandate e quelle elaborate sui fatti contingenti; le riflessioni degli autori, i loro ripensamenti, gli approfondimenti, le citazioni in parole o immagini, fanno parte del diario di viaggio dello spettacolo pubblicato sul sito www.progettohuman.it che racconta e segue anche le azioni collaterali nate per arricchire di senso e sfumature la parola HUMAN:

– NOIS. Il TG dei Migranti per i Migranti è un notiziario web a carattere multietnico.
Promosso e realizzato da Sardegna Teatro e Ejatv, stato selezionato dal MIBACT nell’ambito del progetto MigrArti.
Il notiziario si articola come un vero e proprio programma di informazione con servizi che guardano particolarmente alla realtà sarda, ma anche con reportages che arrivano dai diversi paesi affacciati sul Mediterraneo. Ampio spazio è dedicato alle buone pratiche nate dal basso per rispondere al tema dell’integrazione tra i popoli e per illustrare il fenomeno migratorio degli ultimi anni verso il territorio italiano.
NOIS si configura come un contenitore dedicato ai migranti (ma non solo) in grado di divulgare notizie e informazioni utili per l’accesso ai servizi, la formazione e l’integrazione.
NOIS invita ad abbattere i pregiudizi che vivono intorno al tema dei migranti e lo fa in maniera attiva: l’approccio multiculturale, già a partire dalla conduzione del tg, è un modo per fare parlare un nuovo pezzo dell’Italia: in continua crescita ma spesso privo di possibilità di comunicazione in grado di arrivare alla società intera.

Batsheva Dance Company: danzare la vita con Ohad Naharin (Mr. Gaga)

Danza fisica, nervosa, potente e al tempo stesso capace di cedevoli morbidezze: è l’arte dei danzatori della Batsheva, la più importante compagnia israeliana guidata da Ohad Naharin in scena mercoledì 6 luglio al Palazzo De Andrè (ore 21.30). Al Ravenna Festival presentano Decadance, mosaico cangiante che attinge tasselli dal repertorio e li trasforma in affreschi sempre diversi per ogni palcoscenico. In un flusso sonoro che va dalla bossa nova e i Beach Boys ai canti tradizionali ebraici (questi arrangiati ed eseguiti da Naharin stesso con The Tractor’s Revenge), Decadance ricuce una trama di coreografie in ordine sparso, non cronologico. Nello spettacolo presentato al Festival, la compagnia proporrà frammenti di Z/na (1995), Kyr (1990), Anaphase (1993), Mabul (1992), Sadeh21 (2011), Virus (2001), Zachacha (1998), Three (2005).

Assemblato per la prima volta nel 2000, in occasione dei dieci anni della direzione di Naharin, lo spettacolo-collage è diventato il cuore pulsante della Batsheva, occasione per “rileggersi” e reinterpretarsi. Offrendo visioni mozzafiato con quei corpi-anima che trasudano sentimenti forti, che si percuotono le membra o si lanciano senza paura nel vuoto, oltre il muro (Sadeh 21). Corpi-corali, orchestrati con quel magico training inventato da Naharin, il Gaga, con il quale riscoprire all’interno di se stessi il movimento più vero, a volte inaspettato.

“L’idea di base – racconta il coreografo israeliano – è ascoltare il corpo prima di dirgli cosa fare. Connettere sforzo e piacere, imparare ad ascoltare la gravità come la forza più importante della danza. Il Gaga ci insegna a sublimare le nostre paure, la rabbia e le fantasie in forma chiara”. Un modo nuovo di entrare in contatto con le risorse interiori e usare tutta la potenzialità di cui si è capaci che i danzatori della Batsheva mettono a frutto fin dal 1990, da quando cioè Naharin ha preso le redini della compagnia e l’ha trasformata in un gruppo di interpreti ad alta intensità. “Per me – spiega ancora Ohad – l’atto della coreografia è intimamente legato alla capacità di aiutare i miei danzatori a interpretare il mio lavoro e andare oltre i limiti a loro noti basati sulla routine”.

Naharin per le intelaiature dei suoi lavori attinge alle proprie origini nel tentativo di raggiungere una sincerità profonda, non un’identità sovrastante all’arte. Lo testimonia lo “scandalo” del 1998, quando a Gerusalemme si tennero le celebrazioni per i 50 anni della nascita dello Stato di Israele. Tra gli spettacoli in programma, figurava Anaphase della Batsheva, un esercito di ballerini che si spogliava della tenuta kaki, ma durante le prove qualche zelota si preoccupò di protestare per il passaggio in cui i danzatori restavano in indumenti intimi. Il presidente Ezer Weizman in persona gli chiese di censurare quella sequenza, facendo indossare “qualcosa di più decoroso”. Il coreografo si rifiutò e la compagnia si schierò compatta dalla sua parte. Il caso divenne una medaglia da appendere al petto dell’artista per la libertà d’espressione in Israele. Anche recentemente con il suo Last Work (2015), Naharin ha ribadito con la fermezza che lo contraddistingue le sue posizioni:
“Last Work – precisa – perché forse sarà il mio ultimo lavoro. Io amo Israele, ma stiamo vivendo in un momento infestato da razzisti, da grande ignoranza, abuso di potere e fanatici. Una situazione che mette in pericolo non solo il mio lavoro di creatore ma le vite di tutti noi. Stiamo vivendo un periodo di nuova violenza e oscurità. Quale potrebbe essere il ruolo della danza (ammesso che ce ne possa essere uno, oggigiorno) per permettere una migliore comprensione delle istanze e delle culture altrui? L’arte può insegnare la virtù di una nuova soluzione e il vantaggio di rinunciare a vecchie (cattive) idee. La danza in particolare insegna che connotazioni nazionali, religiose, geografiche ed etniche non hanno importanza.”

Lo spettacolo è presentato al Festival grazie al contributo di Publimedia Italia.

Info e prevendite: 0544 249244 – www.ravennafestival.org
Biglietti: da 12 euro (ridotti 10) a 42 euro (ridotti 38)
I giovani al festival’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffe ridotte.

Il servizio navetta gratuito per il Palazzo de Andrè, realizzato in collaborazione con Start Romagna e con il contributo di Tecno Allarmi Sistemi, percorrerà 2 volte la tratta Stazione – Palazzo M. De André, con partenza da Piazza Farini, alle ore 20,30 e 20,45. Al termine dello spettacolo due corse riporteranno gli spettatori al capolinea.

Batsheva Dance Company

direzione artistica Ohad Naharin

Decadance

coreografia Ohad Naharin
luci e Stage Design Avi Yona Bueno (Bambi)
costumi Rakefet Levi

estratti da: Z/na (1995), Kyr (1990), Anaphase (1993), Mabul (1992), Sadeh21 (2011), Virus (2001), Zachacha (1998), Three (2005)

Interpreti

Olivia Ancona, William Barry, Mario Bermudez Gil, Omri Drumlevich, Bret Easterling, Iyar Elezra, Hsin-Yi Hsiang, Rani Lebzelter, Or Moshe Ofri, Rachael Osborne, Shamel Pitts, Oscar Ramos, Nitzan Ressler, Ian Robinson, Or Meir Schraiber, Maayan Sheinfeld, Zina (Natalya) Zinchenko, Adi Zlatin

OHAD NAHARIN

Nato nel 1952 nel Kibbuz Mizra in Israele , si avvicina allo studio della danza nel 1974 presso la Batsheva Dance Company. Notato immediatamente da Martha Graham per il suo straordinario talento , lo invita a New York per integrarsi alla sua compagnia e dove può completare la sua formazione artistica grazie ad una borsa di studio dell’America-Israel Cultural Foundation presso la School of American Ballet, proseguita presso la prestigiosa Juillard School e completata con Maggie Black e David Howard. La sua carriera di interprete prevede collaborazioni con numerose compagnie internazionali tra le quali l’israeliana Bat-Dor e il Ballet Bejart du XXe Siècle a Bruxelles. Nel 1980 ritorna a New York e nello stesso crea unitamente alla moglie, Mari Kajiwara morta di tumore nel 2001, la Ohad Naharin Dance Company .Per dieci anni la compagnia presenta con grande successo le nuove creazioni a New York ed internazionalmente . L’eco di questo nuovo linguaggio coreografico produce commissioni di nuovi lavori da parte di importanti compagnie, tra questa la Batsheva Dance Company , Kibbutz Contemporary Dance Company, e Nederlands Dans Theater. Nel 1990 viene nominato alla direzione artistica di Batsheva Dance Company posizione mantenuta fino ad oggi con eccezione della stagione 2003_2004 nella quale ha occupato la posizione di coreografo residente. Nel corso degli anni ha creato per la compagnia, e per l’Ensamble Batsheva Junior, oltre trenta nuovi lavori. Dotato di una solida formazione musicale , si avvale di questa sua abilità per amplificare l’impatto delle sue coreografie. La sua straordinaria inventiva l’unicità del vocabolario del suo movimento lo rendono uno dei coreografi più richiesti da parte delle più importanti compagnie del mondo. Per il suo indiscusso contributo al mondo della danza e’ stato insignito di numerosi premi e riconoscimenti , tra questi Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres (1998), New York Dance and Performance (Bessie) Award per la creazione “Virus” (2002), New York Dance and Performance (Bessie) Award fper la creazione “Anaphaza” (2004), Doctor of Philosophy honoris causa assegnato dal Weizmann Institute of Science (2004), the Israel Prize for dance (2005), a Doctor of Philosophy honoris causa assegnato dalla Hebrew University (2008), l’ EMET Prize nella categoria delle Arti e della Cultura , (2009), il Samuel H. Scripps American Dance Festival Award for Lifetime Achievement (2009), Dance Magazine Award (2009), honorary Doctor of Fine Arts dalla Juilliard School a New York (2013), Honorary Fellowship da parte del Tel Aviv Museum (2014) e l’ Honorary Fellowship dal Rupin Academic Center (2015).

La Batsheva Dance Company, acclamata sia dalla critica che dal pubblico, è considerata una delle più importanti compagnie di danza contemporanea del mondo. Unitamente a Batsheva Junior – l’Ensamble giovanile – la compagnia conta su un organico di 34 danzatori provenienti non solo da Israele. Ha un calendario di oltre 250 recite a stagione con un pubblico di oltre 75,000 spettatori. Creata nel 1964 dalla Baronessa Batsheva de Rothschild, fino al 1975 ha avuto la supervisione artistica di Martha Graham . Ohad Naharin ne assume la direzione artistica nel 1990 e grazie alla sua avventurosa visione ed al suo originale linguaggio coreografico ha spinto la compagnia in una nuova era. Ohad Naharin e’ l’ideatore di un innovativo linguaggio di movimenti, Gaga , che ha arricchito la sua straordinaria capacità di inventare il movimento, rivoluzionato l’allenamento quotidiano della compagnia, e si e’ imposto come una crescente forza di movimento al livello internazionale . Non solo per danzatori professionisti ma anche per le persone comuni. I danzatori della compagnia sono parte attiva e collaborano in studio al processo creativo, inoltre possono esprimere il loro talento creativo nell’annuale progetto “Batsheva Dancers Create” che beneficia del supporto di The Michael Sela Fund per la Cultura dei Giovani talenti all’interno della compagnia. Batsheva Dance Company e’ compagnia residente al Suzanne Dellal Centre di Tel Aviv.

Batsheva Dance Company: danzare la vita con Ohad Naharin (Mr. Gaga)
Palazzo Mauro de Andrè, mercoledì 6 luglio ore 21.30

Danza fisica, nervosa, potente e al tempo stesso capace di cedevoli morbidezze: è l’arte dei danzatori della Batsheva, la più importante compagnia israeliana guidata da Ohad Naharin in scena mercoledì 6 luglio al Palazzo De Andrè (ore 21.30). Al Ravenna Festival presentano Decadance, mosaico cangiante che attinge tasselli dal repertorio e li trasforma in affreschi sempre diversi per ogni palcoscenico. In un flusso sonoro che va dalla bossa nova e i Beach Boys ai canti tradizionali ebraici (questi arrangiati ed eseguiti da Naharin stesso con The Tractor’s Revenge), Decadance ricuce una trama di coreografie in ordine sparso, non cronologico. Nello spettacolo presentato al Festival, la compagnia proporrà frammenti di Z/na (1995), Kyr (1990), Anaphase (1993), Mabul (1992), Sadeh21 (2011), Virus (2001), Zachacha (1998), Three (2005).

Assemblato per la prima volta nel 2000, in occasione dei dieci anni della direzione di Naharin, lo spettacolo-collage è diventato il cuore pulsante della Batsheva, occasione per “rileggersi” e reinterpretarsi. Offrendo visioni mozzafiato con quei corpi-anima che trasudano sentimenti forti, che si percuotono le membra o si lanciano senza paura nel vuoto, oltre il muro (Sadeh 21). Corpi-corali, orchestrati con quel magico training inventato da Naharin, il Gaga, con il quale riscoprire all’interno di se stessi il movimento più vero, a volte inaspettato.

“L’idea di base – racconta il coreografo israeliano – è ascoltare il corpo prima di dirgli cosa fare. Connettere sforzo e piacere, imparare ad ascoltare la gravità come la forza più importante della danza. Il Gaga ci insegna a sublimare le nostre paure, la rabbia e le fantasie in forma chiara”. Un modo nuovo di entrare in contatto con le risorse interiori e usare tutta la potenzialità di cui si è capaci che i danzatori della Batsheva mettono a frutto fin dal 1990, da quando cioè Naharin ha preso le redini della compagnia e l’ha trasformata in un gruppo di interpreti ad alta intensità. “Per me – spiega ancora Ohad – l’atto della coreografia è intimamente legato alla capacità di aiutare i miei danzatori a interpretare il mio lavoro e andare oltre i limiti a loro noti basati sulla routine”.

Naharin per le intelaiature dei suoi lavori attinge alle proprie origini nel tentativo di raggiungere una sincerità profonda, non un’identità sovrastante all’arte. Lo testimonia lo “scandalo” del 1998, quando a Gerusalemme si tennero le celebrazioni per i 50 anni della nascita dello Stato di Israele. Tra gli spettacoli in programma, figurava Anaphase della Batsheva, un esercito di ballerini che si spogliava della tenuta kaki, ma durante le prove qualche zelota si preoccupò di protestare per il passaggio in cui i danzatori restavano in indumenti intimi. Il presidente Ezer Weizman in persona gli chiese di censurare quella sequenza, facendo indossare “qualcosa di più decoroso”. Il coreografo si rifiutò e la compagnia si schierò compatta dalla sua parte. Il caso divenne una medaglia da appendere al petto dell’artista per la libertà d’espressione in Israele. Anche recentemente con il suo Last Work (2015), Naharin ha ribadito con la fermezza che lo contraddistingue le sue posizioni:
“Last Work – precisa – perché forse sarà il mio ultimo lavoro. Io amo Israele, ma stiamo vivendo in un momento infestato da razzisti, da grande ignoranza, abuso di potere e fanatici. Una situazione che mette in pericolo non solo il mio lavoro di creatore ma le vite di tutti noi. Stiamo vivendo un periodo di nuova violenza e oscurità. Quale potrebbe essere il ruolo della danza (ammesso che ce ne possa essere uno, oggigiorno) per permettere una migliore comprensione delle istanze e delle culture altrui? L’arte può insegnare la virtù di una nuova soluzione e il vantaggio di rinunciare a vecchie (cattive) idee. La danza in particolare insegna che connotazioni nazionali, religiose, geografiche ed etniche non hanno importanza.”

Lo spettacolo è presentato al Festival grazie al contributo di Publimedia Italia.

Info e prevendite: 0544 249244 – www.ravennafestival.org
Biglietti: da 12 euro (ridotti 10) a 42 euro (ridotti 38)
I giovani al festival’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffe ridotte.

Il servizio navetta gratuito per il Palazzo de Andrè, realizzato in collaborazione con Start Romagna e con il contributo di Tecno Allarmi Sistemi, percorrerà 2 volte la tratta Stazione – Palazzo M. De André, con partenza da Piazza Farini, alle ore 20,30 e 20,45. Al termine dello spettacolo due corse riporteranno gli spettatori al capolinea.

Batsheva Dance Company

direzione artistica Ohad Naharin

Decadance

coreografia Ohad Naharin
luci e Stage Design Avi Yona Bueno (Bambi)
costumi Rakefet Levi

estratti da: Z/na (1995), Kyr (1990), Anaphase (1993), Mabul (1992), Sadeh21 (2011), Virus (2001), Zachacha (1998), Three (2005)

Interpreti

Olivia Ancona, William Barry, Mario Bermudez Gil, Omri Drumlevich, Bret Easterling, Iyar Elezra, Hsin-Yi Hsiang, Rani Lebzelter, Or Moshe Ofri, Rachael Osborne, Shamel Pitts, Oscar Ramos, Nitzan Ressler, Ian Robinson, Or Meir Schraiber, Maayan Sheinfeld, Zina (Natalya) Zinchenko, Adi Zlatin

OHAD NAHARIN

Nato nel 1952 nel Kibbuz Mizra in Israele , si avvicina allo studio della danza nel 1974 presso la Batsheva Dance Company. Notato immediatamente da Martha Graham per il suo straordinario talento , lo invita a New York per integrarsi alla sua compagnia e dove può completare la sua formazione artistica grazie ad una borsa di studio dell’America-Israel Cultural Foundation presso la School of American Ballet, proseguita presso la prestigiosa Juillard School e completata con Maggie Black e David Howard. La sua carriera di interprete prevede collaborazioni con numerose compagnie internazionali tra le quali l’israeliana Bat-Dor e il Ballet Bejart du XXe Siècle a Bruxelles. Nel 1980 ritorna a New York e nello stesso crea unitamente alla moglie, Mari Kajiwara morta di tumore nel 2001, la Ohad Naharin Dance Company .Per dieci anni la compagnia presenta con grande successo le nuove creazioni a New York ed internazionalmente . L’eco di questo nuovo linguaggio coreografico produce commissioni di nuovi lavori da parte di importanti compagnie, tra questa la Batsheva Dance Company , Kibbutz Contemporary Dance Company, e Nederlands Dans Theater. Nel 1990 viene nominato alla direzione artistica di Batsheva Dance Company posizione mantenuta fino ad oggi con eccezione della stagione 2003_2004 nella quale ha occupato la posizione di coreografo residente. Nel corso degli anni ha creato per la compagnia, e per l’Ensamble Batsheva Junior, oltre trenta nuovi lavori. Dotato di una solida formazione musicale , si avvale di questa sua abilità per amplificare l’impatto delle sue coreografie. La sua straordinaria inventiva l’unicità del vocabolario del suo movimento lo rendono uno dei coreografi più richiesti da parte delle più importanti compagnie del mondo. Per il suo indiscusso contributo al mondo della danza e’ stato insignito di numerosi premi e riconoscimenti , tra questi Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres (1998), New York Dance and Performance (Bessie) Award per la creazione “Virus” (2002), New York Dance and Performance (Bessie) Award fper la creazione “Anaphaza” (2004), Doctor of Philosophy honoris causa assegnato dal Weizmann Institute of Science (2004), the Israel Prize for dance (2005), a Doctor of Philosophy honoris causa assegnato dalla Hebrew University (2008), l’ EMET Prize nella categoria delle Arti e della Cultura , (2009), il Samuel H. Scripps American Dance Festival Award for Lifetime Achievement (2009), Dance Magazine Award (2009), honorary Doctor of Fine Arts dalla Juilliard School a New York (2013), Honorary Fellowship da parte del Tel Aviv Museum (2014) e l’ Honorary Fellowship dal Rupin Academic Center (2015).

La Batsheva Dance Company, acclamata sia dalla critica che dal pubblico, è considerata una delle più importanti compagnie di danza contemporanea del mondo. Unitamente a Batsheva Junior – l’Ensamble giovanile – la compagnia conta su un organico di 34 danzatori provenienti non solo da Israele. Ha un calendario di oltre 250 recite a stagione con un pubblico di oltre 75,000 spettatori. Creata nel 1964 dalla Baronessa Batsheva de Rothschild, fino al 1975 ha avuto la supervisione artistica di Martha Graham . Ohad Naharin ne assume la direzione artistica nel 1990 e grazie alla sua avventurosa visione ed al suo originale linguaggio coreografico ha spinto la compagnia in una nuova era. Ohad Naharin e’ l’ideatore di un innovativo linguaggio di movimenti, Gaga , che ha arricchito la sua straordinaria capacità di inventare il movimento, rivoluzionato l’allenamento quotidiano della compagnia, e si e’ imposto come una crescente forza di movimento al livello internazionale . Non solo per danzatori professionisti ma anche per le persone comuni. I danzatori della compagnia sono parte attiva e collaborano in studio al processo creativo, inoltre possono esprimere il loro talento creativo nell’annuale progetto “Batsheva Dancers Create” che beneficia del supporto di The Michael Sela Fund per la Cultura dei Giovani talenti all’interno della compagnia. Batsheva Dance Company e’ compagnia residente al Suzanne Dellal Centre di Tel Aviv.

