Vito fà Scarpetta alla Bolognese

La nuova produzione di Nuova Scena – Teatro Stabile di Bologna e Arte e Salute

Nanni Garella torna a dirigere Vito e gli attori di Arte e Salute in
Misêria e nubiltè, commedia di Eduardo Scarpetta adattata in lingua bolognese

Giovedì 4 aprile, alle ore 21, nella Sala Grande dell’Arena del Sole, Nuova Scena – Arena del Sole – Teatro Stabile di Bologna e Associazione Arte e Salute onlus presentano in prima nazionale Misêria e nubiltè, di Nanni Garella da Miseria e nobiltà di Eduardo Scarpetta, regia Nanni Garella, con Vito, Umberto Bortolani, Carolina Cangini, Luca Formica, Pamela Giannasi, Mariarosa Iattoni, Iole Mazzetti, Fabio Molinari, Mirco Nanni, Lucio Polazzi, Deborah Quintavalle, Moreno Rimondi, Roberto Risi e la partecipazione straordinaria di Nanni Garella.
Scene e costumi Antonio Fiorentino, luci Gigi Saccomandi, musiche originali Leonildo e Marco Marcheselli, regista assistente Gabriele Tesauri.

REPLICHE FINO A DOMENICA 14 APRILE
FERIALI ORE 21, DOMENICA ORE 16, LUNEDÌ RIPOSO

Il mondo affamato, disperato, violento e allo stesso tempo vitale, ricco di fantasia e di speranze di Miseria e nobiltà viene ricreato sul palcoscenico dell’Arena da Nanni Garella che, dopo il grande successo de Al dutåur di mât, torna a dirigere Vito. Accanto al comico bolognese Umberto Bortolani, lo stesso Garella e gli attori di Arte e Salute interpreteranno, adattandolo in lingua bolognese, questo classico della comicità partenopea che fu uno dei cavalli di battaglia di Eduardo
e vide il trionfo di Totò nel film omonimo.

Prosegue così il lavoro di Nanni Garella volto alla rivitalizzazione della lingua teatrale italiana attraverso la grande tradizione dialettale e attraversato dal tema delle diversità: diversità come handicap fisico o psichico, diversità come povertà ed emarginazione, ma anche diversità
linguistica.

Prosegue altresì la collaborazione tra Nuova Scena – Teatro Stabile di Bologna e Arte e Salute onlus, associazione nata con lo scopo di coniugare il lavoro artistico con il lavoro nel campo della salute mentale, nel quadro di “Arte e Salute nell’Arena del Sole”, progetto di residenza della compagnia di pazienti psichiatrici all’Arena del Sole realizzato in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna e il Servizio Sanitario Regionale – Azienda Unità Sanitaria Locale di Bologna.
La condivisione di questo percorso, iniziato nel 1999 e che ha già riscosso notevoli successi e riconoscimenti, si è consolidata in un lungo percorso di sperimentazione di un modello operativo inconsueto e innovativo, che mette a confronto un importante teatro nazionale come Nuova Scena – Teatro Stabile di Bologna con una realtà artistica nata nell’ambito del disagio e dell’esclusione sociale. Ormai professionisti, dopo un lungo periodo di formazione e lavoro teatrale, gli attori di
Arte e Salute hanno affrontato, tra le altre, opere di Pirandello, Pinter, Brecht, Pasolini, Scarpetta.
Ed è stato proprio su un testo di questo drammaturgo napoletano, Il medico dei pazzi, adattato in bolognese, che un anno fa Garella e gli attori di Arte e Salute si sono incontrati con Vito.