Riccardo Muti dirige la Cherubini al Teatro Alighieri


Mozart, Verdi e il fagotto virtuoso di Francesco Cappa
Martedì 5 luglio ore 21.00

Il Teatro Alighieri, martedì 5 luglio ore 21, sarà la preziosa cornice dell’ultimo concerto di Riccardo Muti a Ravenna Festival 2016. In programma musiche di Mozart, Verdi e il fagotto virtuoso di Francesco Cappa. Si sa che per Riccardo Muti, come per gli studiosi ed i musicisti di tutto il mondo, la Biblioteca del Conservatorio napoletano di San Pietro a Majella è un inesauribile scrigno a cui attingere riscoprendo sempre nuove e dimenticate partiture da far rivivere e restituire al pubblico, ristabilendo quel “primato” musicale italiano che l’incuria culturale nazionale rischia di offuscare. E’ infatti negli scaffali di quell’istituto che ha trovato linfa il progetto di riscoperta della “Scuola napoletana” che per ben cinque anni ha visto, appunto grazie a Muti, la collaborazione di Ravenna festival con il Festival di Pentecoste di Salisburgo, con la messa in scena di capolavori dimenticati come, tra gli altri, “Il ritorno di Don Calandrino” di Cimarosa o “Il matrimonio inaspettato” di Paisiello o ancora “I due figaro” di Mercadante. Ed è sempre dal Conservatorio napoletano che arriva la partitura di Francesco Cappa, dal titolo più che mai esplicativo, “Fantasia per fagotto su vari pensieri del Trovatore del M° Giuseppe Verdi”, che sarà eseguita per la prima volta dal suo ritrovamento nell’ultimo dei tre concerti che Riccardo Muti riserva al Festival di Ravenna (tra l’altro gli unici in Italia nel 2016) questa volta al Teatro Alighieri, e ancora sul podio dell’Orchestra Cherubini.

Una pagina che, oltre ad aver attratto Muti per le sue intrinseche qualità – l’ha scoperta nell’ambito della mostra dedicata nel 2014 a “Verdi e Napoli” e allestita nella sala che l’istituzione partenopea gli ha intitolato, la “Sala Muti” -, testimonia della consuetudine ottocentesca di trarre dal repertorio operistico di maggior successo sempre nuove composizioni strumentali. Dello stesso Cappa, di cui in realtà si sa ben poco, giacciono infatti nella stessa biblioteca altre pagine ispirate a “Rigoletto” e a “I due Foscari”, tutte, come anche quella dedicata ai “pensieri del Trovatore”, composte sotto la “direzione del Cav. Saverio Mercadante” di cui certamente doveva essere allievo. Di certo si sa, però, che venne eseguita il 2 febbraio 1854 dal fagottista Filippo Acunzo. Ad interpretarla a Ravenna sarà invece un grande solista dei nostri tempi, David McGill, per 17 anni primo fagotto della Chicago Symphony Orchestra, a cui Muti affiderà anche uno dei capisaldi del repertorio fagottistico classico: il Concerto in si bemolle maggiore K 191 di Mozart, tipico concerto “galante” di straordinaria freschezza che al solista riserva momenti di impareggiabile virtuosismo. Ma di Mozart sarà anche l’opera posta in apertura di concerto, la scintillante ed euforica Sinfonia n. 35 in re maggiore K 385 “Haffner”, inizialmente pensata dal salisburghese come serenata, forma di cui conserva il brio e lo smagliante colore orchestrale.

Infine, ancora Verdi, non più attraverso “citazioni” o trascrizioni, ma nella pienezza del suo inconfondibile stile, con due pagine che riportano ai cosiddetti “anni di galera” ovvero a quel periodo di lavoro forsennato, alla ricerca del successo ma anche di quell’inconfondibile stile che maturerà di lì a poco: si tratta della Sinfonia dalla “Giovanna d’Arco” del 1845 e di quella da “La battaglia di Legnano”, l’opera venata di patriottismo eseguita nel 1849 al teatro Argentina di Roma, ma inizialmente pensata – e si torna alla trascrizione di Cappa – per il San Carlo di Napoli.

Il concerto è realizzato con il contributo di VENINI che, rinnova la parternship con Ravenna Festival a cui ha dedicato una collezione speciale: “BYZANTIUM”.
In un trionfo di Blu e Oro, la collezione è un omaggio al Festival e a Ravenna, la cui straordinaria ricchezza musiva è divenuta Patrimonio Mondiale. Il colore Blu, in una gradazione profonda e intensa, è una delle tonalità più ricorrenti e richiama la volta celeste simboleggiando un infinito cosmico emblema di pace e di eternità. Al Blu si mischia l’Oro che dona luce e impreziosisce le opere evocando la magia delle atmosfere mistiche create dalle tessere vetrose dei mosaici. La collezione è dominata dal Vaso Byzantium, una edizione speciale del Vaso Veronese: simbolo di Venini dal 1921.

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: da 20 a 93 euro (ridotti 85)
‘I giovani al festival’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffe ridotte.

Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Direttore Riccardo Muti
Fagotto David McGill

Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)

Sinfonia n. 35 in re maggiore “Haffner” K 385 (1782)
Concerto in si bemolle maggiore per fagotto e orchestra K 191 (1774)

Giuseppe Verdi (1813-1901)

Sinfonia da “Giovanna d’Arco” (1845)

Francesco Cappa (1823 ca – ?)

Fantasia per fagotto su varî pensieri del “Trovatore” del Mo Giuseppe Verdi (1854)
riportato alla luce sotto la direzione del M° Elsa Evangelista, Napoli, novembre 2015
prima esecuzione dal suo ritrovamento

Giuseppe Verdi

Sinfonia da “La battaglia di Legnano” (1849)

David McGill

Si è diplomato in musica nel 1985 presso il Curtis Institute of Music, dove ha studiato con Sol Schoenbach, John de Lancie e John Minsker. È stato primo fagotto di prestigiose orchestre come Chicago Symphony Orchestra (1997-2014), Cleveland Orchestra (1988-1997) e Toronto Symphony Orchestra (1985-1988), compagini con cui si è esibito anche come solista. E prima, già a diciassette anni, aveva ottenuto lo stesso incarico nell’orchestra della sua città natale, la Tulsa Philharmonic (1980-1981).
Risale al 2001 il Grammy Award come Miglior solista strumentale con orchestra, per l’incisione con la Chicago Symphony del Duet Concertino di Strauss per clarinetto, fagotto, orchestra d’archi e arpa, mentre il premio “George Gillet” alla Performance della International Double Reed Society gli è stato riconosciuto nel 1983.
McGill è stato anche primo fagotto dell’Orchestra Mondiale per la Pace, fondata nel 1995 da George Solti.
Tra le sue molte incisioni, si ricordano il Concerto per fagotto di Mozart con la Cleveland Orchestra, diretto da Christoph von Dohnanyi; la Sonata per fagotto e pianoforte di Saint-Saëns, con Peter Serkin al pianoforte, e il Trio per oboe, fagotto e pianoforte di Poulenc, con Alfred Genovese all’oboe e Peter Serkin al pianoforte. È comunque possibile ascoltare il suo fagotto nelle numerose incisioni delle orchestre di cui ha fatto parte.
Oltre alle orchestre già citate, come solista ha suonato con Annapolis Symphony, Oklahoma Symphony, poi con la Symphony New Brunswick e Orchestra London (Canada) in un lavoro che Oskar Morawetz ha composto espressamente per lui, il Concerto per fagotto e orchestra da camera. Nel 2007 ha eseguito Five Sacred Trees (Concerto per fagotto) di John Williams, diretto dal compositore stesso.
McGill si dedica anche all’arte dell’insegnamento, ed è autore di Sound in Motion: A Performer’s Guide to Greater Musical Expression (Indiana University Press). Ha inoltre registrato un cd di brani orchestrali per fagotto, con commento ai brani proposti. La sua carriera accademica vanta incarichi in importanti atenei, tra cui Indiana University, DePaul University, Roosevelt University, Cleveland Institute of Music e Università di Toronto. Dall’autunno 2014, insegna fagotto presso la Bienen School of Music della Northwestern University.
Tra le sue più importanti collaborazioni musicali si sottolineano quelle con Riccardo Muti, Daniel Barenboim e Christoph von Dohnanyi. McGill è un appassionato ammiratore delle incisioni di Maria Callas e del violinista Fritz Kreisler.

Il Westminster Cathedral Boys Choir a Sant’Apollinare in Classe


Lunedì 4 luglio ore 21

Dopo aver animato la liturgia domenicale a San Vitale Il Westminster Cathedral Boys Choir sarà protagonista di un secondo, attesissimo, concerto questa volta nella Basilica di Sant’Apollinare in Classe dove, lunedì 4 luglio alle 21, presenterà un programma di classici del repertorio corale capaci di trascinare l’ascoltatore in un’altra esperienza polifonica unica e in un viaggio attraverso i territori della spiritualità.

Fondato nei primissimi anni del Novecento, il Westminster Cathedral Boys Choir è oggi l’unico coro cattolico del mondo a cantare ogni giorno le messe e i vespri. Fulcro centrale del suo repertorio sono il canto gregoriano e la polifonia rinascimentale, con opere di compositori come Palestrina, Victoria, Lassus, Byrd, Guerrero, Tallis e Croce. Oltre a far rivivere i grandi lavori del Rinascimento inglese ed europeo, il coro esegue opere scritte appositamente per il Westminster Cathedral Boys Choir da vari compositori contemporanei. Recentemente quattro nuove messe scritte da Roxanna Panufnik, James MacMillan, Sir Peter Maxwell Davies e Judith Bingham sono state cantate in prima assoluta nella cattedrale. Nel giugno del 2005 i coristi hanno eseguito la prima mondiale della Missa brevis per voci bianche maschili di Sir John Tavener. Dal 2000 il coro è diretto da Martin Baker sia nei programmi quotidiani che nel fitto calendario di concerti, tour e incisioni. All’organo è Peter Stevens, maestro di musica assistente del Westminster Choir dal 2011, che nel proprio ricco percorso annovera anche l’apprendistato di organista presso la Cappella di San Giorgio del Castello di Windsor, dove suona alla presenza dei membri della famiglia reale inglese in occasione di varie messe, compresa quella per l’ottantesimo compleanno della Regina Elisabetta.

Il programma presentato al Festival prevede brani dal Seicento italiano e inglese al Novecento, alternati a canto gregoriano e a un paio di fantasie di William Byrd eseguite all’organo da Peter Stevens. In apertura i mottetti degli italiani Giovanni Battista Crivelli, Michelangelo Grancini e del francese Jean françois Lallouette, seguiti da due brani dalla Cantata n. 147 di Johann Sebastian Bach, Herz und Mund und Tat und Leben (“Cuore e bocca e azione e vita”), composta a Weimar per la Quarta Domenica di Avvento e in seguito ampliata per la festa della Visitazione. Il programma preparato per Ravenna prosegue con brani dalla Missa brevis di Benjamin Britten, scritta nell’estate 1959 per salutare il congedo di George Malcolm, l’organista e maestro del coro che ha avuto un ruolo fondamentale nel consolidare il timbro vocale che ha reso celebre il Westminster Cathedral Boys Choir. Tre brevi mottetti di Mendelssohn tratti dall’oratorio Elijah e dal Lauda Sion, sono il preludio al ritorno nella tradizione musicale inglese con Henry Purcell e con l’arrangiamento di una melodia popolare scozzese nota come Brother James’s Air, che mette in musica il Salmo 23. Ancora il Salmo 23, eseguito nella versione di Franz Schubert, prima della conclusione affidata all’Ave Maria di Gustav Holst, composta nel 1900.

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: I settore intero 30 euro (ridotto 26); II settore intero 20 euro (ridotto 28)
I giovani al festival’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffe ridotte.

Riccardo Muti sulle Vie dell’Amicizia da Tokyo a Ravenna


Palazzo Mauro de Andrè, domenica 3 luglio ore 21

Tokyo 16 marzo 2016 teatro Bunka Kaikan: Riccardo Muti sul podio dell’Orchestra Cherubini e della Harusai Festival Orchestra dirigeva pagine di Verdi e Boito. Con un’accoglienza straordinaria: non solo gli applausi instancabili del pubblico, ma anche l’emissione di un doppio francobollo a festeggiare l’occasione, uno con il ritratto e la firma dello stesso Muti, un altro con la foto di Verdi e Boito a Sant’Agata. Partiva così da Tokyo con un doppio concerto (il secondo 17 marzo al Metropolitan Theatre) la ventesima edizione delle Vie dell’Amicizia di Ravenna Festival che, dedicata ai 150 anni delle relazioni diplomatiche tra Italia e Giappone, si completa ora – domenica 3 luglio ore 21 – al Pala de André, come sempre con lo stesso concerto affidato agli stessi protagonisti: Riccardo Muti a capo dei giovani musicisti dell’Harusai Festival Orchestra di nuovo insieme a quelli della Cherubini, la potente voce di basso di Ildar Abdrazakov, ma anche, come è tradizione in questa occasione, una nutrita compagine corale formata dai complessi del Petruzzelli di Bari, del Friuli Venezia Giulia e delle voci bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala preparati da Franco Sebastiani, Cristiano Dell’Oste e Bruno Casoni.

Un ponte di fratellanza che certo assume contorni diversi rispetto a quelli negli anni scorsi pensati a lenire le ferite di una guerra o della cieca forza della natura, o gettati a placare secolari incomprensioni o ancora a riscoprire antiche identità e radici oppure ad unire in simbolica comunione le più diverse fedi religiose. Ma come sempre costruito nel segno della forza espressiva della musica capace di andare al di là di ogni parola e di superare ogni alterità.

Un ponte che di nuovo si realizza attorno alla generosità di Riccardo Muti, che ne è il protagonista dal 1997, da quella prima “chiamata” di aiuto giunta da una Sarajevo ancora devastata dalle bombe, che cercava di tornare faticosamente a vivere, fino al memorabile “Va pensiero” intonato sulla voragine di Ground Zero a New York, o all’intento pacificatore del doppio concerto Istanbul/Erevan, dall’abbraccio alle popolazioni vittime del terremoto emiliano, a Mirandola, all’inno alla memoria dei caduti della Grande guerra al Sacrario di Redipuglia.

Il viaggio “giapponese” è invece la celebrazione festosa di quell’amicizia particolare che sono appunto le relazioni diplomatiche tra i due paesi, relazioni iniziate appunto nel 1866. E se allora a legare i due lontani paesi fu il commercio di seta, o meglio delle preziosissime uova dei bachi da seta che i nostri “semai” andavano a procurarsi affrontando il lunghissimo viaggio, oggi il collante sono l’arte e la cultura e, in particolare, la musica. In realtà, la reciproca ammirazione per la cultura dei due popoli iniziò con le relazioni stesse, quando nel 1873 una delegazione ministeriale giapponese arrivò in Italia proprio per ammirare “la culla della cultura d’occidente”, e cogliere “il gusto raffinato e la qualità della tecnica artistica”, notando – nel resoconto diaristico di Kume Kunitake – come “l’intero paese ami la musica”. Appunto quella forza espressiva che fa della musica il linguaggio più di ogni altro capace di andare oltre la parola e che in questo ventesimo Viaggio dell’amicizia si dispiega attraverso un programma tutto ispirato al genio operistico italiano, in particolare verdiano: pagine “scelte” che per noi sono una sorta di lingua madre, mentre per i giapponesi sono oggetto di una profonda e sincera passione.

Riccardo Muti, infatti, per la serata che al Pala de Andrè chiude in un reciproco scambio il viaggio intrapreso a Tokyo, ripropone lo stesso programma, con pagine avvincenti scolpite a segnare l’identità e l’immaginario della nostra terra. Si va dalla Sinfonia del “Nabucco”, insieme al toccante pianto corale de “Gli arredi festivi”, all’aria di Attila “Mentre gonfiarsi l’anima” (intonata dal potente basso Ildar Abdrazakov), agli irresistibili ballabili dal terzo atto di “Macbeth”; poi dalla Sinfonia da “La forza del destino” al coro  “Gerusalem, Gerusalem” da “I lombardi alla prima crociata” e, infine, al prologo dal “Mefistofele” di Arrigo Boito. In un abbraccio musicale che continua a rinnovarsi.

Il concerto, organizzato in collaborazione con l’Ambasciata del Giappone in Italia e la Fondazione Italia Giappone, è reso possibile grazie al determinante contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna e Cassa di Risparmio di Ravenna Spa.

Il nuovo appuntamento con le Vie dell’Amicizia rinnova la partnership del Festival con la RAI che trasmetterà il concerto in diretta radiofonica su RADIO 3, mentre televisivamente sarà presentato da RAI 1 sabato 6 agosto in seconda serata.

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: da 15 euro (ridotti 12) a 93 euro (ridotti 85)
‘I giovani al festival’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffe ridotte.

Come per tutti i concerti al Palazzo de Andrè è attivo il servizio navetta straordinario e gratuito – dedicato al pubblico del Festival – che percorrerà 2 volte la tratta Stazione Ferroviaria – Palazzo M. De André con partenza da Piazza Farini alle ore 20,15 e 20,30.
Al termine del concerto due corse riporteranno gli spettatori al capolinea.

Le vie dell’Amicizia di Ravenna Festival

1997 SARAJEVO Centro Skenderija
1998 BEIRUT Forum di Beirut
1999 GERUSALEMME Piscina del sultano
2000 MOSCA Teatro Bolshoi
2001 EREVAN – ISTANBUL Palazzo dell’Arte e dello Sport – Convention & Exhibition Centre
2002 NEW YORK Ground Zero – Avery Fisher Hall (Lincoln Center)
2003 IL CAIRO Ai piedi delle Piramidi
2004 DAMASCO Teatro Romano di Bosra
2005 EL DJEM Teatro Romano di El Djem
2006 MEKNÈS Piazza Lahdim
2007 CONCERTO PER IL LIBANO Roma, Palazzo del Quirinale
2008 MAZARA DEL VALLO Arena del Mediterraneo
2009 SARAJEVO Olympic Hall Zetra
2010 ITALIA-SLOVENIA-CROAZIA Trieste, Piazza Unità d’Italia
2011 NAIROBI Uhuru Park
2012 CONCERTO DELLE FRATERNITA’ Pala De Andrè, Ravenna
2013 CONCERTO PER LE ZONE TERREMOTATE DELL’EMILIA Piazza della Costituente, Mirandola
2014 REDIPUGLIA Sacrario Militare, Fogliano di Redipuglia
2015 OTRANTO Cattedrale di Otranto

2016 TOKYO (16 marzo Bunka Kaikan, 17 marzo Metropolitan Theatre)
2016 RAVENNA (3 luglio Pala De Andrè)

Le vie dell’Amicizia: Tokyo-Ravenna
direttore Riccardo Muti
basso Ildar Abdrazakov

Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Tokyo Harusai Festival Orchestra

Coro del Teatro Petruzzelli di Bari
Coro del Friuli Venezia Giulia
Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala
maestri dei cori Franco Sebastiani, Cristiano Dell’Oste, Bruno Casoni

Giuseppe Verdi
da Nabucco sinfonia e coro d’introduzione “Gli arredi festivi”
da Attila aria e cabaletta di Attila “Mentre gonfiarsi l’anima… Oltre quel limite”
da Macbeth ballabili atto III
da La forza del destino sinfonia
da I lombardi alla prima crociata coro della processione “Gerusalem… Gerusalem… la grande”

Arrigo Boito
da Mefistofele prologo

Che sia teso a lenire le ferite di una guerra o della cieca forza della natura, che voglia placare secolari incomprensioni o riscoprire antiche identità e radici, o ancora unire in simbolica comunione le più diverse fedi religiose, il viaggio dell’amicizia – questo è il ventesimo – si dispiega sempre nel segno della forza espressiva che fa della musica il solo linguaggio capace di andare oltre la parola. E in questo caso lo strumento per celebrare un’amicizia nata 150 anni fa: dopo il concerto che lo scorso marzo ha visto Riccardo Muti e la “sua” Cherubini a Tokyo unirsi alla Harusai Festival Orchestra, ecco che quegli stessi musicisti approdano a Ravenna in un reciproco abbraccio. A unire questi due popoli lontani e apparentemente tanto diversi, il genio operistico verdiano, per noi lingua madre, per loro profonda e sincera passione.

Aspettando la Trilogia d’Autunno il Gran Galà del Danubio


Teatro Alighieri, venerdì 1 luglio ore 21

Venerdì 1 luglio, Teatro Alighieri ore 21, Ravenna Festival presenta il “Gran Galà del Danubio”. È forse improbabile, ma se qualcuno ancora pensasse che la musica classica sia appannaggio di obsoleti rituali adatti a un pubblico di mezza età, ecco la più aperta smentita: sotto la direzione di Tamás Vásáry, sul podio della MAV Chamber Orchestra, approdano al Festival i Virtuosos, ovvero i protagonisti del talent show più innovativo e imprevedibile degli ultimi anni. Che non si svolge tra ingombri tavoli di cucina e cuochi isterici o tra le note leggere di voci e canzonette alla moda, ma mette in scena i migliori giovani talenti di quella tradizione strumentistica in cui l’Ungheria – terra di virtuosi, o virtuózok – eccelsi – eccelle da secoli. Perché è proprio a Budapest che un paio di anni fa nasce il “format” che, grazie alla collaborazione con la prestigiosa e antica Accademia “Franz Liszt” della capitale ungherese e quindi alla presenza di una giuria veramente “stellata”, non solo spopola sulle reti televisive di quel paese, ma anzi è già richiesto da tutti i più importanti colossi televisivi mondiali.

Un successo, dunque, germogliato dall’incontro tra le più moderne e disinvolte forme di comunicazione e divulgazione e il rigore, lo studio e l’assoluto valore di interpreti alle prese con l’intramontabile repertorio classico. Ad esibirsi per questo vero e proprio “Galà del Danubio” sul palcoscenico del Teatro Alighieri sono i vincitori della prima edizione, ma al loro fianco, a dirigere la storica MAV Chamber Orchestra, ci sarà una delle stelle internazionali della terra ungherese, Tamás Vásáry: carriera straordinaria, sia di direttore sia di pianista, che lo ha imposto sui palcoscenici di tutto il mondo soprattutto dopo la “fuga” in Occidente nel 1956, dopo la fallita insurrezione ungherese.

Accanto ai giovani talenti, poi un mezzosoprano più che mai in carriera, come l’ungherese Andrea Ulbrich e, anche nelle insolite vesti di “presentatrice” (tributo a ritmi e riti televisivi…), un soprano che veramente non ha bisogno di presentazioni: l’austriaca Eva Lind, acclamata nei palcoscenici di tutto il mondo, dalla Scala alla Staatsoper di Vienna, da Salisburgo a New York, condividendo le scene con i più grandi di sempre, Domingo, Pavarotti, Kraus. Ma veniamo ai giovani virtuosos che si avvicenderanno per il pubblico di Ravenna Festival: Roland Jakab Attila al violino e Ivette Gyöngyösi al pianoforte si esibiranno in due importanti opere del più eloquente stile classico, rispettivamente nel Concerto per violino e orchestra n. 3 in sol maggiore K 216 di Mozart e nel Concerto in re maggiore per pianoforte e orchestra, Hob:XVIII:11 di Franz Joseph Haydn. Ma poi emergeranno i virtuosismi anche di Tamás Kökény al contrabbasso, alle prese con una Tarantella di Giovanni Bottesini, e di Bianka Szauer all’arpa nell’evocativo “Baroque flamenco” di Debora Hanson e, ancora, di un altro violinista, Gyula Váradi chiamato a interpretare le atmosfere gitane di Zigeunerweisen op. 20 di Pablo de Sarasate, e del pianista Apor Szüts che entra in campo con due sue improvvisazioni, oltre ad accompagnare il canto di Andrea Ulbrich in “Cäcilie” dall’op. 27, raccolta di liriche che Richard Strauss regalò al soprano Pauline de Ahna il giorno prima di sposarla, e quello di Eva Lind nel celeberrimo valzer di Johann Strauss “Voci di primavera”. Ma ancora uno spazio sarà riservato alle voci liriche di Andrea Ulbrich, con una pagina ungherese quale “Szegény vagyok” (Io sono povero) dall’opera “Háry János” di Zoltan Kodaly, e di Eva Lind con una delle più amate arie del catalogo pucciniano: l’aria di Lauretta “O mio babbino caro” da “Gianni Schicchi”.

Insomma, sonorità ungheresi e zigane che si intrecciano con il filo della melodia italiana, in un Gala che si profila quasi un preludio alla Trilogia “Lungo il Danubio” che Ravenna Festival dedicherà il prossimo autunno alla straordinaria tradizione dell’operetta e che vedrà impegnati sul palcoscenico proprio artisti e compagnie ungheresi, che (dal 14 al 23 ottobre) si avvicenderanno nell’interpretazione di capisaldi del genere quali La Contessa Maritza di Emmerich Kálmán, Il pipistrello di Johann Strauss e La Vedova allegra di  Franz Lehár. A concludere il viaggio lungo il Danubio, domenica 23 ottobre al Teatro Alighieri dopo tre giorni di esibizioni negli angoli più diversi del centro storico, sarà la Budapest Gypsy Symphony Orchestra – un’orchestra di violini, viole, violoncelli, contrabbassi, clarinetti e cimbalom – che non esiterà ad alternare in funamboliche esecuzioni pagine celebri di compositori quali Liszt, Bartók, Kodály, Brahms, Chajkovskij e Strauss a brani di musica tradizionale ungherese e zigana.

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: Platea, Palchi I, II e III ordine intero 20 euro (ridotto 18); Galleria, Palco IV ordine e loggione intero 12 euro (ridotto 10)
I giovani al festival’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffe ridotte.

Le intermittenze del cuore nella danza di Svetlana Zakharova


Palazzo Mauro de André, giovedì 30 giugno ore 21,30

Danza nel nome di “Amore”, Svetlana Zakharova. Questo il titolo, infatti, della serata che racchiude tre coreografie sulle sue affusolate e luminose misure e che segna il suo atteso ritorno al Ravenna Festival, giovedì 30 giugno alle 21.30 sul palco del Pala de Andrè. Tre figure di donna, tre declinazioni diverse d’amore con le quali l’étoile di due palcoscenici – il Bol’soj e la Scala – già all’apice come interprete classica, sceglie di confrontarsi con il contemporaneo. “Continuo ad adorare i balletti classici, che vorrei danzare sempre e il più a lungo possibile – dice Svetlana -. La mia voglia di cambiare invece riguarda le creazioni contemporanea: sono per me come vestiti, ne vorrei provare sempre di nuove!”. Affiancata da primi ballerini del Bol’soj – Mikhail Lobukhin, Denis Rodkin e Denis Savin -, Zakharova calzerà dunque i panni di tre diverse figure di donna.

Lo spettacolo è reso possibile grazie al contributo di Unipol Banca e Assicoop Romagna Futura.

Francesca da Rimini, un breve balletto di Jurij Possokhov che il coreografo creò nel 2012 per il San Francisco Ballet e che ricuce per la taglia da étoile di Svetlana. I due artisti tornano così a collaborare dopo una fortunata Cinderella che segnò l’ascesa al Bol’soj dell’allora giovane danzatrice appena “strappata” al Marijnskij. Ispirata al V canto dantesco, la coreografia è un parabola dell’infelice destino della fanciulla, malmaritata a un uomo prepotente (interpretato da Lobukhin), rapita d’amore per il coetaneo e piacente Paolo (calzato da Rodkin) e infine destinata a perire insieme a lui per mano del violento consorte.

Anche Patrick De Bana, coreografo afro-tedesco, ha già lavorato per Svetlana, nel duetto Digital Love, che in questa occasione viene rielaborato e approfondito per un nuovo pas de trois dal titolo Rain Before It Falls, su un saporoso e insolito mix di musiche barocche e sudamericane. Una miniatura contemporanea che tratteggia un incontro a tre di atmosfere misteriose e aloni di ambiguità.

Sigla il trittico la firma di Marguerite Donlon, coreografa irlandese, che affida a Zacharova uno dei suoi cavalli di battaglia, Strokes Through The Tail, composto sulle note della Sinfonia n. 40 di Mozart e condotto con uno sguardo ironico per ragazzi in tutù bianco e torso nudo. Uno stuolo di cigni paradossali, fra cui “nuota” – divertendosi un mondo – una delle Odette/Odile più famose di oggi.

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: da 12 euro (ridotti 10) a 42 euro (ridotti 38)
I giovani al festival’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffe ridotte.

Il servizio navetta gratuito per il Palazzo de Andrè, realizzato in collaborazione con Start Romagna e con il contributo di Tecno Allarmi Sistemi, percorrerà 2 volte la tratta Stazione – Palazzo M. De André, con partenza da Piazza Farini, alle ore 20,30 e 20,45 (orario valido per gli spettacoli di danza che iniziano sempre alle 21.30). Al termine dello spettacolo due corse riporteranno gli spettatori al capolinea.

Svetlana Zakharova

Nata a Lutsk, in Ucraina, intraprende gli studi all’Istituto Coreografico di Kiev. Prosegue la propria formazione all’Accademia Vaganova di San Pietroburgo. È inoltre allieva di Ljudmila Semenjanka. Nel 1996 entra a far parte del Balletto del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo e l’anno seguente è nominata prima ballerina. Il repertorio in questo teatro include i ruoli principali in balletti quali: La bella addormentata, La fontana di Bakhčisarai (nella versione di Rostislav Zakharov), Lo schiaccianoci, Le corsaire, La bayadère, Don Chisciotte, Shéhérazade, Romeo e Giulietta (nella versione di Leonid Lavronskij), Il lago dei cigni, Giselle, Les Sylphides, Le poème de l’extase (di Aleksej Ratmanskij), L’histoire de Manon (di Kennet MacMillan), Étude (di Harald Lander). Tra le creazioni di George Balanchine di cui è protagonista: Apollon Musagète, Serenade, Symphony in C, Jewels, Čajkovskij pas de deux.
Nel 2003 entra a far parte del Balletto del Teatro Bolshoi e interpreta ruoli principali in Giselle (nella versione di Vladimir Vasiliev), La fille du pharaon (ricostruzione di Pierre Lacotte) e in coreografie firmate da Jurij Grigorovič: Il lago dei cigni, La bella addormentata, La bayadère, Raymonda, Spartacus; Don Chisciotte (di Aleksej. Fadeečev), Symphony in C – Part II, Sogno di una notte di mezz’estate (di John Neumeier, ruolo di Ippolita e di Titania), Carmen Suite (di Alberto Alonso), Serenade (di George Balanchine).
Nel 2009 il coreografo Francesco Ventriglia crea per lei il balletto Zakharova Super Game.
Dal 1999 è regolarmente “guest artist” presso le più prestigiose compagnie di balletto, quali New York City Ballet, Bayerisches Staatsballett, Teatro dell’Opera di Roma, Opéra di Parigi, Nuovo Teatro Nazionale di Tokyo, San Carlo di Napoli, American Ballet Theatre, Hamburg Ballet, Teatro alla Scala di Milano. Dal 2007 è ballerina étoile del Balletto della Scala.
Tra i riconoscimenti e i premi ottenuti nel corso della carriera:, secondo premio alla Vaganova-Prix Young Dancers Competition di San Pietroburgo (1995); premio speciale “Our Hope” conferitole dal Baltika di San Pietroburgo (1997); il “Golden Sophit”ancora a San Pietroburgo (1998); “Golden Mask” per Serenade e per La bella addormentata (1999 e 2000); “People of Our City”, premio speciale della città di San Pietroburgo (2001); premio della rivista italiana «Danza&Danza» (2002); “Benois de la danse” per Sogno di una notte di mezza estate e titolo di Artista Emerito della Federazione Russa (2005); “Soul of Dance” da parte della rivista russa «Magazine» (“Queen of the Dance”, 2007), poi titolo di Artista del Popolo della Russia (2008) e di nuovo “Benois de la danse” (2015).

Mikhail Lobukhin

Primo ballerino del Balletto Bolshoi di Mosca.
Nato a San Pietroburgo, nel 2002 si diploma all’Accademia di Balletto “A. Vaganova” della sua città, ed entra nel Balletto del Teatro Mariinskij, con cui si esibisce nei ruoli principali del repertorio classico e contemporaneo in balletti quali: Il Corsaro (Conrad), La Bayadère, coreografie di Marius Petipa (Solor), Don Chisciotte di Petipa, Gorskij (Basilio), Romeo e Giulietta di Lavrovskij (Romeo), Quattro temperamenti di George Balanchine (Sanguigno), Cenerentola di Aleksej Ratmanskij (Principe), “Diana Vishneva: Beauty in Motion”, Pierrot Lunaire di Aleksej Ratmanskij, Turns of Love di Dwight Rhoden; ed è solista in Ballet Imperial e Tema e Variazioni, in Steptext di William Forsythe, e For four di Christopher Wheeldon.
Dopo le numerose tournée con il Balletto del Teatro Mariinskij, Mikhail Lobukhin è di frequente impegnato con il Balletto del Teatro Bolshoi in Russia e all’estero.
Dal febbraio 2010 è ballerino del Bolshoi. Con questo teatro il suo repertorio include: Don Chisciotte nella versione coreografica di Aleksej Fadeečev (Basilio); Romeo e Giulietta, coreografia di Jurij Grigorovič (Tebaldo); di nuovo La Bayadère (Solor) di Petipa nell’allestimento di Jurij Grigorovič, Spartacus ancora di Grigorovič, Herman Schmerman di William Forsythe (Pas de deux), Le Fiamme di Parigi (Philip) nella coreografia di Aleksej Ratmanskij ripresa da Vasilij Vajnonen.

Denis Rodkin

Primo ballerino del Balletto Bolshoi di Mosca.
Nato a Mosca, nel 2009 si diploma all’Istituto Coreografico annesso al Teatro Accademico della Danza di Stato “Gžel” ed entra nel Balletto del Teatro Bolshoi. Con il Balletto del Bolshoi si esibisce da solista nei maggiori balletti del repertorio classico e contemporaneo, quali La bella addormentata di Marius Petipa e Romeo e Giulietta nella versione di Jurij Grigorovič, Carmen-Suite di Alberto Alonso, La Fille mal gardèe di Frederick Ashton, Serenade e Symphony in C di George Balanchine, Rajmonda, Il lago dei cigni, Lo schiaccianoci e La Bayadère nelle versioni di Grigorovič, La figlia del Faraone nella ripresa di Pierre Lacotte da Marius Petipa, Rubies e Diamonds (da Jewels) di Balanchine. Interpreta inoltre ruoli da solista in Class-concert di Asaf Messerer, Esmeralda di Petipa nella versione di Jurij Burlaka e Vasilij Medvedev, Le Fiamme di Parigi nell’allestimento di Aleksej Ratmanskij da Vasilij Vajnonen, Cipollino di Genrih Majorov, Sinfonia dei Salmi di Jirˇ í Kylián, Il Corsaro nella nuova versione di Aleksej Ratmanskij e Jurij Burlaka da Petipa, Dream of Dream nell’allestimento di Jorma Elo, Ivan il Terribile di Grigorovič. Nel 2013, interpreta Spartacus di Jurij Grigorovič, Anjuta di Vladimir Vasil’ev, Il lago dei cigni e Don Chisciotte nella versione di Aleksej Fadeečev.

Denis Savin

Primo ballerino del Balletto Bolshoi di Mosca. Nato a Mosca, al termine degli studi presso l’Accademia coreografica di Mosca, nel 2002, entra nel Balletto del Teatro Bolshoi, e l’anno seguente interpreta il ruolo di Romeo nel Romeo e Giulietta di Radu Poklitary. Il suo repertorio spazia nell’ambito del balletto classico, neoclassico e moderno. Tra i ruoli interpretati figurano quelli in Giselle di Jean Coralli, Jules Perrot, Marius Petipa nella versione di Vladimir Vasil’ev (Pas d’action), Raimonda di Marius Petipa nella versione di Jurij Grigorovič (Grand Pas), Lo Schiaccianoci di Grigorovič (il Re dei topi), Don Chisciotte di Petipa, Gorskij, nella versione di Aleksej Fadeečev (Gamache), Le fiamme di Parigi di Aleksej Ratmanskij da Vasilij Vajnonen (Jerome), Giselle di Vladimir Vasil’ev (Hilarion), Esmeralda di Petipa, nella versione di Jurij Burlaka e Vasilj Medvedev (Gringoire), Herman Schmerman di William Forsythe (Pas de deux), Giselle di Grigorovič (Hans), Romeo e Giulietta di Grigorovič (Tebaldo), Raimonda (Abderakhman), La bisbetica domata di J.C. Maillot (Petruccio), Hamlet, produzione di Donnelan e Poklitary (Amleto), poi, come solista, in Jeu de cards di Aleksej Ratmanskij e in In the Upper Room di Twyla Tharp.

Il “prete rosso” nello Stabat Mater – Vivaldi Project di Soqquadro Italiano


Teatro Rasi, mercoledì 29 giugno ore 21

E’ una ricetta effervescente quella creata dai Soqquadro Italiano per ottenere un esito? garantito: mette insieme due artisti con la passione per le note barocche e le forme contemporanee – in cui la doppia vocazione per l’uno, Vincenzo Capezzuto (che si alterna nei panni di danzatore e di cantante) e l’esperienza teatrale dell’altro, Claudio Borgianni – crea una coppia pronta a squaternare la scena. Stavolta si cimentano con il “prete rosso”, allestendo, con la complicità coreografica del neodirettore del corpo di ballo alla Scala, Mauro Bigonzetti, lo Stabat Mater – Vivaldi Project in scena mercoledì 29 giugno (ore 21) al Teatro Rasi. Una performance d’arte fusion fra danza, parole, musica e teatro, sorretta da un’impaginazione a tre colori dominanti (blu, rosso, oro) e movimenti nitidi e intensi che inseguono la scorrevolezza vivaldiana.

Se la teatralità della musica di Antonio Vivaldi e il suo utilizzo nell’ambito della danza è oramai un indiscusso continuum, la lettura di uno dei brani principali della significativa produzione sacra del “prete rosso” appare una sfida non certo irriverente, ma consona alla speculazione culturale di una compagine artistica come Soqquadro Italiano che ha fatto della “de-costruzione” e della “ri-creazione” il proprio principio fondamentale.

Chi è quella donna che si accascia ai piedi della Croce? Chi è quella donna che piange la morte del proprio figlio esprimendo il dolore più grande e più profondo che un essere umano possa provare? Chi è quella donna che guarda al cielo con consapevole accettazione? Claudio Borgianni ci presenta un Vivaldi del tutto nuovo ed inedito, delineando lo spettacolo come un’opera totale e multiforme, nella quale Vincenzo Capezzuto passa con estrema naturalezza dal canto, alla danza, a brevi stralci recitati, facendo sì che lo spettatore perda l’orizzonte dei confini tra i vari generi delle arti performative. Un contributo importante è dato da Mauro Bigonzetti che s’inserisce con armonia in questo lavoro, riuscendo a dare vita ad una danza fortemente contaminata e teatrale. “…catturato – come sottolinea lo stesso Bigonzetti – da questa idea di contaminazione “quasi folle”, dove tutti linguaggi della scena si mescolano con raffinatezza e delicatezza. Poi la musica antica, che è una mia grande passione e che spesso utilizzo per le mie creazioni. Infine, ma sicuramente non meno importante, il rapporto di stima che mi lega a Vincenzo Capezzuto: è un artista giovane, ma è come se lo conoscessi da secoli.”

“Ma chi è davvero questa donna che Vivaldi ci racconta con tensione febbrile e pause mozzafiato? Forse quella donna siamo noi che viviamo lo spaesamento della nostra quotidianità? O forse quella donna è solo una madre che piange per noi? Viviamo un’epoca di cambiamento continuo – precisa Borgianni – , sempre alla ricerca di nuovi equilibri, di nuove certezze, in una realtà dove tutto si ridisegna, si mescola e si riscrive, alla ricerca di una coscienza, di un’immagine di noi stessi da poter proiettare nel futuro.”

Portare sul palcoscenico l’umanità di questo tentativo è il nuovo progetto Stabat Mater-Vivaldi Project di Soqquadro Italiano, ensemble musicale (ma non solo) creato e diretto da Claudio Borgianni assieme a Vincenzo Capezzuto e formato da: Luciano Orologi sax soprano, clarinetto basso e melodica; Simone Vallerotonda arciliuto; Gabriele Miracle percussioni e toy-piano; Marco Forti contrabbasso; Fabio Fiandrini elettronica). I costumi sono di Andrea Stanisci e le luci di Cristina Spelti.
Info e prevendite: tel. 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: ingresso non numerato intero 20 euro (ridotto 18 euro).
‘I giovani al festival’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari 9 euro

“Chanteuse de rues” Micha van Hoecke evoca il mondo di Édith Piaf


Teatro Alighieri, martedì 28 giugno ore 21

A cento anni dalla nascita di Piaf, celebrati lo scorso anno, il Ravenna Festival continua il suo omaggio affidando all’arte visionaria di Micha van Hoecke il compito di tracciarne un ritratto in musica, danza e parole, secondo lo stile più congeniale al coreografo russo-belga. Nasce così Chanteuse de rues, cantante di strade – plurale – perché Édith non è stata solo il “passerotto” di Francia, ma un’artista che ha impresso il suo segno nell’immaginario collettivo, nuova creazione di Micha van Hoecke prodotta dal Festival in scena martedì 28 giugno ore 21 al Teatro Alighieri. Le musiche affiancano registrazioni originali di Édith Piaf, Yves Montand e Charles Aznavour alle improvvisazioni ed elaborazioni di un ‘maestro’ della fisarmonica come Simone Zanchini.

Van Hoecke sceglie di farne un ritratto in absentia, mai portandone in scena l’icona, ma suggerendone i tratti e il suo habitat naturale. Un susseguirsi di quadri scenici affollato di quei personaggi colorati e lunari che circondarono la sua vita, a cominciare da Jean Cocteau, che andava ad ascoltarla nel locale notturno dove si esibiva e che poi le dedicò la famosa pièce Le bel indifférent. “Non sono mai stati accostati in uno spettacolo – osserva Micha -, ed è strano dato che si avverte un forte rapporto fra loro. Cocteau si mescolava volentieri al popolo della notte che affollava il cabaret dove si esibiva Piaf. E a lei si è ispirato per scrivere questo testo teatrale. Inoltre, per una curiosa coincidenza del destino, Cocteau morì in seguito a un infarto poche ore dopo di lei”.  Le bel indifférent – che in realtà è un lungo monologo, affidato in prima istanza proprio alla Piaf per il debutto al Théatre des Bouffes- Parisiens –  diventa così un filo rosso per cucire insieme i vari frammenti onirico-visionari dello spettacolo. Mosaico (ri)sonante delle canzoni d’amore – sempre impossibile e spesso scritte dalla stessa Piaf – dove affiorano tutte le sfaccettature della sua anima, dalla dimensione spirituale al bisogno bulimico d’amore. Chanteuse de rues è un lungo affresco e insieme evocazione di affetti e nostalgia per quella stagione intensa, in parte condivisa dallo stesso coreografo, che negli ultimi anni di vita della cantante viveva a Parigi e ne respirava umori e atmosfere.

Nello spettacolo di Micha, Cocteau è interpretato da Marta Capaccioli punteggiando i vari quadri dell’azione, alternandosi a cammei di altri personaggi calzati variamente da Gloria Dorliguzzo, Rimi Cerloig e Viola Cecchini. In mezzo, apparizioni follette come quelle di Yuri Mastrangeli, giovane e talentuoso danzatore che ha lasciato da poco l’Opera di Roma per approdare al Balletto di Novosibirsk. “Trovo in lui – spiega Micha – qualcosa che aveva Jean Babilée”, un fuoco sacro per la danza, qualcosa che lo accende dall’interno. Nello spettacolo incarna uno spirito danzante di Piaf, così come il poetico personaggio, sorta di Pierrot buffo e malinconico, calzato da Miki Matsuse – compagna d’arte e di vita del coreografo. Ma c’è spazio anche per i momenti bui, per le storie di nera che affioravano nelle canzoni della Piaf e dalla sua voce graffiata, come il clown che ammazzò la moglie e che qui viene interpretato da Ivan Merlo – un passato diverso, intorno al teatro ma non da attore –, che si presta a un altro mestiere, si reinventa con entusiasmo e partecipazione. È un’altra delle sfide amate da Micha, pronto a coinvolgere tutti nel suo quadrato magico. Nella scatola nera che mai come nei lavori di questo artista estroso e umanissimo sa riempirsi di luci e toni di poesia.