La trama. In uno squallido appartamento abitano, campando di espedienti, Felîz Di Torrinbocca, il suo compare Pascuèl e le rispettive famiglie. La vicenda di questi squattrinati personaggi si intreccia con quella del marchesino Eugenio Favetti, il quale, innamorato dell’affascinante ballerina Gemma, non può vedere realizzato il suo sogno d’amore a causa del padre, contrario al matrimonio perché Gemma è figlia di Gaetano Semolone, detto Frittomisto, ex cuoco arricchito.
Eugenio propone allora a Felîz di ordire una farsa mirabolante: dopo aver procurato allo stesso Felîz e ai suoi strampalati coinquilini gli abiti migliori, chiede loro di presentarsi al padre della futura sposa come la nobile famiglia Favetti. Gaetano accetta volentieri di dare in sposa la figlia, ben felice di imparentarsi con i nobili; ma attorno a questa promessa di matrimonio si scatenano colpi di scena con bugie, agnizioni e sconfessioni che faranno scoprire l’inganno, riportando la vicenda a un divertente quanto lieto finale.

Note di Nanni Garella

La lingua teatrale italiana, a differenza di altre lingue neolatine, possiede un altissimo grado di convenzionalità; è meno parlabile di altre lingue europee, meno elastica, meno espressiva.
La ragione di questa debolezza risiede molto probabilmente nella genesi stessa dell’italiano come lingua, oltre che nella frammentazione politica dell’Italia dalla caduta dell’impero romano all’unità.

La nostra Babele linguistica post-latina fonda almeno quattro o cinque ceppi linguistici, che nei secoli diventano lingue a tutti gli effetti e hanno espressione letteraria, in epoche diverse fino al Novecento. E la nostra letteratura ha sempre rapporti diretti o indiretti, comunque molto stretti e fondanti, con i dialetti. È una particolarità tutta italiana quella della nascita e dello sviluppo di una lingua nazionale che non riesce a sciogliere, per così dire, i suoi nodi dialettali.

Non a caso molti grandi autori teatrali italiani hanno scelto, grosso modo, due strade nell’uso della lingua: o il dialetto tout court (Ruzante, Goldoni, Scarpetta, De Filippo) o una sorta di costruzione/
traduzione dalle lingue dialettali (Verga, Svevo, Pirandello, Alfieri).

La lingua del Teatro deve per necessità essere comprensibile, diretta, parlabile; ed è naturale che gli attori e gli autori teatrali affondino le mani nel loro retroterra linguistico popolare, nelle parole e nei modi di parlare della loro infanzia o dell’infanzia dei loro personaggi. Ecco: l’infanzia della nostra lingua, di quella che abbiamo ascoltato e parlato da bambini è il luogo poetico per eccellenza in cui è stata creata, costruita ogni volta la lingua del teatro italiano. Quasi sempre gli autori italiani sono costretti a creare, non solo forma, ma anche lingua.

È il caso di questa nuova edizione di Miseria e nobiltà: un’opera tradotta in lingua bolognese da una commedia in lingua napoletana, a sua volta tratta da una commedia francese.

Da anni il tema delle diversità attraversa il mio lavoro: diversità come handicap fisico o psichico, diversità come povertà ed emarginazione, ma anche diversità linguistica. Ai margini della cosiddetta società del benessere – che più tale non sembra – nelle periferie sterminate di città
senza volto, senza fognature, senza farmacie, senza biblioteche, vivono schiere di abitanti emarginati, declassati, poveri.
Immagino quel mondo quando penso a Miseria e nobiltà. Un mondo affamato, disperato, violento; e allo stesso tempo vitale, ricco di fantasia e di speranze.
E cerco di ascoltare il suono caotico di una lingua popolare, di un dialetto vivo, non ancora appiattito dall’italiano televisivo. È una lingua lessicalmente povera, un po’ sgangherata, inascoltata dalla letteratura contemporanea, eppure così piena di significati imprevedibili, di parole sonore come musica.
Ho tentato più volte, nei miei spettacoli, di rivitalizzare la lingua teatrale italiana attraverso la grande tradizione dialettale (Arlecchino, Ista laus, Campiello, Il medico dei pazzi) cercando di
rintracciare, nel calderone linguistico del nostro paese, una tessitura comune di parole, una radice della nostra identità nazionale.
Miseria e nobiltà mi dà occasione di continuare questo lavoro sulla lingua dialettale, in particolare quella bolognese, che non mi appartiene per nascita, ma che ho imparato ad ascoltare e ad
amare.