Ad agire la performance sono i DanzActori di Ravenna Festival, (Marta Capaccioli, Martina Cicognani, Francesca De Lorenzi, Alberto Lazzarini, Giorgia Massaro, Chiara Nicastro e Alice Pieri) un gruppo di giovani selezionato negli anni da Cristina Mazzavillani Muti e cresciuto alla versatilità in scena.

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: posto unico numerato 12 euro (ridotto 10)
‘I giovani al festival’: fino 18 anni e universitari 5 euro

Micha van Hoecke a Ravenna Festival
Rossella Battisti conversa con il coreografo

La lunga marcia d’arte di Micha van Hoecke nei cartelloni di Ravenna Festival cominciò con una voce dietro le spalle. Micha stava effettuando una prova con il suo Ensemble alla Scala di Milano per l’Orfeo ed Euridice di Gluck. Pausa degli orchestrali, palcoscenico sgombro, danzatori attenti alle indicazioni che il coreografo belga-russo stava impartendo con la schiena rivolta alla platea. D’improvviso, la voce: “È molto interessante quello che sta dicendo”. Era il maestro Muti, giunto silenziosamente in sala. “Non è vero – continuò – che io non amo la danza: ma è questa la danza che amo. Devo farle conoscere mia moglie”. Due giorni dopo, Cristina Mazzavillani arrivò a teatro e chiese a van Hoecke di cominciare a collaborare per il Festival. “Mi disse – ricorda Micha – che aveva bisogno di persone come me perché il pubblico doveva avere la possibilità di vedere un artista e la sua evoluzione nel tempo. Una sfida per me inaspettata e stimolante”.

Dal 1990, con il debutto della Dante Symphonie presso la suggestiva Rocca Brancaleone a oggi, il nome del coreografo belga-russo è quasi sempre stato presente. Venticinque anni di incontri, collaborazioni, ricordi dai quali fatica a far sovrastare una memoria piuttosto che un’altra. “Il primo titolo che mi balza in mente è La muette de Portici, perché fu la prima opera lirica che ho messo in scena. Il cast era sterminato: 110 coristi, 10 ruoli per i cantanti, 40 ballerini… Una marea”. L’assaggio d’opera fu preludio per altri movimenti coreografici come ne I Pagliacci di Leoncavallo diretti da Muti con la regia di Liliana Cavani o un’altra regia lirica per Carmen di Bizet nel 2000, il Macbeth di Verdi nel 2004 e il Faust di Gounod l’anno successivo. Tra gli spettacoli più fortunati, nel 1992, ci fu il divertissement rossiniano Adieu à l’Italie con gli Swingle Singers. “Fu un successo incredibile – ricorda Micha –, con la gente che continuava ad applaudire a sipario ormai definitivamente calato”. Il record di repliche appartiene però a Maria Callas, la Voix des Choses, del 2003, portato anche all’estero.

Ho sempre sentito la danza come un canto interiore, una danza che si ascolta. Accolsi l’invito di Cristina Muti per un omaggio alla Callas per compiere un viaggio nel suo mondo. Che poi è il nostro mondo di danzatori, musicisti, cantanti, attori. Una stessa famiglia dove ognuno è troppo legato ai suoi binari per rendersi conto che arriviamo a un’unica destinazione, il palcoscenico. Io non mi ritengo semplicemente un coreografo, ma soprattutto uno che si esprime.

Sempre a Ravenna, Micha ha incrociato i suoi passi con quelli di étoiles come Alessandra Ferri e Maximiliano Guerra (1998), ma anche con le arti marziali del campione Francesco De Donato nella Danse du sabre (2004) o l’organetto scatenato di Ambrogio Sparagna (Sinfonia per una taranta nel 2008). Sotto i riflettori del Festival anche i temi più intimi del coreografo: dal senso di Micha per il nomadismo (Pélerinage, 1997), all’omaggio alla sorella Marina, appena scomparsa, Claire-Obscure del 2010, meditazioni sulla vita e sulla morte con la partecipazione speciale di Luciana Savignano.

Un diario d’arte quello con Ravenna. Micha van Hoecke, perché lo definirebbe speciale?
Essendo un festival a tema, la mia sensazione è sentirmi utile. Mi chiedono di partecipare a un’idea e per me è uno sprone alla creatività. Quello che mi piace è il suo essere una fucina d’arte. Non solo una scuola per imparare quello che esiste ma anche per inventare il futuro, mettendosi in discussione. È la sua visione aperta. In questo momento viviamo in una società che va verso la decostruzione. Bisogna stare attenti a non buttare tutto. E bisogna tenere le porte aperte verso orizzonti nuovi.

Incontri speciali fatti in questi venticinque anni?
Innumerevoli. Ravenna è una bottega di artisti dove ho visto crescere tanti giovani come Chiara Muti. Mi piace la sua determinazione, la sua conoscenza musicale e letteraria da figlia d’arte. Non si imbarca facilmente in qualcosa perché è un po’ come il padre: studia e cerca il senso di quello che si fa. Ci sarebbero tanti altri nomi da fare, ma mi dispiacerebbe dimenticare alcuni. Non posso però non menzionare Roberto De Simone, dal quale è sfociata tutta la mia avventura con il Festival: fu lui a chiedermi le coreografie per l’Orfeo ed Euridice alla Scala, tramite le quali ho conosciuto Muti. Ricordo che c’era una certa frizione con il corpo di ballo scaligero perché avevo portato il mio Ensemble, ma non potevo fare altrimenti, il mio stile di miscelare gesto e danza richiede interpreti rodati. Oggi che il mio Ensemble si è sciolto, posso dire di aver ritrovato quello stesso spirito duttile e multidisciplinare nel gruppo dei DanzActori tirato su da Cristina. Con lei stessa ho collaborato benissimo anche per Odissea blu nel 1995) e per La Regina della Notte nel 2006.

Tra i molti nomi passati per i cartelloni ravennati, c’è qualcuno che l’ha colpita?
Amo molto Giovanni Sollima, con il quale peraltro non ho mai lavorato. Le ultime cose che ho sentito di lui mi hanno entusiasmato e commosso. Mi sembra una creatura uscita dal bosco, dove ha tagliato alberi e costruito uno strumento tutto suo che suona all’impazzata zan-zan-zan… Un satiro musicale! Mi piace tanto anche Misha Maisky, altro splendido violoncellista. Tra i miei colleghi coreografi citerei invece i Sankai Juku e Ohad Naharin, conosciuto tantissimi anni fa. Mi ha colpito molto anche un passo a due di Ratmansky, che sembra reincarnare uno spirito antico della danza russa.

Tornando alle parole di Cristina Mazzavillani ,“dare la possibilità al pubblico di vedere un artista e la sua evoluzione nel tempo”, come ritiene abbia influito il Festival sulla consapevolezza dei suoi spettatori?
Ha saputo creare una dimensione del vivere in una comunità dove la cultura ha un ruolo essenziale. Ha dato al pubblico la sensazione di ricevere un privilegio. Così la città si è arricchita di memorie non solo di quello che è successo socialmente o politicamente. Prima si facevano qui solo alcuni spettacoli estivi e oggi c’è un cartellone imponente. E l’aspetto più interessante è che l’equilibrio tra le esigenze di quello che le persone vorrebbero vedere e quello che non hanno mai visto è rimasto intatto, ma anche che, una volta assistito allo spettacolo, quello può diventare qualcosa che vogliono tornare a vedere.

Il pellegrinaggio dei Tallis Scholars nelle più belle basiliche di Ravenna


Basilica di Sant’Apollinare in Classe, lunedì 27 giugno ore 21

Arrivano per la prima volta a Ravenna Festival ma lo fanno con due esibizioni nelle più belle basiliche della città. I Tallis Scholars, dopo aver animato la liturgia domenicale in San Vitale, lunedì 27 giugno alle 21, saranno protagonisti del concerto nella Basilica di Sant’Apollinare in Classe. Il famosissimo gruppo vocale inglese, specializzato nella musica sacra rinascimentale – ma a suo agio anche nella musica contemporanea, o in compagnia di Sting e di Paul McCartney – che nel 2013 ha festeggiato i 40 anni di attività, presenta un programma che alterna composizioni polifoniche del rinascimento inglese, francese e italiano, a brani di Arvo Pärt, riproponendo dunque un connubio già più volte sperimentato tra musica antica e musica contemporanea. Un programma di “cicli e ricicli, di ritorni e reinvenzioni”, al fine, come diceva T.S. Eliot, di “giungere dove siamo partiti, e conoscere il luogo per la prima volta”.

La polifonia inglese è rappresentata da Peter Philips, John Taverner, Thomas Tallis e William Byrd, quella francese da Jean Mouton, maestro di Adrian Willaert, che costituisce un tramite diretto tra la tradizione franco-fiamminga e quella italiana. Sul fronte italiano Palestrina e Allegri, il cui Miserere si dice che fosse eseguito con tale perizia nella Cappella Sistina a Roma da costituire un’attrazione ancora nel Settecento. Non era consentito far uscire le partiture, ma si dice che il giovane Mozart, che lo ascoltò nel 1770, riuscì a trascriverlo interamente ad orecchio dopo una sola esecuzione. Quello di Allegri è uno dei tre Miserere che i Tallis proporranno, ponendolo a confronto con partiture di Tallis e Byrd. Mentre il Nunc dimittis di Palestrina sarà giustapposto alla composizione su medesimo testo di Arvo Pärt, nello stile “tintinnabuli”, che pur nell’assoluta originalità di scrittura, risente dell’esperienza di varie modalità espressive propria della musica sacra: il canto gregoriano, la polifonia rinascimentale e la musica sacra russo-ortodossa. Arvo Pärt, di cui verranno eseguite anche altre composizioni su testo sacro, secondo Peter Phillips è infatti il compositore contemporaneo che, nell’ottica del percorso ciclico proposto dal programma, meglio consente di vedere in prospettiva la produzione musicale degli antichi maestri.

I Tallis Scholars nascono nel 1973, per iniziativa del loro attuale direttore, Peter Phillips, allora giovane studente dell’Università di Oxford, affascinato dalla musica rinascimentale in un’epoca in cui non era così comune ascoltare concerti dedicati esclusivamente alla polifonia vocale cinque e seicentesca. Il successo arriva con un disco del Miserere di Allegri, uscito per EMI nei primi anni Ottanta, che vendette 100.000 copie. Da allora Peter Phillips decise di costituire una propria etichetta, la Gimell che tuttora pubblica i dischi dei Tallis e la produzione saggistica dello stesso Phillips, in particolare, i due volumi English Sacred Music 1549-1649 (1991) e What We Really Do (2003), un appassionato racconto di cosa significhi per i Tallis organizzare una tournée e preparare una esecuzione polifonica. Sin dall’inizio del percorso del gruppo, Phillips aveva in mente il suono ideale che voleva raggiungere con il suo ensemble vocale e che riuscì ad ottenere con i cantori disposti a semicerchio, in modo da potersi guardare e interagire per tutta l’esecuzione, costituito da un numero limitato di persone, in genere due voci per parte, che lavorano insieme come in un quartetto d’archi, con una concezione quasi cameristica della polifonia vocale. Compongono i Tallis Amy Haworth, Emily Atkinson, Katie Trethewey, Katherine Hill (soprani), Caroline Trevor, Simon Ponsford (contralti) Steven Harrold, Simon Wall (tenori), Timothy Whiteley e Nicholas Ashby (bassi).

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: I settore intero 30 euro (ridotto 26); II settore intero 20 euro (ridotto 28)
I giovani al festival’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffe ridotte.

Per Twyla Tharp una ouverture delle Ginnaste di Edera Ravenna


Venerdì 24 giugno, Area esterna Palazzo de Andrè dalle ore 21

Il virtuoso connubio sport – spettacolo non è certo una novità per Ravenna Festival e si riproporrà venerdì 24 giugno al Pala De Andrè con una ventata di energia, grazie al talento e all’entusiasmo di un gruppo di giovanissime atlete della sezione di Ginnastica Ritmica dell’Edera Ravenna, che si esibiranno presso il Grande Ferro R di Burri dalle 21 fino a pochi minuti prima dell’attesissimo spettacolo della compagnia di Twyla Tharp.

Preparate dalle allenatrici Camilla Casadio, Sara Tiene, Alessia Gugliermetti e guidate dalla responsabile di settore Prof.ssa Silvia Sarini, le ginnaste (Chiara Solaini, Caterina Marian, Emma Bulzoni, Sofia Masci, Felicia Baes) sono già atlete di valore nel panorama italiano. Nonostante siano tutte di età compresa fra i 10 e i 13 anni, hanno già partecipato al Campionato di Categoria, gara di massimo livello indetta dalla Federazione Ginnastica d’Italia e due di loro, Emma e Sofia, sono state selezionate per partecipare ai collegiali estivi che si terranno a Terranuova Bracciolini dal 3 al 9 luglio di quest’anno.

Quale migliore prologo per la serata che vedrà protagonista la compagnia dell’eclettica Twyla Tharp, il nuovo appuntamento della come sempre ricchissima programmazione danza di Ravenna Festival?

La danza spigliata di Twyla Tharp
Palazzo Mauro de André, venerdì 24 giugno ore 21,30

Mezzo secolo di coreografie e, c’è da scommetterci, the best is yet to come, il meglio deve ancora venire con una fuoriclasse come Twyla Tharp, la cui compagnia arriva al Ravenna Festival (venerdì 24 giugno ore 21.30 al Pala de Andrè) con tre lavori, dalle Country Dances delle “origini” (1976), affresco di America rurale al nuovissimo Beethoven opus 130, creato intorno a uno dei suoi interpreti storici, Matthew Dibble – opera in anteprima in Italia che debutterà pochi giorni dopo, il 30 giugno, a Sarasota, in Florida. In mezzo, un’esplosione di virtuosismi con Brahms Paganini del 1980 variazioni indiavolate per sei danzatori, a testimonianza dell’eclettica capacità creativa dell’artista. Fin dagli anni Settanta ha fatto spiccare il suo nome sui cartelloni, dalle collaborazioni con le tre maggiori compagnie di balletto americane (Joffrey Ballet, American Ballet Theatre e New York City Ballet) agli spettacoli per Broadway e per Hollywood. Il segreto di tanta versatilità sta nella sua abilità di creare danze al tempo stesso accattivanti e pronte a misurarsi con nuove sfide.

Lo spettacolo in scena al Ravenna Festival è realizzato con il contributo di SAPIR.

Oggi, a 75 anni (che compirà fra pochi giorni), la coreografa americana mantiene il suo sguardo curioso sul mondo della danza, in cui ha introdotto una spericolata esplorazione di generi e musiche, passando dal jazz al balletto classico, dai balli di sala a quelli psichedelici e hippie per Hair di Milos Forman. Tra i riconoscimenti ricevuti nella sua lunga carriera, un Tony Award, due Emmy Awards, la National Medal of the Arts nel 2004, il Jerome Robbins Prize 2008 e…ben diciannove lauree ad honorem. Un’artista imprevedibile, estrosa, capace di misurarsi con lavori per gruppi contemporanee o trasformando un étoile dalle linee apollinee come Mikhail Baryshnikov in un maliardo in smoking che volteggia sulle canzoni da sera di Mr. Blue Eyes (Sinatra Suite). Per non dire, del cammeo che gli ha regalato di eterno ragazzo in tenuta sportiva in quel piccolo grande capolavoro che è Push Comes To Shove. Insomma, Tharp è pronta a sorprenderci ancora con le sue creazioni e i suoi modi sbarazzini, gli stessi che aveva quando faceva avanguardia con i compagni della post modern dance. Il segreto della sua eterna ispirazione? “Continuare a lavorare – dice lei -. Conservare l’energia del corpo”. E della mente, come continua a fare aggiungendo alla sua autobiografia Push Comes To shove del 1992, anche The Creative Habit: Learn It And Use It For Life (L’attitudine creativa: imparala e usala per la vita) e The Collaborative Habit: Life Lessons For Working Together (L’attitudine collaborativa: Lezioni di vita per lavorare insieme).

L’”assaggio” di Tharp comincia da Country Dances, creato nel 1976 per uno speciale televisivo (anche se andò in scena prima della messa in onda nel 1977). La coreografia alterna duetti, terzetti e un quartetto con i danzatori che si prendono per mano e intrecciando danze echeggianti caratteri popolari. Anche i vivacissimi colori dei costumi – disegnati da Santo Loquasto, destinato a diventare un collaboratore abituale di Twyla – ricordano lo spirito rurale della vecchia America, costeggiato da una colonna sonora di musiche folk.

Tutt’altra atmosfera per Brahms Paganini, brillante passerella di virtuosismi e tecnica d’acciaio per i sei interpreti sulle note delle Variazioni su un tema di Paganini, opera 36 di Johannes Brahms. Due le parti soliste, affidate rispettivamente a un uomo (all’inizio) e a una donna, intenti a sfoderare precisione tecnica e resistenza inumana in duello con lo sfavillio delle note.

Creazione nuova di conio è invece Beethoven opus 130, coreografia di atmosfera drammatica in anteprima mondiale, che Tharp ha creato per uno dei suoi danzatori storici, Matthew Dibble. Venuto dal Royal Ballet, Dibble fece gruppo con altri ballerini – tra cui William Trevitt e Michael Nunn – per formare nel 1998 con Tetsuya Kumakawa il K Ballet del Giappone. Poco dopo, però, ha scelto di unirsi alla compagnia di Tharp che non ha più lasciato.

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: da 12 euro (ridotti 10) a 42 euro (ridotti 38)
I giovani al festival’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffe ridotte.
Il servizio navetta gratuito per il Palazzo de Andrè, realizzato in collaborazione con Start Romagna e con il contributo di Tecno Allarmi Sistemi, percorrerà 2 volte la tratta Stazione – Palazzo M. De André, con partenza da Piazza Farini, alle ore 20,30 e 20,45. Al termine dello spettacolo due corse riporteranno gli spettatori al capolinea.

Twyla Tharp
Una laurea al Barnard College nel 1963 e una vita intera nella danza: Twyla Tharp ha creato più di 160 opere, fra coreografie (129), speciali televisivi (12), sei film di Hollywood, quattro balletti a serata intera, quattro spettacoli di Broadway e due coreografie di pattinaggio artistico, a testimonianza della sua totale libertà di sguardo sulla danza. Un’attitudine multidisciplinare dimostrata fin da bambina, quando studiava piano e violino, passando poi alla viola e alle arti acrobatiche. Quando la sua famiglia si trasferì in California, Twyla si avvicinò alla danza di ogni tipo, dal tip tap alla modern dance, persino alle lezioni di danza gitana che impartiva lo zio di Rita Hayworth. Crescere, del resto, all’ombra colorata di un drive-in – gestito dalla sua famiglia -, le instillò il gusto per la visionarietà dell’arte cinematografica. E il cinema l’accolse a braccia aperte quando si trattò di creare danze per film di successo come Hair, Amadeus e Ragtime di Milos Forman. Già nel 1965 formò la sua compagnia di danza, Twyla Tharp Dance, con la quale ha esplorato nuove frontiere ed espressioni della danza classica e moderna. Oltre a coreografie per il suo gruppo, ha creato danze per il Joffrey Ballet, l’American Ballet Theatre, l’Opera di Parigi, il Royal Ballet, il New York City Ballet, per la compagnia di Martha Graham e svariate altre compagnie in tutto il mondo.

La danza spigliata di Twyla Tharp
Palazzo Mauro de André, venerdì 24 giugno ore 21,30

Mezzo secolo di coreografie e, c’è da scommetterci, the best is yet to come, il meglio deve ancora venire con una fuoriclasse come Twyla Tharp, la cui compagnia arriva al Ravenna Festival (venerdì 24 giugno ore 21.30 al Pala de Andrè) con tre lavori, dalle Country Dances delle “origini” (1976), affresco di America rurale al nuovissimo Beethoven opus 130, creato intorno a uno dei suoi interpreti storici, Matthew Dibble – opera in anteprima in Italia che debutterà pochi giorni dopo, il 30 giugno, a Sarasota, in Florida. In mezzo, un’esplosione di virtuosismi con Brahms Paganini del 1980 variazioni indiavolate per sei danzatori, a testimonianza dell’eclettica capacità creativa dell’artista. Fin dagli anni Settanta ha fatto spiccare il suo nome sui cartelloni, dalle collaborazioni con le tre maggiori compagnie di balletto americane (Joffrey Ballet, American Ballet Theatre e New York City Ballet) agli spettacoli per Broadway e per Hollywood. Il segreto di tanta versatilità sta nella sua abilità di creare danze al tempo stesso accattivanti e pronte a misurarsi con nuove sfide.

Lo spettacolo in scena al Ravenna Festival è realizzato con il contributo di SAPIR.

Oggi, a 75 anni (che compirà fra pochi giorni), la coreografa americana mantiene il suo sguardo curioso sul mondo della danza, in cui ha introdotto una spericolata esplorazione di generi e musiche, passando dal jazz al balletto classico, dai balli di sala a quelli psichedelici e hippie per Hair di Milos Forman. Tra i riconoscimenti ricevuti nella sua lunga carriera, un Tony Award, due Emmy Awards, la National Medal of the Arts nel 2004, il Jerome Robbins Prize 2008 e…ben diciannove lauree ad honorem. Un’artista imprevedibile, estrosa, capace di misurarsi con lavori per gruppi contemporanee o trasformando un étoile dalle linee apollinee come Mikhail Baryshnikov in un maliardo in smoking che volteggia sulle canzoni da sera di Mr. Blue Eyes (Sinatra Suite). Per non dire, del cammeo che gli ha regalato di eterno ragazzo in tenuta sportiva in quel piccolo grande capolavoro che è Push Comes To Shove. Insomma, Tharp è pronta a sorprenderci ancora con le sue creazioni e i suoi modi sbarazzini, gli stessi che aveva quando faceva avanguardia con i compagni della post modern dance. Il segreto della sua eterna ispirazione? “Continuare a lavorare – dice lei -. Conservare l’energia del corpo”. E della mente, come continua a fare aggiungendo alla sua autobiografia Push Comes To shove del 1992, anche The Creative Habit: Learn It And Use It For Life (L’attitudine creativa: imparala e usala per la vita) e The Collaborative Habit: Life Lessons For Working Together (L’attitudine collaborativa: Lezioni di vita per lavorare insieme).

L’”assaggio” di Tharp comincia da Country Dances, creato nel 1976 per uno speciale televisivo (anche se andò in scena prima della messa in onda nel 1977). La coreografia alterna duetti, terzetti e un quartetto con i danzatori che si prendono per mano e intrecciando danze echeggianti caratteri popolari. Anche i vivacissimi colori dei costumi – disegnati da Santo Loquasto, destinato a diventare un collaboratore abituale di Twyla – ricordano lo spirito rurale della vecchia America, costeggiato da una colonna sonora di musiche folk.

Tutt’altra atmosfera per Brahms Paganini, brillante passerella di virtuosismi e tecnica d’acciaio per i sei interpreti sulle note delle Variazioni su un tema di Paganini, opera 36 di Johannes Brahms. Due le parti soliste, affidate rispettivamente a un uomo (all’inizio) e a una donna, intenti a sfoderare precisione tecnica e resistenza inumana in duello con lo sfavillio delle note.

Creazione nuova di conio è invece Beethoven opus 130, coreografia di atmosfera drammatica in anteprima mondiale, che Tharp ha creato per uno dei suoi danzatori storici, Matthew Dibble. Venuto dal Royal Ballet, Dibble fece gruppo con altri ballerini – tra cui William Trevitt e Michael Nunn – per formare nel 1998 con Tetsuya Kumakawa il K Ballet del Giappone. Poco dopo, però, ha scelto di unirsi alla compagnia di Tharp che non ha più lasciato.

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: da 12 euro (ridotti 10) a 42 euro (ridotti 38)
I giovani al festival’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffe ridotte.
Il servizio navetta gratuito per il Palazzo de Andrè, realizzato in collaborazione con Start Romagna e con il contributo di Tecno Allarmi Sistemi, percorrerà 2 volte la tratta Stazione – Palazzo M. De André, con partenza da Piazza Farini, alle ore 20,30 e 20,45. Al termine dello spettacolo due corse riporteranno gli spettatori al capolinea.

Twyla Tharp
Una laurea al Barnard College nel 1963 e una vita intera nella danza: Twyla Tharp ha creato più di 160 opere, fra coreografie (129), speciali televisivi (12), sei film di Hollywood, quattro balletti a serata intera, quattro spettacoli di Broadway e due coreografie di pattinaggio artistico, a testimonianza della sua totale libertà di sguardo sulla danza. Un’attitudine multidisciplinare dimostrata fin da bambina, quando studiava piano e violino, passando poi alla viola e alle arti acrobatiche. Quando la sua famiglia si trasferì in California, Twyla si avvicinò alla danza di ogni tipo, dal tip tap alla modern dance, persino alle lezioni di danza gitana che impartiva lo zio di Rita Hayworth. Crescere, del resto, all’ombra colorata di un drive-in – gestito dalla sua famiglia -, le instillò il gusto per la visionarietà dell’arte cinematografica. E il cinema l’accolse a braccia aperte quando si trattò di creare danze per film di successo come Hair, Amadeus e Ragtime di Milos Forman. Già nel 1965 formò la sua compagnia di danza, Twyla Tharp Dance, con la quale ha esplorato nuove frontiere ed espressioni della danza classica e moderna. Oltre a coreografie per il suo gruppo, ha creato danze per il Joffrey Ballet, l’American Ballet Theatre, l’Opera di Parigi, il Royal Ballet, il New York City Ballet, per la compagnia di Martha Graham e svariate altre compagnie in tutto il mondo.

La musica libera di Hugh Masekela


Teatro Rasi, giovedì 23 giugno ore 21

Un altro degli ambasciatori della musica sudafricana invitato da Ravenna Festival è il trombettista e vocalist Hugh Masekela, protagonista del concerto di giovedì 23 giugno al Teatro Rasi (ore 21.00) con la propria band di cinque elementi (Cameron John Ward alla chitarra, Johan Wilem Mthethwa alle tastiere, Abednigo Sibongiseni Zulu al basso, Lee-Roy Sauls alla batteria e Francis Manneh Edward Fuster alle percussioni). Fiero oppositore, da sempre, dell’apartheid, è stato fra i primi a farsi conoscere a livello internazionale. Virtuoso della tromba, del flicorno e della cornetta è a pieno titolo incluso nel novero dei musicisti che hanno contribuito all’evoluzione del jazz nel Ventesimo secolo.

Trombettista, compositore, cantante sudafricano, Masekela è famoso in tutto il mondo non solo per lo straordinario talento, ma anche per l’impegno sociale e politico nel suo paese: anche se la sua carriera lo ha portato per molto tempo lontano dall’Africa, non ha mai smesso di adoperarsi contro l’apartheid, anche fuori dai confini della sua terra. Nato nel 1939 a Witbank, cittadina vicino Johannesburg, cresce familiarizzando con Armstrong, Ellington, Glenn Miller, Count Basie e, ascoltando dischi di jazz americano e sudafricano, prende gusto a cantare, e comincia anche a studiare il pianoforte. Ma a 14 anni, affascinato da Young Man With a Horn, il film sul trombettista statunitense Bix Beiderbecke, interpretato da Kirk Douglas, chiede a Padre Trevor Huddleston, pastore protestante inglese in prima linea nella lotta contro la discriminazione razziale, di poter avere una tromba: la ottiene e seguendo il suo esempio saranno altri suoi coetanei a chiedere degli strumenti, nasce così la Huddleston Jazz Band, di cui Masekela naturalmente è uno dei protagonisti.

«Ci identificavamo con il jazz – ha dichiarato qualche anno fa Masekela – perché a quei tempi il jazz mostrava l’eccellenza di un popolo che era stato schiavizzato e discriminato. Dizzy (Gillespie) e Miles (Davis) non erano amati dall’establishment occidentale. Erano gente nera che non si faceva raccontare balle. Louis Armstrong, Billie Holiday e Count Basie rappresentavano il trionfo sull’oppressione». E Hugh Ramopolo Masekela è, insieme ad Abdullah Ibrahim, l’emblema del rapporto che il Sudafrica ha stretto subito con il jazz. Così, crescendo con la musica dei grandi del jazz, inizia a suonare, poi guida propri gruppi e collabora con Ibrahim, quando il pianista di Cape Town si faceva chiamare Dollar Brand.

All’indomani del massacro di Sharpeville, che costò la vita a 69 persone, e all’indurirsi delle leggi razziste dell’apartheid, Hugh Masekela prende la via della Gran Bretagna e quindi degli Stati Uniti. Conosce personalmente Louis Armstrong, che in passato gli ha fatto avere in regalo una propria tromba; diventa amico di Harry Bellafonte, di Gillespie e Davis; nel 1964 sposa la cantante Miriam Makeba, altro nome di grande rilievo della musica sudafricana (divorziano dopo cinque anni ). Nel 1967 partecipa al Monterey Pop Festival, il primo dei grandi raduni musicali giovanili: Hugh Masekela si esibisce la sera del 17 giugno, preceduto dai Moby Grape e seguito dai già celebri Byrds, trascinando migliaia di giovani ancora del tutto o quasi a digiuno di ritmi africani.

Nei primi anni Settanta è già una celebrità e negli Stati Uniti i suoi concerti registrano sempre il tutto esaurito. È in quel periodo che il musicista decide di tornare in Africa e si sposta dalla Guinea, alla Liberia, dal Ghana allo Zaire, fino in Nigeria. Nascono quelli che la critica considera gli album più innovativi della sua carriera. Nel 1980, Masekela e Miriam Makeba suonano insieme in uno storico concerto di Natale in Lesotho, di fronte a un pubblico di 75.000 persone. Poi si trasferisce in Botswana, poco lontano dal confine con il Sudafrica, dove crea una scuola di musica. I giorni dell’arcobaleno devono, purtroppo, ancora arrivare: il Sudafrica colpisce la piccola nazione confinante, ritenuta “campo addestramento per i comunisti” e Masekela deve fuggire di nuovo. Torna in Inghilterra, dove compone un grande musical, “Sarafina!”, e compone un singolo a favore della scarcerazione di Nelson Mandela, “Bring Him Back Home”, che diventa uno fra gli inni della campagna “Free Mandela”. In quel periodo i suoi brani spesso sembrano anticipazioni della world music. Finalmente, nel 1990, può tornare in Sudafrica, in tempo per vedere la scarcerazione di Nelson Mandela, e partire per un tour di quattro mesi fa il “tutto esaurito” nelle principali città del paese. Oggi è uno fra gli artisti africani di maggior successo, può vantare numerosi dischi di platino e, grazie a questa preziosa posizione nel mercato discografico, promuove artisti sudafricani emergenti anche attraverso la propria etichetta discografica, la “Chissa Entertainment”. E non c’è alcuna retorica se lo si definisce simbolo di una musica libera, come il jazz, che non conosce barriere di razza.

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: 15 euro (ridotti 12)
I giovani al festival: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50 % tariffe ridotte.

Elena Bucci e Chiara Muti “streghe” per Shakespeare

Mausoleo di Teodorico, mercoledì 22 giugno ore 21.30

È una Folia shakespeariana, un concerto di voci, parole, suoni intorno ai temi e ai personaggi del Bardo, ma anche una performance arcana di “streghe”, un sabba teatrale esoterico quello che Elena Bucci e Chiara Muti si apprestano a fare all’ombra del Mausoleo di Teodorico (mercoledì 22 giugno ore 21.30, ingresso via delle Industrie). Luogo che per la prima volta, forse uno dei pochi che ancora mancava, viene assorbito dal Festival per essere palcoscenico d’arte e non solo di turismo, il Mausoleo e il suo parco verrà così “abitato” dai fantasmi letterari da Lady Macbeth a Ofelia, da Lear ad Amleto, e ancora Prospero, Romeo e Giulietta, Oberon e Titania. Una partitura di echi, ricamata dalle sonorità di Raffaele Bassetti e lampeggiata dalle luci di Loredana Oddone. In questa Folia Elena e Chiara si alternano e si confrontano, attrici e autrici di una trama che omaggia Shakespeare nel quattrocentesimo anno dalla sua morte, prodotta dal Festival in collaborazione con la Compagnia Le Belle Bandiere.

Già in passato Elena Bucci e Chiara Muti hanno lavorato insieme, la prima regista dell’altra, in Francesca da Rimini (2004) e in Ridono i sassi ancor della città (2005), sull’amore fra Teresa Guiccioli e Lord Byron, su testi del poeta Nevio Spadoni. Stavolta, invece, si fronteggiano corpo a corpo, o meglio voce su voce con le parole del Bardo. Il parco di Teodorico si trasforma nel loro regno di “streghe da teatro” per richiamare le ombre di protagonisti o personaggi di contorno fuggiti dalle opere del Maestro. Tempio e fulcro di questa celebrazione il Mausoleo con la sua pianta circolare, a manifestare la sua natura di luogo di morte ma anche di ritualità della morte. Affollato di spettri e pulsante di capacità evocative di altre vite, altri pensieri, altri dubbi.

“Penso a un teatro come catarsi – dice Elena Bucci -, come atto poetico per la trasformazione”. Le streghe di Macbeth forniscono l’intelaiatura della performance, sorta di “divinità naturale che agisce arcanamente nel mondo dell’oscuro e del mistero -, sottolinea Chiara Muti -. Sono delle medium che parlano”. Evocano personaggi facendoli convergere dal buio alla luce con piccole pennellate visive e sonore. Basta un mantello, una lancia, un fiore per richiamare figure ben note all’immaginario teatrale. E con loro lanciare ponti di riflessione sull’oggi.

“È impressionante – continua Elena Bucci – lo stato profetico delle parole di Lear, per esempio, sul ribaltamento della giustizia, sulle antiche alleanze tradite. Può apparire come una considerazione mesta, ma è anche rigenerante. I misteri, le cose buie hanno una possibilità di fuga verso la luce”. I testi sono stati scelti dalle due attrici, a volte su suggerimento dell’una per l’altra. “Ci siamo stupite nelle proposte incrociate – commenta Chiara Muti – scoprendo come si viene viste dall’esterno. Capita di sentirti un po’ spostata dallo sguardo dell’altra, ma è piacevolmente sorprendente”. La trama forma un paesaggio di nuclei poetici, più che delineare storie a se stanti. E’ un rincorrersi di temi, anch’esso circolare, avvicinamento parzialissimo al clima e alle atmosfere di tragedie e commedie. Una sfida eccitante, inoltre, per calzare indifferentemente abiti maschili e femminili, a duello nel tempo con i soli uomini attori del Globe che recitavano, come è noto, tutti i ruoli.

Al centro, palcoscenico vibrante, il Mausoleo. “È un luogo magico – lo definisce Chiara – così concentrico e circolare, a ricordare il mondo shakespeariano e la struttura stessa del Globe”. Monumento sottratto a un destino semplicemente turistico, che diventa un altro luogo da vivere per la città e i suoi spettatori. Un significato aggiunto alla collaborazione delle due fanciulle d’arte: “Ravenna insegna che un festival – conclude Chiara – dovrebbe sempre avere questa priorità di creare occasioni di incontro fra le diverse discipline e permettere agli artisti di confrontare i loro saperi”.

Info e prevendite: tel. 0544 249244 – www.ravennafestival.org
Biglietto: ingresso 22 euro (ridotto 20 euro)
I giovani al Festival: 5 euro under 14; 10 euro under 18 e universitari

CHIARA MUTI
Formatasi alla “Paolo Grassi”, si perfeziona al Piccolo di Milano. Attrice, cantante e rgista, debutta in teatro nel 1995 nel ruolo di Euridice nell’Orfeo di Monteverdi per la regia di Micha van Hoecke. Con il coreografo e regista belga instaura un legame artistico per tre nuove creazioni presentate al Ravenna Festival: Pèlerinage del 1997, Salomè del 2008 su testi di Oscar Wilde e Le Baccanti del 2009 da Euripide. Fruttuosa anche la collaborazione con il compositore Azio Corghi, per il quale è protagonista di quattro opere: Pia (2005) su testi della Yourcenar per la regia di Valter Malosti all’Opera di Roma; Il dissoluto assolto (2006) da Saramago con la regia di Andrea De Rosa a Lisbona; Giocasta (2009 su testi di Maddalena Mazzocut-Miscon la regia di Riccardo Canessa per il Teatro Olimpico di Vicenza e Blanquette, concerto di apertura della Settimana Musicale Senese nel 2014. E’ stata ospite dei maggiori palcoscenici italiani, dal Festival di Spoleto al Parco della Musica di Roma e stranieri dal Teatro Nazionale di Algeri allo Spring Festival di Budapest. Dal 2002 lavora a stretto contatto con lo scrittore e regista Ruggero Cappuccio, per il quale è protagonista nell’Orlando Furioso di Ariosto, in Desideri Mortali e Natura viva su musiche di Marco Betta. A progetti di musica da camera, come Enoch Arden di Strauss insieme al pianista Emanuele Arciuli, alterna attività nel teatro di prosa, diretta – fra l’altro – da Angelo Longoni, Maurizio Scaparro, Federico Tiezzi. Al cinema è apparsa in Rosa e Cornelia di Giorgio Treves, La via degli angeli di Pupi Avati, Il partigiano Johnny di Guido Chiesa e Musikanten di Franco Battiato.
Nel 2012 ha debuttato nella regia d’opera con Sancta Susanna di Hindemith diretta da Riccardo Muti al Ravenna Festival, a cui hanno fatto seguito Dido and Aeneas di Purcell e Manon Lescaut all’Opera di Roma. Nel 2016 ha aperto la stagione del Petruzzelli di Bari con la regia delle Nozze di Figaro di Mozart. Tra i riconoscimenti, il Premio Anna Magnani nel 1996 e il Premio Eleonora Duse nel 1997. Grolla d’oro nel 1999 per Rosa e Cornelia.

ELENA BUCCI
Regista, attrici, autrice, Elena Bucci ha fatto parte del Teatro di Leo di Leo de Berardinis, partecipando a tutti gli spettacoli fino a Il ritorno di Scaramouche. Ha lavorato tra gli altri con Mario Martone e Claudio Morganti. Fonda con Marco Sgrosso la compagnia Le Belle Bandiere con sede a Bologna e a Russi (Ra), creando insieme spettacoli, progetti e rassegne per la comunicazione tra le arti e contribuiscono con eventi alla riapertura di nuovi spazi e del Teatro Comunale di Russi. Cura regia, drammaturgia e allestimento di spettacoli distribuiti nei più importanti teatri nazionali (dal Teatro di Roma al Teatro dell’Elfo di Milano alla Pergola di Firenze) e all’estero (recente il passaggio al Teatro Nazionale di Pechino e a Mosca), e nei quali è spesso in scena. Spazia da riletture di testi classici in chiave contemporanea – tra gli altri: Macbeth, Hedda Gabler, Locandiera, Antigone, L’Amante, Delirio a due, Santa Giovanna dei Macelli fino al cechoviano Svenimenti e al più recente La Canzone di Giasone e Medea – a drammaturgie basate sulla commistione dei codici artistici spesso in musica. Nonché a scritture originali, tra le quali: Non sentire il male/dedicato a Eleonora Duse, Barnum, In canto e in veglia (vincitore I Teatri del Sacro 2013), La pazzia di Isabella/vita e morte dei Comici Gelosi (con Marco Sgrosso), Bimba/inseguendo Laura Betti, Vite altrove/maestre dentro e fuori scena (produzione Rai RadioTre), molti dei quali realizzati in collaborazione con Teatri Nazionali. Per Ravenna Festival ha curato regie collaborando con Nevio Spadoni e Luigi Ceccarelli: da Galla Placidia, Francesca da Rimini a Ridono i sassi ancor della città con l’interpretazione di Chiara Muti, e ha interpretato nuove drammaturgie come Le Apocalissi, con la partecipazione di Massimo Cacciari, Juana de la Cruz o le insidie della fede (musiche di Andrea Agostini), Colloqui con la cattiva dea (musiche di Simone Zanchini). Ha recitato in Tenebrae di Guarnieri per la regia di Cristina Mazzavillani Muti. Attraversa cinema (Corsicato, Guadagnino, Pretolani, Valli, Sordillo) e radio nazionali. Si aggiudica, tra gli altri, il premio Ubu, il premio Eti Olimpici per il teatro e il premio Hystrio Altre Muse.

Daniel Harding e la Mahler Chamber Orchestra al Ravenna Festival


Palazzo Mauro de Andrè, domenica 19 giugno ore 21

Domenica 19 giugno, ore 21 al Pala De Andrè, tra gli appuntamenti più attesi di Ravenna Festival 2016, arriva un’orchestra prestigiosa guidata dal direttore cui è legata da un lungo e intenso e fortunato rapporto: la Mahler Chamber Orchestra diretta da Daniel Harding. Un’affinità profonda e assoluta tra la Mahler e Harding che nel concerto per Ravenna Festival si esprime in un programma che conferma le inclinazioni dei suoi protagonisti: il Novecento storico di Edgard Varèse, le fondamenta classiche del sinfonismo beethoveniano, ma anche il linguaggio della contemporaneità espresso da Mark-Anthony Turnage.

Il concerto è reso possibile grazie al contributo BPER Banca, partner di Ravenna Festival che sostiene anche gli appuntamenti quotidiani dei “Vespri a San Vitale”.

L’orchestra intitolata a Mahler e fondata da Claudio Abbado, in quasi vent’anni (li festeggerà nel 2017) ha lasciato un segno profondo nel panorama musicale internazionale, in cui fin dall’inizio, ha saputo distinguersi: per la straordinaria qualità dei singoli musicisti – sono in 45, provengono da tutto il mondo, e si riuniscono appositamente in occasione dei tour -; per la singolare “gestione” che si sono dati – le decisioni vengono prese democraticamente con la partecipazione di tutti. Ma soprattutto, per un repertorio che riserva un posto di rilievo a composizioni contemporanee e per lo stile cameristico del suono che pur nella piena fusione dell’insieme lascia trapelare l’unicità delle singole personalità musicali dei suoi componenti.
Daniel Harding, anch’egli cresciuto alla “scuola” di Abbado: dopo aver lavorato al fianco di Sir Simon Rattle, è come assistente del maestro italiano che è approdato al podio dei Berliner Philharmoniker con cui debuttato nel 1996. Dunque, “enfant prodige” della direzione ora nel pieno della maturità artistica, la Mahler Chamber Orchestra, dopo averne sperimentato le doti come direttore principale e musicale dal 2003 al 2011, pochi mesi fa ha deciso di nominarlo Conductor Laureate a vita dell’orchestra.

Per l’apertura della serata sui leggii dell’orchestra ci sarà la partitura di un antesignano della sperimentazione: “Intégrales” di Varèse. Una composizione eseguita per la prima volta a New York nel 1925 in cui l’autore attua una ricerca mirata alla proiezione spaziale dei suoni, come poi avrà modo di spiegare, “ottenibile con dei dispositivi acustici che allora non esistevano”, e che quindi anticipa la musica elettronica a venire, e che si caratterizza per una straordinaria “escursione timbrica” attraverso cui si dispiega una serie di variazioni.

Il programma del concerto della Mahler prosegue con una composizione dell’autore inglese Mark-Anthony Turnage (nato nel 1960), tra i più acclamati ed eseguiti della sua generazione, che entrerà in scena uno dei più grandi virtuosi del nostro tempo, il trombettista svedese Håkan Hardenberger. Con un’opera che Turnage ha composto nel 2015 proprio per lui e per le sue straordinarie capacità solistiche, come è evidente dal titolo: “Håkan Concerto per tromba e orchestra”, e che qui viene proposto in prima esecuzione italiana. Si tratta di un’opera che, tratto caratteristico del suo autore, fonde sapientemente stili diversi, intrecciando modernismo, influenze jazz e etniche, e matura sperimentazione: dall’evocazione dello stile vocale “Falak” (tipico dell’area tra Pakistan e Afghanistan) del primo movimento, al riferimento bachiano della terza e ultima parte, “Chorale Variations”, tutto intriso del virtuosismo solistico di Håkan Hardenberger.

Infine, Beethoven: la Quarta sinfonia in si bemolle op. 60, del 1806: un’opera talvolta considerata “minore” rispetto ai lavori sinfonici immediatamente precedenti e seguenti, ma che in realtà rivela innovazioni ritmiche e tonali e una particolare sensibilità, che ne fanno un imperdibile capolavoro.

Come per tutti gli spettacoli al Palazzo de Andrè è attivo il servizio navetta straordinario e gratuito – dedicato al pubblico del Festival – che percorrerà 2 volte la tratta Stazione Ferroviaria – Palazzo M. De André con partenza da Piazza Farini alle ore 20,15 e 20,30. Al termine del concerto due corse riporteranno gli spettatori al capolinea.

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: da 15 euro (ridotti 12) a 93 euro (ridotti 85)
‘I giovani al festival’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffe ridotte.

Cellolandia sabato 18 giugno: I 100Cellos sono ovunque

fino al gran finale Let’s Dance!
Ore 10 Teatro Alighieri – Il concorso di composizione
Ore 11.30 Piazza del Popolo – Incursione musicale dei 100Cellos
Ore 12.30 Chiostri Francescani – I GiovinCellos
Ore 19 Basilica di San Vitale – Monica Leskovar e Hannah Eichberg
Ore 21.30 Rocca Brancaleone – 100Cellos la festa finale: Let’s Dance!

I 100Cellos a Ravenna hanno trovato una nuova casa. Per una settimana li abbiamo visti, ascoltati e ammirati in ogni angolo della città e la giornata conclusiva di sabato 18 giugno non sarà da meno. Cinque i momenti che li vedranno protagonisti. In attesa della grande festa conclusiva “Let’s Dance!” (alle 21.30 alla Rocca Brancaleone) il primo appuntamento è alle 10 del mattino quando al Teatro Alighieri (ingresso libero, l’invito è aperto a tutti) saranno impegnati nell’esecuzione in prima assoluta dei 9 brani sul tema del ballo – momento conclusivo del “Concorso di Composizione” – che altrettanti giovani compositori (Salvatore Passantino, Emilio Mottola, Stefano Ottomano, Sofia Avramidou, Marilena Licata, Emanuele Pontoni, Vittorio Pasquale, Michele Sarti e Alessio pianelli) hanno composto nella ‘clausura’ notturna al teatro. Alle 11.30 (circa) tutti i 100 violoncelllisti, guidati dai capitani Giovanni Sollima e Enrico Melozzi, si muoveranno in corteo alla volta di Piazza del Popolo per l’incursione musicale con la quale hanno deciso di ringraziare il pubblico e la città intera per la festosa accoglienza. Al termine dell’esplosivo ‘concertino’ in piazza – che si svolgerà sotto la residenza municipale (in caso di pioggia sotto i portici) – i 100Cellos guideranno il pubblico ai Chiostri Francescani per il concerto dei GiovinCellos che, inizialmente previsto alle 11, prenderà il via alle 12.30. Per i Vespri a San Vitale alle 19 si esibiranno Monica Leskovar con il Capriccio per Palm di Penderecki e Hannah Eichberg per Trois Strophes di Dutilleux.

Il gran finale andrà in scena alla Rocca Brancaleone (a partire dalle 21.30) che per una sera si trasformerà in una pista da ballo unica e irripetibile – con tanto di luci e sfere luccicanti come in una vera disco – offrendo al pubblico un lungo e appassionante viaggio nella felice fisicità della musica. L’eloquente titolo “Let’s Dance!” (omaggio all’omonimo disco di David Bowie prodotto da Nile Rodgers degli Chic) non lascia spazio ad alcun dubbio, sarà una festa tutta da ballare. Un immenso palcoscenico con tutti i 100Cellos (forse anche di più…) e la partecipazione straordinaria di moltissimi guests: Davide Sciortino, Le donne della Notte della Taranta, Miguel Angel Berna, Manuela Adamo, Moreno il Biondo, Fiorenzo Tassinari, Marco Parisi e Sara Jane Morris. Tutta la serata sarà percorsa da un flusso di suoni che invitano al ballo, nella sua più ampia accezione: dalle quadriglie al soul, dal tango al liscio romagnolo, al pop che piace tanto ai giovanissimi, dalla dance made in Italy ai ritmi della pizzica salentina al folk irlandese passando per il flamenco. Sollima e Melozzi non hanno voluto svelare il programma, ma sbirciando alle prove abbiamo ascoltato di tutto: da Haendel a Boccherini, da Casadei ai Pink Floyd, da Prince ai Nirvana…. Una festosa e fastosa celebrazione del ritmo cui sarà inevitabile abbandonarsi.

Nella corso della serata Cristina Muti consegnerà a Giovanni Sollima e con lui simbolicamente a tutti i 100Cellos, il premio Ravenna Festival 2016 che in passato è stato assegnato, tra gli altri, a Tonino Guerra, Ennio Morricone, Riccardo Muti, Pierre Boulez, Gérard Depardieu e Matthew Bourne.

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Teatro Alighieri: ingresso libero
Piazza del Popolo: ingresso libero
Chiostri Francescani: biglietto 1 euro
Basilica di San Vitale: biglietto 1 euro
Rocca Brancaleone: ingresso (posti in piedi) 20 euro (ridotto 18) / Speciale Giovani: 5 euro per gli under 14; 9 euro per under 18 e universitari

Cellolandia venerdì 17 giugno: Ernst Reijseger, i GrandiCellos, i Giovani Talenti e Mario Brunello
Ore 11 Chiostri Francescani – Ernst Reijseger & i GrandiCellos
Ore 19 Ravenna Basilica di San Vitale – I Giovani Talenti dei 100Cellos sotto la guida di Andres Lopez
Ore 21 Teatro Alighieri – Mario Brunello e il Coro del Friuli Venezia Giulia

Venerdì 17 giugno l’avventura mozzafiato di Cellolandia, che sta affascinando il pubblico del Festival e l’intera città di Ravenna, arriva alla sesta giornata con un triplice appuntamento, sempre salvo sorprese… Si parte al mattino alle 11 ai Chiostri Francescani con il concerto di Ernst Reijseger al fianco dei GrandiCellos, ensemble di violoncellisti dall’età compresa fra i 15 e i 18 anni; alle 19 l’appuntamento quotidiano con i Vespri a San Vitale vedrà protagonisti, sotto la guida di Andres Lopez, i Giovani Talenti – un prezioso sottoinsieme dei 100Cellos la cui età va dai 10 ai 14 anni – che si esibiranno come solisti al fianco di altrettanti professionisti. Il concerto della sera, alle 21 sul palco del Teatro Alighieri, porta con sé un altro grande virtuoso italiano, Mario Brunello nell’insolito ma accattivante abbinamento con il Coro del Friuli Venezia Giulia (diretto Paolo Paroni). La prima parte del programma sarà interamente dedicata a Johann Sebastian Bach, con il mottetto BWV 230 “Lobet den Herrn, alle Heiden (Lodate il Signore, Popoli tutti)” e la Partita N.2 BWV 1004 (per la quale il musicista veneto suonerà un violincello, ossia un violoncello piccolo), con la celeberrima ed ardua “Ciaccona” eseguita nella versione con coro. La seconda parte sarà completamente conquistata dal “Sonnegesang” (Cantico del sole di Francesco d’Assisi) della più importante compositrice russa vivente, Sofija Gubajdulina per violoncello, per coro da camera, percussioni (Gruppo Blow Up composto da Pietro Pompei e Flavio Tanzi) e celesta (Ferdinando Mussutto).

C’è una traccia potentemente religiosa nel programma che Mario Brunello porta a Ravenna Festival, a partire dal Mottetto a quattro voci di Bach, basato sul testo del Salmo 117 (Alleluia. / Celebrate il Signore, perché è buono; / perché eterna è la sua misericordia); per arrivare al “Cantico del sole di Francesco d’Assisi” della compositrice tartara, la cui produzione artistica è appunto caratterizzata dalla dimensione religiosa, accompagnata dalla convinzione circa le proprietà “mistiche” della musica. Mario Brunello, poi, aggiunge a tutto questo il proprio afflato “democratico” e la perenne voglia di sperimentare. Non a caso il programma comprende un brano composto da Bach per il violino, che il maestro veneto esegue (calato di un’ottava) con un “violincello”. Sperimentazione dunque, dal barocco alle partiture contemporanee. E sperimentazione come nella collaborazione con il Coro del Friuli. «So che l’abbinamento suona un po’ strano – commenta Brunello – ma è nelle caratteristiche del violoncello coltivare rapporti diversi. Come dimostra Sofija Gubajdulina e le sue musiche ispirate al Cantico delle creature. E io suonerò il violoncello e il gong!». L’artista di Castelfranco – che suona un violoncello Maggini del 1600 appartenuto a Benedetto Mazzacurati e successivamente a Franco Rossi del Quartetto Italiano – ha raccolto con entusiasmo il progetto di Giovanni Sollima; e non poteva essere altrimenti, visto che nella propria città tiene concerti, corsi e master class al Capannone Antiruggine, un’antica fabbrica dove si lavorava il ferro, sistemata e adibita a sala da concerto. E da anni porta la grande musica classica in vetta alle Dolomiti, per cercare il “vero silenzio”. Mario Brunello ha raccolto la sfida del collega («Con Sollima tutto può succedere») e la commenta così: «Il violoncello è uno strumento che fa combriccola per le sue caratteristiche. Da solo fa un’orchestra sinfonica, perché permette di suonare qualsiasi tessitura. È uno strumento che permette al dilettante di duettare subito con chi magari è un professionista che suona da anni. Qui sta la sua “democrazia”. Poi è una forte cassa di risonanza delle nostre emozioni che ci regala subito soddisfazioni, senza aspettare i risultati di anni di pratica».

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Chiostri Francescani: biglietto 1 euro
Basilica di San Vitale: biglietto 1 euro
Teatro Alighieri: ingresso 20 euro (ridotto 18) / Speciale Giovani: 5 euro per under 14 / 9 euro per under 18 e universitari

Quarant’anni di Butoh: la parabola dei Sankai Juko


Palazzo Mauro de André, martedì 14 giugno ore 21,30

Guardarsi indietro e rileggere quarant’anni di Butoh: è il senso di Utsushi, intensa parabola di Ushio Amagatsu, erede di seconda generazione della “danza delle tenebre” post-Hiroshima creata da Hijikata e Kazuo Ohno, che Ravenna Festival presenta martedì 14 giugno (ore 21.30) al Palazzo Mauro de Andrè. Senza un ordine cronologico, Amagatsu tesse il suo nuovo mosaico con particelle prese dal suo repertorio, spaziando dalla prima creazione per la sua compagnia di soli uomini, Kinkan Shonen, a Toki del 2005. Affresco intenso, dove in poco più di un’ora, Amagatsu dipana le sue trame di Butoh rarefatto e sospeso nel tempo, totalmente emancipato dalla natura furente e iconoclasta che caratterizzò le origini di questo genere ribelle.

Lo spettacolo è presentato al Festival in collaborazione con l’Ambasciata del Giappone in Italia, della Fondazione Italia Giappone e con il sostegno dell’Agenzia per gli Affari Culturali del Governo giapponese.

Utsushi – Tra due specchi racconta la bellezza arcana di un immaginario esportato nel mondo, fatto di crani rasati, movimenti sinuosi, corpi talcati. Una sorta di rituale antico che invita lo sguardo dello spettatore a fondersi con le movenze ipnotiche dei suoi esecutori. Utsushi – come commenta Raimund Hoghe, coreografo e collaboratore di Pina Bausch – “è molto più di un semplice mix. Ushio Amagatsu ha ideato un dialogo mozzafiato tra le bellezza della sua rate e la natura, i suoni naturali e la musica registrata, la danza e il vento, la terra è il cielo, le stelle sopra di noi e il fuoco davanti a noi”.

L’idea principale di Kinkan Shonen è “un sogno sull’origine della vita venuta fuori dal mare”, uno spettacolo sulla “condizione della gioventù”: un ragazzo dalla testa rasata in qualche posto al di là del mare che sogna di essere un pesce, ma anche “una cerimonia per il pubblico…il loro entrare a teatro, sedersi…” Con queste parole, Ushio Amagatsu presentava il suo primo lavoro importante per i Sankai Juku, i quattro danzatori rimasti dalla “scuola della montagna e del mare” (questa la traduzione del loro nome) dei circa 30 giovani che avevano partecipato ai laboratori iniziali nel 1975. Amagatsu – nato a Yokosuka nel 1945 – aveva già alle spalle studi di balletto classico e persino di tecnica Graham quando iniziò i suoi workshop. Era stato inoltre fondatore dei Dai Rakuda-kan nel 1972, ma con i Sankai Juku iniziò un nuovo percorso tutto suo, meno aggressivo e meno grottesco di quello dei fondatori Hijikata e Ohno (del resto anche Ohno stesso, nel tempo, si avvicinò a un’estetica più stilizzata e perfino impressionista). Il successo ottenuto nella tournée europea del 1980 garantì ad Amagatsu una collaborazione stabile col Théatre de la Ville di Parigi e influenzò significativamente il suo stile in sintonia col gusto sofisticato del pubblico francese.

La purezza formale, la concentrazione, il senso levigato delle sue visioni rendono gli spettacoli dei Sankai Juku vicini a un cerimoniale zen, arricchito da musiche originali orientali ed elettroniche. Riprendendo la lezione della modern dance, Amagatsu dialoga con la gravità, in movimenti che cercando di economizzare lo sforzo muscolare nel tentativo di mantenere l’equilibrio. E’ – la sua – una danza che tende all’osmosi fra culture, aspira all’universalità in segni nitidi, levigati, che infatti hanno influenzato molti artisti in ambiti diversi, dalla pittura alla moda. I membri della compagnia vivono tutti in Giappone, dove vengono preparate le nuove creazioni, ma occasionalmente Amagatsu si presta a collaborazioni con altri artisti come la danzatrice indiana Shantala Shivalingappa o la messa in scena del Barbablu di Bartok. Attualmente la compagnia Sankai Juku è una delle compagnie giapponesi che effettua il maggior numero di tournée all’estero (si è esibita in oltre 43 paesi e 700 città), mantenendo lo stretto legame che dal 1982 ha con il Théatre de la Ville di Parigi, dove presenta ogni due anni le sue novità. Nel 1984 i Sankai Juku rappresentarono il Giappone al Festival delle Arti durante le Olimpiadi di Los Angeles, a fianco di Pina Bausch per la Germania e Jean-Claude Gallotta per la Francia.

Come per tutti gli spettacoli al Palazzo de Andrè è attivo il servizio navetta straordinario e gratuito – dedicato al pubblico del Festival – realizzato in collaborazione con Start Romagna e con il contributo di Tecno Allarmi Sistemi, che percorrerà 2 volte la tratta Stazione Ferroviaria – Palazzo M. De André con partenza da Piazza Farini alle ore 20,30 e 20,45.
Al termine del concerto due corse riporteranno gli spettatori al capolinea.

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: da 12 euro (ridotti 10) a 42 euro (ridotti 38)
I giovani al festival’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffe ridotte.

Cellolandia: dal violoncello barocco a quello “a tracolla”


ore 11 Chiostri Francescani – Andres Lopez & Mariagrazia Lioy cello e pianoforte
ore 19 Basilica di San Vitale – Mariano Bulligan violoncello / Hu Bin chitarra
ore 21 Basilica di Sant’Apollinare Nuovo – Giovanni Sollima & l’Arianna Art Ensemble
ore 23 Artificerie Almagià – concerto-/performance di Rushad Eggleston

Lunedì 13 giugno un doppio appuntamento serale – dopo il concerto alle 11 ai Chiostri Francescani (Andres Lopez & Mariagrazia Lioy cello e pianoforte) e alle 19 in San Vitale (Mariano Bulligan violoncello / Hu Bin chitarra) – conclude la seconda giornata di Cellolandia a Ravenna Festival: alle 21 nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo Giovanni Sollima & l’Arianna Art Ensemble, mentre alle 23 l’Almagià ospiterà la performance di Rushad Eggleston. Questo il programma ufficiale ma il clima di festa che contraddistingue il programma di Cellolandia potrebbe riservare ulteriori sorprese musicali nel centro della città…..

“The Missing Link” (ovvero “l’anello mancante”), nella definizione di Giovanni Sollima, è il titolo del concerto in programma alle 21 nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo. Sollima si riferisce a Giovanni Battista Costanzi, detto “Giovannino del Violoncello” o “Giovannino da Roma” appunto «l’anello mancante della storia del violoncello», cui sarà interamente dedicato il concerto con l’Arianna Art Ensemble formato da Andrea Rigano al violoncello; Paolo Rigano all’arciliuto e alla chitarra barocca; Cinzia Guarino al clavicembalo. Costanzi, figura di spicco nell’evoluzione del violoncello, che affrancò da una pratica di fondamento armonico per donargli vera e grande dignità come strumento solista, è un compositore vissuto a Roma nel Settecento (1704-1778). Successore di Arcangelo Corelli come “Capo d’istromenti” per il Cardinale Pietro Ottoboni, grande mecenate artistico; maestro di Luigi Boccherini, nel 1757, Costanzi è violoncellista virtuoso, stimatissimo autore di musica sacra, oratori, opere, cantate; conosce, forse gli è anche amico, Franz Joseph Haydn e alcune sue composizioni vengono addirittura attribuite, all’inizio, al compositore austriaco. I suoi lavori violoncellistici sono intensi, virtuosistici e visionari oltre che, inspiegabilmente, inediti e sconosciuti. Sono, ricorda Sollima, «straordinari per l’evoluzione tecnica e virtuosistica unita a forza lirica, espressiva e addirittura visionaria. Il linguaggio è in bilico tra Tartini e Boccherini passando dalla Scuola Napoletana, alla quale egli fu vicino». Sollima ha tratto ispirazione dalla figura di Costanzi e dal suo stile compositivo, nonché dalla notazione in uso al tempo del musicista, componendo a propria volta il brano “Il Mandatario” che viene presentato in chiusura del concerto. Il brano è ispirato da uno dei ruoli che, come si diceva, Costanzi ricoprì per il Cardinale Ottoboni, ovvero “il mandatario capo d’istrumenti”, colui che andava in giro a raccogliere musici per formare l’orchestra per le grandi occasioni.

La serata, anzi la notte, prosegue a partire dalle 23 alle Artificerie Almagià per ascoltare le fantasiose e trascinanti improvvisazioni del ‘folletto’ californiano Rushad Eggleston, con il suo violoncello a tracolla. Uno dei tratti distintivi di “Cellolandia” è quello di non avere confini musicali di alcun tipo. Programmi classici affiancati alle sperimentazioni più ardite. Il “la” arriva da Rushad Eggleston, eclettico violoncellista che, dopo una formazione tradizionale, si è poi imposto sulla scena musicale come un autentico one-man-show dal violoncello a tracolla e dal caratteristico cappello, forse mutuato dal film “Robin Hood” del 1973 prodotto dalla Disney. Classe 1979, vanta un retroterra di violoncello classico, di chitarra heavy rock e neoclassica, di chitarra acustica bluegrass e di studi di performance al Berklee College of Music, che traduce in un virtuosismo sul violoncello intriso di elementi bachiani e barocchi, elementi di bluegrass progressivo il tutto con una forte componente ritrmica dal ‘drive’ compulsivo. Tutto viene poi presentato attraverso una presenza scenica decisamente esuberante: Rushad indossa abbigliamenti a metà strada tra un giullare, Arlecchino e Peter Pan, spesso fa il proprio ingresso in scena calato dall’alto sul palco, suona il violoncello a tracolla correndo in lungo e in largo, e canta canzoni originali utilizzando a tratti una lingua inventata come una sorta di personale “gramelot”. È al tempo stesso un virtuoso e un uomo di spettacolo, una forza della natura.

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietto Chiostri Francescani: 1 euro
Biglietto San Vitale: 1 euro
Biglietto Sant’Apollinare Nuovo: ingresso 20 euro (ridotto 18) / Speciale Giovani: 5 euro under 14; 9 euro under 18 e universitari
Biglietto Artificerie Almagià: ingresso 5 euro

I ‘capitani’ dei 100Cellos Giovanni Sollima e Enrico Melozzi protagonisti del primo assaggio di Cellolandia


Sabato 11 giugno ai Chiostri Francescani (ore 11) e alla Basilica di San Vitale (ore 19)

Cellolandia, l’invasione dei 100Cellos partirà ufficialmente il 12 giugno, ma Giovanni Sollima e Enrico Melozzi i ‘capitani’ di questo pacifico esercito musicale saranno in avanscoperta già da sabato 11 giugno con un duplice appuntamento: alle 11 del mattino inaugureranno il nuovo programma settimanale dei Chiostri Francescani con le ‘improvvisazioni su temi profani’ che alle 19 per i Vespri a San Vitale diventeranno ‘improvvisazioni su temi sacri’. Ravenna e il suo Festival saranno ‘occupati’ fino al 18 giugno per una lunga festa del violoncello, un omaggio a quello che Sollima ha definito ‘uno strumento da spiaggia’ per la sua innata capacità di fare gruppo.

I 100Cellos si sono riuniti altre volte, in altre città (Torino, Milano, Budapest…), hanno stupito gli 800.000 spettatori del Concerto del primo maggio in Piazza San Giovanni a Roma nel 2014, e più recentemente hanno emozionato il pubblico televisivo di Italian’s Got Talent, ma mai avevano avuto a disposizione una intera città per sette giorni con concerti che arriveranno fino a notte fonda, e talvolta partendo all’alba, in ogni angolo della città. Protagonisti giovani musicisti entusiasti al fianco di alcuni tra i più importanti violoncellisti della scena internazionale, come Mario Brunello, Ernst Reijseger, i Violoncellisti della Scala o l’irresistibile folletto statunitense Rushad Eggleston.

Travolgente, irruenta, contagiosa, l’invasione dei 100Cellos è il punto di arrivo dell’esperienza, unica al mondo, della straordinaria orchestra di 100 violoncellisti che Giovanni Sollima, insieme a Enrico Melozzi, ha creato per la prima volta nel 2012 per un concerto al Teatro Valle di Roma. Da allora questa utopia ha fatto molta strada, ha generato formazioni come quella dei GiovinCellos che esordiranno proprio a Ravenna, sino a far nascere Cellolandia che si apre ufficialmente il 12 giugno – dopo il doppio prologo dell’11 – con il concerto dei Violoncellisti della Scala al Chiostro della Biblioteca Classense.
Da allora, per una settimana, ogni angolo della città sarà invaso da musicisti celebri, come Mario Brunello e e Enrst Reijseger, e da tante differenti rappresentazioni del ‘fare musica’ attraverso il violoncello. ‘Uno strumento che fa subito gruppo – sono sempre parole di Sollima – per la sua grande duttilità, che gli permette di interpretare una gamma vastissima di suoni e di essere sempre lo strumento con il suono più simile alla voce umana’. Una visione democratica e sociale della musica, la sua, che gli fa incontrare e sedurre ascoltatori molti diversi, miscelando il rigore delle partiture colte con l’improvvisazione, la classica con la popular music.

All’appello per la costituzione di questa edizione dei 100Cellos – come ogni volta lanciato su facebook – hanno risposto in tantissimi, superando di gran lunga la disponibilità di posti nell’orchestra. Artisti di tutte le età e di tutte le provenienze che si ritroveranno il 16 giugno, al Teatro Socjale di Piangipane, per un ‘Concerto Fiume’, che vedrà impegnata la vasta formazione in un live mentre il pubblico potrà degustare, rispettando la tradizione del luogo, un piatto di cappelletti.

Poi tantissimi appuntamenti di grande rilievo accomunati dagli infiniti linguaggi del violoncello. Si va dall’Arianna Art Ensemble (il 13 in Sant’Apollinare Nuovo) con Sollima che eseguirà musiche inedite di Giovanni Battista Costanzi, al jazz tinto di world dell’improvvisatore olandese Ernst Reijseger (il 14 al Chiostro della Biblioteca Classense), sino agli allievi dell’Accademia di Santa Cecilia (il 15 nella Chiesa di San Giacomo a Forlì), al live di Sollima con le musiche del disco ‘Onyricon’ (il 16 all’Antico Porto di Classe). E ancora Mario Brunello con il Coro del Friuli Venezia Giulia, impegnato in un repertorio che va da Bach a Sofija Gubajdulina (il 17 al Teatro Alighieri) e il Concorso di composizione con i partecipanti ‘segregati’ per una notte al Teatro Alighieri dove la mattina del 18 saranno eseguite dal vivo tutte le opere realizzate. Non mancheranno nemmeno incursioni ‘terapeutiche’ all’ospedale Santa Maria delle Croci di Ravenna (14 giugno) e al Morgagni-Pierantoni di Forlì (15 giugno).

Il tutto si concluderà, il 18 giugno alla Rocca Brancaleone, con la grande festa finale dall’eloquente titolo: Let’s Dance! Una festa ad alto tasso edonistico, ad iniziare dal titolo, omaggio al David Bowie prodotto da Nile Rodgers degli Chic (Lets’Dance! si intitolava quel disco) che avrà come protagonisti tutti i 100Cellos con la partecipazione straordinaria di Davide Sciortino, Le donne della Notte della Taranta, Miguel Angel Berna, Manuela Adamo, Moreno il Biondo, Fiorenzo Tassinari e Sara Jane Morris. Tutta la serata sarà percorsa da un flusso di suoni che invitano al ballo, nella sua più ampia accezione: dalle quadriglie al soul, dal tango al pop che piace tanto ai giovanissimi, dalla dance made in Italy ai ritmi della pizzica salentina al folk irlandese passando per il flamenco. La Rocca Brancaleone si trasformerà per una sera in una pista da ballo unica e irripetibile – con tanto di luci e sfere luccicanti come in una vera disco – offrendo al pubblico un lungo e appassionante viaggio nella felice fisicità della musica. Una festosa e fastosa celebrazione del ritmo cui sarà inevitabile abbandonarsi.

La prima volta di Iván Fischer al Ravenna Festival


Palazzo Mauro de Andrè, venerdì 10 giugno ore 21

E’ certamente una delle dieci migliori orchestre del mondo, anzi, per il «New York Times» è “forse la migliore”: è la Budapest Festival Orchestra, che venerdì 10 giugno alle 21, ospite di Ravenna Festival, salirà sul palcoscenico del Pala de André diretta da Iván Fischer, il maestro che nel 1983 l’ha fondata. Con un programma che spazia dal composito neoclassicismo di Stravinskij, con le musiche di “Jeu des Cartes”, balletto in tre mani, al colorismo slavo dell’Ottava Sinfonia in sol maggiore op. 88 di Antonín Dvořák, passando per il Secondo Concerto per pianoforte in la maggiore di Franz Liszt, affidato qui a Dénes Várjon, vera e propria star del pianismo ungherese.

Un concerto che prelude alle atmosfere danubiane che segneranno la Trilogia d’autunno dedicata all’operetta, e che vuole essere un omaggio al dinamismo culturale e musicale della capitale ungherese. Ove appunto ha preso vita questo complesso orchestrale, dapprima legato al festival che anima le sponde del Danubio, poi dal 1992 divenuto l’orchestra stabile di Budapest, impegnata in concerti internazionali ed insignita di premi importanti (tra l’altro due Gramophone e una nomination ai Grammy), ma al tempo stesso protagonista di innumerevoli esibizioni in patria, anche con progetti a sfondo educativo e sociale.

Il concerto è reso possibile grazie al contributo di BCC Credito Ravennate e Imolese e Confartigianto della Provincia Ravenna.

Iván Fischer, che vanta una consuetudine con le orchestre più blasonate, dalla Filarmonica di Berlino alla New York Philharmonic, dall’orchestra del Royal Concertgebouw di Amsterdam alla Cleveland Orchestra, sul podio dell’orchestra che ha fondato per il pubblico del Festival ha scelto un programma particolarmente accattivante. Che si apre con la musica del balletto “Jeu de Cartes” di Stravinskij. Composta nel 1936 per le coreografie di Balanchine si è presto imposta nelle sale da concerto: un caleidoscopico gioco di rimandi e citazioni tematico-stilistiche che alludono a Ravel, Delibes, Johann Strauss, Beethoven, e soprattutto a Rossini di cui cita alla lettera la Sinfonia dal Barbiere di Siviglia, il cui divertimento consiste proprio nel creare un puzzle dove il bello, come in tutto il Neoclassicismo stravinskijano sta nello smontare e rimontare con magistrale sapienza costruttiva le tessere.

Con l’entrata in scena poi del pianista Dénes Várjon, si passerà al Secondo Concerto per pianoforte di Liszt, una composizione a cui, insieme al Primo Concerto, lavorò per molti anni, dall’inizio degli anni Trenta fino a 1857 quando per la prima volta lo presentò in pubblico. E dove rinuncia al virtuosismo “trascendentale” per concentrarsi sulle architetture, in particolari su quel principio della “forma ciclico” che tanto gli era cara, e che qui si esprime attraverso tre principali nuclei tematici, in quello che pur nell’avvicendarsi di vere e proprie sezioni, si dipana come un unico grande affresco, senza soluzione di continuità.

Infine, le sonorità slave – quasi una “lingua madre” per la BFO – dell’Ottava Sinfonia di Antonín Dvořák, che la completò alla fine del 1890 e che sempre rimase legato a quella che aveva scritto con l’intenzione di comporre “un’opera diversa da tutte le altre Sinfonie, con idee personali e lavorate in modo nuovo”, quindi cercando di allentare le strutture tradizionali muovendosi verso una dimensione di maggiore libertà, insomma verso il sinfonismo rapsodico professato da Liszt e Wagner. Non approderà al poema sinfonico, ma in questa partitura riversa una luce, una freschezza melodica e una serenità che conquistano il pubblico al primo ascolto.

Come per tutti gli spettacoli al Palazzo de Andrè è attivo il servizio navetta straordinario e gratuito – dedicato al pubblico del Festival – che percorrerà 2 volte la tratta Stazione Ferroviaria – Palazzo M. De André con partenza da Piazza Farini alle ore 20,15 e 20,30. Al termine del concerto due corse riporteranno gli spettatori al capolinea.

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: da 15 euro (ridotti 12) a 93 euro (ridotti 85)
‘I giovani al festival’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffe ridotte.

TRILOGIA PER MANDELA: CUORE D’AFRICA


Teatro Alighieri, dal 9 al 12 giugno ore 20,30

Arriva da Cape Town in prima italiana per Ravenna Festival (dal 9 al 12 giugno ore 20.30 al Teatro Alighieri) l’omaggio all’uomo-icona d’Africa, l’immenso Nelson Mandela e la sua parabola di pace che seppe sconfiggere l’apartheid. Mandela Trilogy ne celebra la vita tra canti, danze e musiche, ripercorrendo in tre atti la giovinezza in un piccolo villaggio africano fra riti tribali e cori in lingua Xhosa, quella delle sue origini; l’età adulta – spigliata e in odor di ribellione a Sophiatown, l’Harlem sudafricana -, e la fiera maturità durante la quale Mandela affronta lunghi anni di carcere, senza cedere a compromessi, fino all’elezione come primo presidente dopo l’apartheid.

Tre anche gli interpreti della Trilogy su libretto e regia di Michael Williams per la Cape Town Opera e musiche a quattro mani di Péter Louis van Dijk (primo e terzo atto) e Mike Campbell (secondo atto). Un progetto imponente che si ricollega alla gloriosa tradizione sudafricana del musical, intrecciando jazz, classica e musica popolare dipanate nell’arco di due ore variegate, con grande uso di percussioni ma anche recitativi, cori (protagonista il Cape Town Opera Voice of the Nation choir) e danze africane colorate e arcaiche con le coreografie di Sibonakaliso Ndaba. Sul podio si alternano le due bacchette di Tim Murray (9 e 12 giugno) e Alexander Fokkens (10 e 11) a dirigere l’Orchestra Giovanile Cherubini, a sottolineare l’abbraccio con il quale Ravenna accoglie il tributo a Mandela, scelto come segno principale del Festival diretto da Cristina Mazzavillani Muti, da sempre attenta a centrare temi in linea con la sensibilità contemporanea. “Ho camminato sulla lunga strada per la libertà”, celebre frase del leader sudafricano, simbolo della lotta contro la discriminazione razziale e premio Nobel per la pace nel 1993 è infatti il motto scelto di questa XXVII edizione, declinata in ben trenta luoghi di spettacolo, 180 alzate di sipario e oltre 1200 artisti coinvolti.

La produzione di Cape Town Opera arriva al Festival grazie alla collaborazione con l’Ambasciata del Sudafrica in Italia e con il determinante contributo di CMC, Federazione delle Cooperative della Provincia di Ravenna, Legacoop Romagna e Itway.

Dopo una prima versione in forma di spettacolo di canzoni nel 2010, chiamato African Songbook, l’attuale e complessa forma di Mandela Trilogy debutta il 18 giugno 2012, celebrando il 94 compleanno del presidente più famoso del Sudafrica. “Credo che ogni opera sia basata sul concetto di libertà – ha detto Michael Williams, autore e regista della Trilogia – e questa è una storia vera sulla libertà”. La storia a teatro di Mandela e della sua lunga marcia verso la libertà comincia da un prologo con un flashback, ambientato nella cella da cui Nelson è appena uscito. Siamo nel 1976 e su di lui pende una condanna all’ergastolo, accusato di alto tradimento, per le battaglie contro l’apartheid e l’incitazione alla lotta armata. Gli viene proposto una libertà condizionata: entrare in uno dei ghetti creati per i neri dal governo sudafricano. Madiba rifiuta e si prepara alla resistenza quieta. Saranno quasi trenta gli anni passati in prigione, prima di risorgere e diventare primo presidente nero del suo Paese.

Nel primo atto si torna alle origini, al villaggio africano, Mvezo, dove l’eroe è nato e prende coscienza delle sue radici. “Mi affascinava – continua Williams – la prima parte della vita di Mandela, peraltro non molto conosciuta, all’interno di un villaggio tribale. La circoncisione, l’iniziazione, la moglie assegnatagli secondo la tradizione”. La storia, insomma, di un giovane che al tempo stesso è consapevole delle sue radici ma sa che il suo destino non resterà confinato.
Nel secondo atto, ecco dunque un cambio drastico di colori e atmosfere nel clima ribelle e spettinato dei cinema e dei jazz club di Sophiatown, le canzoni di Miriam Makeba, la musica di Hugh Masakela. “È il jive, l’influenza americana del jazz e del blues che approdano in città”. Il tempo da “santo e peccatore”, come si definì lo stesso Mandela, che in impeccabile gessato si getta fra le danze e le braccia della fascinosa soubrette Dolly Rathebe sotto i riflettori del Jig Club. E’ il tempo, anche, della rivolta. La protesta fiera e serrata che lo porterà in tre diverse carceri: Robben Island, Pollsoor, Victor Verster. Senza mai cedere. Perseguendo con magnifica ostinazione il suo ideale di una libertà senza confini.

Un focus sul Sudafrica prosegue inoltre all’interno del Ravenna Festival la riflessione sul mito di Mandela e sulla sua terra. Dopo le voci del gruppo Ladysmith Black Mambazo che lo scorso maggio ne sono state un preludio, arriva il 20 giugno il progetto For Mandela con la MinAfrica Orchestra, formata da jazzisti italiani e sudafricani, dove figura lo storico batterista Louis Moholo-Moholo, impegnato il giorno dopo in un concerto col suo gruppo arricchito da preziosi guests come Keith & Julie Tippett. Infine, il 23 si esibirà il filicornista e vocalist Hugh Masekela, che fu compagno d’arte e di vita di Miriam Makeba.

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: da 15 a 54 euro.
Speciale giovani: under 14 euro 5 / under 18 e universitari 50% tariffe ridotte.

Giovedì 9, venerdì 10, sabato 11, domenica 12 giugno | Teatro Alighieri (ore 20.30)
Cape Town Opera
Mandela Trilogy
A musical tribute to the life of Nelson Mandela

musica di Péter Louis van Dijk e Mike Campbell (Atto II)
regia e libretto Michael Williams
direttori Tim Murray (9, 12), Alexander Fokkens (10, 11)
scenografie e costumi Michael Mitchell

Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Cape Town Opera Voice of the Nation Choir
direttore del coro Marvin Kernelle

NOTE DEI COMPOSITORI

Comporre la musica della Mandela Trilogy ha segnato una tappa fondamentale nella mia carriera creativa. A quarant’anni dalla mia prima opera, composta quando ancora ero studente, ero emozionato come non mai dalla possibilità di mettere in scena un’opera il cui eroe fosse Mandela, che è subito diventato anche il mio eroe. Ho rivissuto i suoi punti di forza e le sue debolezze, le sue gioie e la sua disperazione di uomo, marito e padre. Componendo l’aria del carcere ho pianto per l’ingiustizia, per la ridicola, iniqua e lunghissima incarcerazione, per la sua dignità di uomo. Ho provato un gran rispetto e ammirazione per la sua auto-disciplina e caparbietà nel perseguire un unico scopo, e per la sua capacità di perdonare coloro che lo avevano perseguitato fino alla liberazione. Mentre Atto III e Prologo sono più apertamente drammatici, l’Atto I è pieno di esuberanza giovanile, con il rito di passaggio nella scena dell’Iniziazione, (“I am a man… I know the pain of the blade of the assegai”). Nell’opera trovano posto i canti di iniziazione della tradizione Xhosa, i tamburi, i balli, la lotta con i bastoni, i sogni e le delusioni di Madiba da “My journey has begun…” fino al climax di questa commovente storia, con la scarcerazione, il discorso nella piazza del municipio nel Finale (“Time has come…”) e l’ispirata profezia per la nazione e per il mondo: “We are one!”

Péter Louis van Dijk
Compositore di Prologo, Atto I, Interludio e Atto III

Scrivere l’Atto II della Mandela Trilogy è stata un’esperienza interessante che mi ha permesso di combinare gli arrangiamenti e adattamenti di alcuni brani iconici della storia del Sudafrica con le mie composizioni, dando a questa parte della narrazione una musicalità in linea con quel periodo storico e quella cultura popolare.
Ci sono nell’Atto II stili diversi, tesi a mettere in risalto le qualità distintive degli interpreti principali. Sentivo che, dovendo rivolgermi a un pubblico cosmopolita, potevo fare qualche concessione alla precisione storico-teorica in favore di sonorità più contemporanee che avrebbero coinvolto i diversi elementi della compagnia, i solisti e l’orchestra. La Mandela Trilogy fa sfoggio di una varietà di sonorità, aspetti visivi, sapori e sensazioni distribuiti nei tre atti, per cui questo approccio mi è parso il più opportuno, e ritengo che funzioni bene. Il jazz, la musica indigena e anche un po’ di Broadway e danza sono quindi confluiti nella partitura che ho scritto per l’Atto II: tutti questi elementi sono entrati nel “melting pot” della musica sudafricana, quella che lo stesso Mandela e i suoi contemporanei avrebbero apprezzato nel periodo di Sophiatown e dopo.
Ma, nonostante il tono scanzonato di gran parte dell’Atto II, c’è voluta molta serietà per riuscire a comporre su questo tema. Sono onorato di aver preso parte a questa produzione, che ha continuato a crescere nel tempo in modo creativo.

Mike Campbell
Compositore dell’Atto II

Gruppo nanou in Xebeche, l’eco del sogno


Artificerie Almagià, mercoledì 8 giugno ore 21.30 (repliche 9 e 10 giugno)

Mercoledì 8 giugno alle 21.30 (repliche 9 e 10 ) alle Artificerie Almagià va in scena in prima assoluta “Xebeche” terzo passo, firmato da Marco Valerio Amico e Rhuena Bracci, del nuovo progetto coreografico “J.D.” di gruppo nanou che trova ispirazione nella vertigine del bianco e nero del film “Dead Man” di Jim Jarmusch e scava nel tema della perdita di identità.

Il titolo deriva dal nome di uno fra i protagonisti del film “Dead Man” (1995) di Jarmusch, appunto Xebeche: «Colui che parla ad alta voce senza dire nulla», un indiano esiliato dalla propria tribù dopo esser stato deportato in Europa, che preferisce essere chiamato Nessuno. La struttura sperimentale e soprattutto onirica del film, che parte dall’omonimia del personaggio centrale, William Blake, con il poeta inglese, sono il cuore di “Xebeche”. Per la prima volta, Nanou si confronta con la struttura coreografica dell’ottetto, attraverso il procedimento rigoroso di una strategia creativa, giocata sulla formalizzazione della figura e del recinto che la perimetra. «È un lavoro sugli echi, sulle assonanze. Isolando la figura, la situazione, annullando la narrazione, si creano scene di avvicendamento onirico. Più ancora che nei lavori precedenti – sottolineano Marco Valerio Amico e Rhuena Bracci che firmano il lavoro – si gioca a isolare i corpi nel tempo e nello spazio. Continua la tendenza a creare ambienti attraverso luci e scenografie, in questo caso separando con cesure ancora più nette ogni possibile collegamento: cerchiamo di afferrare la pittoricità dell’azione, quadri in movimento che si incalzano in continuazione in più ambienti netti e definiti».

In scena Carolina Amoretti, Sissj Bassani, Marta Bellu, Rhuena Bracci, Enrica Linlaud, Marco Maretti, Rachele Montis, Davide Tagliavini. Il suono è curato da Roberto Rettura – terzo fondatore, con Amico e Bracci, di gruppo nanou – mentre il light design è di Fabio Sajiz.
Lo spettacolo è una coproduzione E / gruppo nanou – Ravenna Festival con il sostegno di L’Arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, Cantieri, Centrale Fies, Olinda – Ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini e Santarcangelo dei Teatri.

Gruppo nanou si è da subito identificato come linguaggio cinematografico dal vivo. Il corpo, la luce, il suono, la scena sono elementi della composizione coreografica che escono dalle gerarchie per creare un progetto visivo comune. Come nel cinema, le figure del regista, del direttore della fotografia, del montatore, del sound designer possono divenire comprimari. «Nella nostra idea compositiva coreografica – precisano gli stessi fondatori di nanou Amico e Bracci fondatori – il suono si fa corpo, la luce si fa tempo e il corpo si fa traccia di un percorso». Il lavoro di gruppo sta alla base del nome e così come dalla fondazione hanno scelto un nome femminile per indicare la compresenza di autorialità che determinassero una terza persona, così hanno scelto di non perdere la desinenza “gruppo” per rafforzare una spersonalizzazione che diviene forza e molteplicità di linguaggi.

Giovedì 9 giugno, alle 16.30, sempre all’Almagià, un doppio incontro (ingresso libero) a completamento del progetto che consentirà, grazie a due delle massime specialiste del settore, di dare uno sguardo speciale sulla prolifica scena contemporanea di teatro e danza in Italia a partire dagli anni ’70 e che vede la cosiddetta ‘Romagna Felix’ protagonista. Valentina Valentini presenterà il proprio libro “Nuovo teatro made in Italy (1963-2013)”, recentemente edito da Bulzoni. Insieme a lei Marinella Guatterini parlerà della preziosa collana di libretti pubblicati nell’ambito del Progetto Ric.Ci (Reconstruction Italian Contemporary Choreography), sulla memoria storica della coreografia italiana, ed i cui spettacoli sono stati tutti ospitati nelle ultime edizioni di Ravenna Festival.

Info e prevendite: 0544 249244 – ravennafestival.org
Biglietti: ingresso 12 euro (ridotto 10).
Speciale giovani: under 18 e studenti universitari 5 euro

Il gruppo nanou nasce a Ravenna nel 2004, dall’incontro artistico di Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci e Roberto Rettura.
La comune frequentazione della scena performativa italiana favorisce l’incontro di Marco Valerio, che si diploma alla Paolo Grassi di Milano, con Rhuena, ginnasta e danzatrice già collaboratrice delle Compagnie Bassini-Bruni e Monica Francia, e infine con Roberto Rettura, fonico e musicista attivo nella scena indipendente bolognese. Il loro primo lavoro Namoro, 2005, parabola coreografica sull’incontro di due esseri umani e la costruzione dei primi scambi amorosi. Vincitore del premio GD’A – Giovani Danz’Autori e inserito in una programmazione nazionale. È poi la volta di desert-inn [il quarto uomo] (2006, ripreso nel 2008), una sorta di viaggio nel subcosciente a partire da un romanzo noir di James Ellroy, che mescola atmosfere astratte a particolari estremamente quotidiani e riconoscibili. Erotismo e bestialità sono i temi di Sulla conoscenza irrazionale dell’oggetto [tracce verso il nulla] (2008). Tra il 2008 e il 2011 viene prodotto il progetto Motel, trilogia composta da Prima Stanza, Seconda Stanza e Anticamera che costruisce un viaggio in una dimensione spazio-temporale quasi ciclica. Sport (2011) è un solo che ragiona sulla fragilità trapiantando alcuni esercizi ginnici in un ambiente buio, attraversato da fasci di luce e da un soundscape che riproduce, insieme, la dimensione interna e quella pubblica di un atleta nel suo esercizio. Gli ultimi tre lavori sono progetti composti da più step: Dancing Hall (2012/2013), Strettamente Confidenziale (2013/2015) e J.D., ancora in corso, incentrato sulla perdita dell’identità e diviso nei passi dal titolo John Doe, Baby Doe , Xebeche e Jane Doe.

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STAGIONE DI PROSA 2014  15

“Non ti pago” di Eduardo per ricordare Luca De Filippo

Dopo la prematura scomparsa di Luca De Filippo, che avrebbe dovuto aprire la stagione di Prosa di Ravenna a novembre, la sua compagnia ha deciso di proseguire il lavoro del grande attore napoletano, figlio di Eduardo, portando in scena quella che è stata la sua ultima regia.

Non ti pago sarà in scena al Teatro Alighieri da giovedì 19 maggio a domenica 22 maggio alle 21.

Scritto da Eduardo nel 1940 con l’autore nella parte di Ferdinando Quagliuolo e il fratello Peppino in quella dell’antagonista Mario Bertolini. La commedia è forse una delle più brillanti del repertorio di Eduardo tanto che lo stesso drammaturgo la definì “una commedia molto comica che secondo me è la più tragica che io abbia mai scritto”.

Nello spettacolo Ferdinando Quagliuolo è un personaggio particolare che vive tra il sogno e la realtà. Gestisce un botteghino del lotto a Napoli ed è un accanito giocatore ma molto sfortunato, al contrario del suo impiegato Mario Bertolini, futuro genero, che interpretando i sogni vince molto spesso al lotto.

La commedia racconta della ricca quaterna di quattro milioni delle vecchie lire che è stata “data” in sogno a Mario dal defunto padre di Ferdinando, suo datore di lavoro. Accecato dall’invidia Don Ferdinando non vuole pagare la vincita sostenendo che lo spirito del suo padre ha commesso un errore recandosi nella vecchia abitazione della famiglia Quagliuolo, dove ora risiede il giovane commesso e pertanto ha scambiato persona. Tra sogni, vincite al lotto, superstizioni e credenze popolari Eduardo effettivamente scrisse una grande e drammaticamente divertente commedia, sapientemente portata in scena dal figlio Luca.

Sabato 21 maggio alle 17 alla sala Corelli del teatro Alighieri si terrà l’incontro con la compagnia sulle figure di Eduardo e Luca De Filippo. L’appuntamento è inserito nel programma di ScrittuRa festival.

INFO

Biglietteria

Teatro Alighieri, via Mariani 2 Ravenna, tel. 0544 249244 aperta tutti i feriali dalle 10 alle 13, giovedì dalle 16 alle 18 e da un’ora prima di ogni spettacolo.

Paolini e Vacis alla Prosa con “Amleto a Gerusalemme”

Amleto a Gerusalemme. Palestinian Kids Want To See The Sea con Marco Paolini e la regia di Gabriele Vacis sarà al teatro Alighieri per la Stagione di Prosa dal 10 al 13 maggio alle 21.
Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, è interpretato da Marco Paolini e da un gruppo di giovani attori palestinesi e italiani: Alaa Abu Gharbieh, Ivan Azazian, Mohammad Basha, Giuseppe Fabris, Nidal Jouba, Anwar Odeh, Bahaa Sous, Matteo Volpengo. Amleto a Gerusalemme riunisce due grandi protagonisti del teatro italiano, Gabriele Vacis e Marco Paolini, artefici della lunga e felice stagione del teatro di narrazione; lo spettacolo è un loro progetto che ha radici molto lontane, così come la loro amicizia e collaborazione artistica. Un’idea che nasce nel 2008 a Gerusalemme, al Palestinian National Theatre di Gerusalemme Est, sotto l’egida del Ministero degli Affari Esteri Italiano e della Cooperazione per lo Sviluppo: una scuola di recitazione per ragazzi palestinesi, la cui voglia di lavorare in teatro è più forte dei pregiudizi sociali. L’anno successivo il laboratorio prosegue in Italia, dove i ragazzi lavorano anche con Laura Curino, Emma Dante, Valerio Binasco, Alessandro Baricco e Roberto Tarasco. La scuola TAM (Theatre and Multimedia Arts) ha presentato esiti del proprio lavoro alla Biennale di Venezia, al Teatro Valle di Roma e alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano. Nucleo fondamentale della didattica che Vacis mette in opera è la schiera, un processo che unisce movimento e attenzione che da tempo è alla base dei lavori del regista: «Schiera – spiega Vacis – è l’esercizio che sto elaborando da molti anni. Insegna a vedere quello che si guarda e ad ascoltare quello che si sente. Saper vedere, sapere ascoltare, è necessario per un attore che voglia essere autore della propria presenza in scena». E la chiave per poter ascoltare e realizzare un percorso teatrale è partire dall’Amleto di Shakespeare, dalla consapevolezza che in esso si scorgono tutte le sfaccettature della vita, complicate dalle esperienze di chi vive in Palestina: i riti di passaggio, il rapporto uomo/donna, il conflitto con la famiglia, le generazioni a confronto, la rabbia, la pazzia, l’amore».
Venerdì 13 maggio alle 17.30 alla sala Corelli del teatro Alighieri si svolgerà l’incontro con la compagnia assieme a Gerardo Guccini, docente del DAMS di Bologna, e Franco Nasi, docente del Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali dell’Università di Modena e Reggio-Emilia.

UTO UGHI COI FILARMONICI DI ROMA CHIUDE “RAVENNA MUSICA”

L’Associazione Angelo Mariani chiude la stagione Ravenna Musica 2016 portando sulla scena del Teatro Alighieri una celebrità, il violinista Uto Ughi che giovedì 28 aprile 2016 si esibirà insieme all’orchestra con cui collabora da più di quaranta anni, I Filarmonici di Roma.

Uto Ughi, erede della tradizione che ha visto nascere e fiorire in Italia le prime grandi scuole violinistiche, non solo è uno dei più grandi virtuosi del violino dei nostri tempi, ex enfant prodige, ma anche una delle figure più popolari della scena musicale degli ultimi cinque decenni.

Nella sua lunga carriera si è dedicato non solo all’attività concertistica suonando in tutto il mondo, insieme alle più importanti orchestre sinfoniche come la Boston e la Philadelphia Orchestra o la New York Philharmonic, e sotto la bacchetta di maestri del calibro di Celibidache, Giulini, Mazel, Mehta, ma anche alla diffusione della cultura musicale, con un impegno fattivo teso in particolare ad avvicinare i giovani alla musica, mediante l’ideazione di festival ad hoc come “Uto Ughi per Roma”, la promozione di concerti aperti gratuitamente al pubblico e la partecipazione a programmi radio televisivi.

Una vita interamente dedita alla musica, come racconta nel suo libro “Quel Diavolo di un Trillo-note della mia vita”, pubblicato nel 2013, che costituisce uno degli eventi più recenti, cui ha fatto seguito nel 2014 la partecipazione al progetto europeo “all’insegna di ciò che può unire e non dividere”, per il quale ha suonato al Teatro Bolshoi di Mosca, per l’apertura del semestre italiano in Europa.

La serata all’Alighieri, che si realizza con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, vedrà Ughi impegnato in una serie di composizioni che faranno risaltare le sue rinomate doti di virtuoso.

Dopo la Sonata terza in do maggiore dalle Sei sonate a quattro di Rossini con cui I Filarmonici di Roma apriranno il concerto, il solista insieme alla compagine romana eseguirà la mirabile Ciaccona in sol minore di Tomaso Antonio Vitali e il celebre Concerto in la maggiore n.3 K 216 di Mozart. Nella seconda parte, un altro capolavoro del repertorio violinistico, il Concerto in re minore op. 3 n. 4 per violino e orchestra di Paganini.

Inizio concerto ore 20.30.

Cenerentola, una stella danzante tra sogno e realtà


Sabato 16 e domenica 17 aprile il Malandain Ballet Biarritz chiude la Stagione di Danza dell’Alighieri

L’ultimo appuntamento della Stagione di Danza del Teatro Alighieri avrà come protagonista la compagnia francese del Malandain Ballet Biarritz che, sabato 16 aprile (20,30) e domenica 17 (15,30), porterà in scena la sua famosa “Cenerentola” coreografata dal suo fondatore-direttore Thierry Malandain. Noto per le sue riletture dei classici del balletto (Romeo e Giulietta, Carmen, Le spectre de la rose, ecc.) e per la sua preferenza per le partiture musicali maestose, con più di ottanta opere al suo attivo il celebre danzatore e coreografo francese propone una visione molto personale della danza, energica ma sobria, stilisticamente perfetta e profondamente legata al concetto di balletto come movimento estetico, parte del suo DNA, ma che evolve e si trasforma in un’arte dinamica e moderna.

Con Cenerentola, Malandain crea un’opera nuova e accattivante, che resta fedele alla versione originale di Charles Perrault e allo spartito di Sergej Prokof’ev, ma che offre al contempo un approccio originale al tema del riscatto della ragazza sfortunata e sola, immaginando la protagonista come un’étoile della danza che si realizza e trova l’amore dopo un lungo e intricato percorso, fatto di paure, dubbi, emarginazione e sofferenza. Il tutto raccontato attraverso la magia della musica e della fiaba, ma anche attraverso la commistione di elementi tragici con elementi comici e divertenti a controbilanciare i momenti più onirici e drammatici.
La scenografia essenziale e sobria di Jorge Gallardo – che cura anche i costumi (realizzati da Véronique Murat) – esalta la fisicità dei danzatori su un palcoscenico animato da poco altro, ad eccezione delle scarpette di vernice nere sul fondale, di grande effetto scenico, dalla ruota che diventa carrozza per portare la protagonista al ballo e dal disegno luci di Jean-Claude Asquié.
“Lo spettacolo – sottolinea il coreografo – è stato concepito senza cambi di scene, senza artifici, ma con il piacere trasmesso dall’umanità e dalla magia del racconto, dalla sontuosità della musica, ma anche dalle risate delle scene burlesche che controbilanciano gli episodi onirici o di sventure. Insomma abbiamo fatto del nostro meglio per disperdere le nuvole e generare una stella danzante”. Considerato da alcuni coreografo di danza classica, da altri di contemporanea e da altri ancora di stile neoclassico, Malandain si dimostra semplicemente un coreografo versatile, che propone un tipo di danza in cui crede e in cui si riconosce, che comunica e si fa comprendere in maniera semplice ma incisiva dal suo pubblico, come accade appunto per questa originale, appassionante e insolita Cenerentola che avrà comunque un principe Daniel Vizcayo e una bellissima protagonista, Miyuki Kanei.

Info e prevendite 0544 249244 – teatroalighieri.org
Biglietti: da 8 a 28 euro
Speciale giovani: 5 euro per gli under 14 accompagnati da un adulto;
Sconto 50 % sulle tariffe ridotte per i ragazzi dai 14 ai 18 anni e studenti universitari

Domenica 17 aprile, dalle 9 alle 11 sul palcoscenico dell’Alighieri, la master class di Giuseppe Chiavaro si rinnova l’appuntamento con “Seminaria”. Storico interprete della compagnia, Chiavaro si è formato al Centro di Danza Internazionale di Cannes diretto da Rosella Hightower e alla Scuola di Danza dell’Opéra di Parigi. Dopo aver ricevuto il prestigioso Premio Serge Lifar inizia la carriera nel 1992 col Sinopia Ensemble de Danse (Svizzera) di Etienne Frey e dal 1994 è interprete per Thierry Malandain, prima con la compagnia Temps Présent e poi al Centro Coreografico Nazionale di Biarritz dove dal 2012 è insegnante ospite.

L’iscrizione alla masterclass ha un costo di 12 euro, ma è possibile partecipare come uditore (iscrizione 5 euro).
Info e iscrizioni: Maria Rosaria Valente promozione@ravennafestival.org – tel. 0544 249257 – 342 1002345

Edipo re di Archivio Zeta a Scena Contemporanea

Sabato 9 aprile alle 21 Scena Contemporanea ospita al teatro Rasi Edipo re della compagnia emiliana Archivio Zeta, che al termine di 15 anni di volontario esilio artistico e spettacoli monumentali al Cimitero Militare Germanico del Passo della Futa torna a calcare i palcoscenici dei teatri con Edipo re: un grande classico riallestito lo scorso anno nella prestigiosa Aula Magna Santa Lucia di Bologna per circa duemila spettatori.

Archivio Zeta, formata da Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti, gruppo vincitore nel 2014 del Premio Rete Critica come miglior progetto organizzativo, propone una versione di Edipo Re che cammina sul filo dei contrasti, degli interrogatori e delle indagini alla ricerca ossessiva del colpevole. In scena due figure istruiscono il procedimento ineluttabile che porta alla conoscenza e quindi al dolore.

Nell’allestimento di questa tragedia per eccellenza, Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti hanno unito un’attenta ricerca filologica con la contemporaneità della nuova e ancora mai rappresentata traduzione di Federico Condello, filologo dell’Università di Bologna. «È questa, in filigrana, la storia di un progetto politico culturale – afferma lo stesso Federico Condello – che tentò di far convivere familismo aristocratico e democrazia? Religione tradizionale e nuove, rivoluzionarie forme di razionalità, dalla scienza medica alla cosiddetta “sofistica”? Riconoscimento della tyche – del “caso” – come ineliminabile fattore storico, e controllo razionale degli eventi? Per noi, oggi, dopo secoli di riscritture e riletture, l’Edipo re è vicenda più individuale che politica: è – complice Freud – una storia da teatro interiore, che narra del nostro più profondo “essere (o divenire) uomini”, della nostra incapacità di conoscere, della nostra sottomissione alla Tyche. Ma questa storia – è bene non dimenticarlo – narra anche di politica, di comunità, di tyrannis e di demokratia: e forse, nel finale e solitario homo sum di Edipo, della politica esprime la più tragica nostalgia». «Sprofondiamo insieme a questi personaggi nel dolore dell’abbandono, della solitudine e dell’omicidio, nella paura di non essere ciò che abbiamo sempre pensato di essere e nell’orrore dell’agnizione della realtà, per poi scoprire, all’ultimo, che è proprio la pietà ad aver condannato Edipo a soffrire ciò che sta soffrendo. La compassione del Pastore che lo ha salvato è la causa del suo male, l’ultimo frammento mancante. Non c’è più speranza, il mosaico è completo», dicono i registi-attori.
Ruolo primario in questa versione di Edipo Re hanno la musica e i suoni di Patrizio Barontini, pensati come espansione della parola, delle sue forme timbriche e della sua articolazione ritmica. I legami che si creano così fra suoni e parole danno vita a nuovi spazi comuni, condivisi, nei quali entrambi i piani si arricchiscono di senso. La condivisione si attua sul piano dei contenuti e si proietta anche nello spazio acustico reale grazie alla diffusione multicanale del suono e della voce. In un cromosoma di luce, Antonio Rinaldi ha disegnato invece uno spazio sospeso indefinito o iperdefinito, un passaggio dalla visibile oscurità alla luce accecante, dall’ignoranza verso il sapere, per ambientarvi la storia di un bambino preso nella trappola genetica e abbandonato al suo destino.

A seguire si svolgerà l’incontro con Federico Condello, il critico teatrale Massimo Marino e gli Archivio Zeta.

Macbeth chiude la stagione d’opera dell’Alighieri all’insegna di Verdi

All’insegna di Giuseppe Verdi la chiusura della stagione lirica del Teatro Alighieri – venerdì 8 aprile ore 20.30 (replica in pomeridiana domenica alle 15.30) – con la ripresa del Macbeth prodotto da Ravenna Festival per la Trilogia Verdi-Shakespeare del 2013 per la regia di Cristina Muti, dove convivono la magia delle proiezioni e l’affascinante contrasto tra luce e oscurità giocato sul filo dell’invenzione e della creatività, ispirata ai lavori grafici di Alberto Martini.

L’affiatato team creativo che affianca Cristina Muti è formato da Vincent Longuemare (light design), Davide Broccoli (visual design), Ezio Antonelli (scene) e Alessandro Lai (costumi). In buca l’Orchestra Cherubini protagonista di tutti i titoli della stagione e in questa occasione diretta da Nicola Paszkowski, mentre il Coro del Teatro Municipale di Piacenza è preparato da Corrado Casati. I ruoli principali sono interpretati da: Matias Tosi Macbeth, Vittoria Ji Won Yeo Lady Macbeth, mentre Daniel Giulianini e Alessandro Scotto di Luzio daranno voce rispettivamente a Banco e Macduff. Completano il cast Antonella Carpenito (Dama di Lady Macbeth), Giovanni Sebastiano Sala (Malcolm) e Daniele Macciantelli (Medico).

Composto nel 1847 su libretto di Francesco Maria Piave e rivisto per le scene francesi nel 1865 (è quest’ultima la versione in scena, senza i ballabili) Macbeth rappresenta per Verdi un fondamentale banco di prova per il ripensamento delle tradizionali forme musicali (come testimoniano pagine quali la Gran scena e Duetto di Macbeth e della Lady nel primo atto oppure la grandiosa Scena del sonnambulismo di lei nel quarto), e al tempo stesso un soggetto che gli permette di indagare una tra le tematiche a lui più care: il potere e le conseguenze del suo abuso.

«Macbeth – come sottolinea Cristina Muti – è un valoroso che ancora non conosce se stesso: credeva di essere forte, ma al primo inciampo si ritrova debole come un bambino. Lady Macbeth a sua volta crede di essere capace di reggere le fila dell’intrigo e, insieme, di supplire alla debolezza del re, che spinge fino all’assassinio: ma anch’ella si era illusa sulle proprie forze, e la sua pazzia non è che l’esito inevitabile di questo suo errore. In un certo senso sono intercambiabili: lei è innamorata del potere, lui è innamorato di lei e, attraverso lei, del potere, o dell’illusione del potere. Ma Verdi sembra comunque amarli tutti e, in un certo senso, ce li fa amare tutti, per la sua debolezza, Macbeth, per la sua pazzia, Lady Macbeth».

Una passione, quella per la dimensione e le qualità umane evocate dai versi di Shakespeare, che attraversa tutta la vita del compositore bussetano: è in essi che egli ravvisa il modello fondamentale verso il quale orientarsi alla ricerca di un nuovo ideale di melodramma; ed è a partire da essi che individua i meccanismi capaci di restituire in musica la complessità dell’universo interiore dell’uomo. Infatti, quando più forti si fanno gli stimoli all’innovazione e i ripensamenti estetici, è a Shakespeare che Verdi si rivolge: con Macbeth, primo importante esempio di drammaturgia anticonvenzionale, votata al realismo psicologico dei personaggi, fino ai capolavori dell’estrema maturità, Otello e Falstaff, inattesi ed oramai del tutto estranei al pensiero melodrammatico ottocentesco.

Assieme al Falstaff parte della stessa Trilogia, Macbeth sarà riproposto in luglio in Finlandia, dove Ravenna Festival sarà protagonista del prestigioso Savonlinna Opera Festival: il castello di Olavinlinna promette di trasformarsi nella più evocativa delle cornici per il dramma di Shakespeare.

Info e prevendite: tel. 0544 249244 – teatroalighieri.org
Biglietti da 14 a 45 euro. Speciale giovani: under 14 5 euro; 14/18 anni e studenti universitari 50% tariffe ridotte.

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