Don Giovanni di Filippo Timi al Teatro Storchi di Modena

Teatro Storchi, Largo Garibaldi 15 – Modena

9, 10, 11 gennaio ore 21.00
12 gennaio ore 15.30

IL DON GIOVANNI
VIVERE È UN ABUSO, MAI UN DIRITTO

regia e scene FILIPPO TIMI
di e con Filippo Timi
e con Umberto Petranca, Alexandre Styker, Marina Rocco, Elena Lietti, Lucia Mascino,
Roberto Laureri, Matteo De Blasio, Fulvio Accogli

luci Gigi Saccomandi
costumi Fabio Zambernardi
in collaborazione con LAWERNCE STEELE
regista assistente Fabio Cherstich
direttore dell’allestimento Emanuele Salamanca
spettacolo nato dal laboratorio in collaborazione con CRT Centro di Ricerca per il Teatro
TEATRO FRANCO PARENTI/TEATRO STABILE DELL’UMBRIA

Dal 9 al 12 gennaio il Teatro Storchi di Modena ospiterà Don Giovanni, Vivere è un abuso mai un diritto nella rilettura di Filippo Timi, attore, regista e scrittore che, dopo una lunga ed eterogenea esperienza teatrale, arriva al grande schermo e alla televisione con cui ottiene grande popolarità e riconoscimenti. Né secondo Molière, né secondo Mozart, semplicemente secondo Filippo Timi: il mito di Don Giovanni riscritto dal più irriverente dei giovani artisti italiani. Rivisitando il mito del Burlador de Sevilla sulla falsariga del libretto di Da Ponte, Timi si spinge oltre il divieto del filosofo-matematico Friedrich von Hardenberg, in arte Novalis, che sul finire del Settecento dichiarava che “l’infinito e la donna sono incomprensibili perché nessuno dei due può venire elevato al quadrato”. Con spezzature, metafore, allusioni e ironie il gioco di Timi mira a fare esplodere una tradizione che va dalla leggenda di Orfeo sbranato dalle femmine invasate, fino alla sprezzante definizione che il darwiniano Richard Dawkins ha dato di Dio (un “meme” particolarmente invasivo, quasi un virus della psiche), passando per l’arte della fuga, non solo scenica ma anche musicale (pensiamo a Bach), per la dissoluzione delle istituzioni e la forza anarchica della passione che alla fine distrugge sè stessa. L’esito paradossale è una sorta di religione della mente, “con un Dio così umano da far tenerezza… che non cerca il bene, che non combatte il male e finalmente si arrende alla bellezza della vita”. È la religione impossibile sognata da Nietzsche, che si realizza nella magia della scena.

Solo schiavi delle proprie miserie e desideri più neri ci si riappacifica con la propria infanzia, e si è pronti a vivere la morte. La vita è ingiusta, ecco che cos’è la vita, una farsa che si trasforma in tragedia. Vivo è solo ciò che muore, e solo amando si rischia davvero di toccare le vette gelide dell’estrema solitudine, e da lì sentire il canto delle sirene. Solo tradendo si raggiunge l’amore assoluto. Un desiderio morto non è più un desiderio. Don Giovanni non brucia mai veramente, desidera bruciare, promette l’inferno, la sua arte è teatrale, recita così bene la promessa che è impossibile non credergli o ancora meglio non desiderare credergli. Donna Elvira è il passato, è la conquista difficile, la conquista di un tempo lento, l’amore vero, la prima donna, l’amore che ritorna a chiedere il compenso di una promessa già fatta. Donna Anna è l’amore ingannatore, violento, un errore semi-calcolato, è l’amore che libera dal vecchio incubo e rende la donna libera di scendere verso un incubo ancora più cosciente, è l’amore compulsivo, immediato, sbagliato per definizione. Zerlina è l’improvvisazione, la dialettica della seduzione, è l’amore invidioso, la voglia di portare via la donna al marito, il desiderio di ritrovare quella purezza semplice di sposare la figlia del farmacista.

Ognuno ha la propria storia, io la mia, tu la tua, voi la vostra e Don Giovanni ha la sua. Non l’ha scelto lui di nascere Mito, gli è capitato, e lui non si sottrae dall’essere se stesso. Ecco in cosa è grande. Non perché accetta la morte, deve per forza, come tutti. E’ grande perché accetta a pieno le conseguenze, inevitabili, dell’essere nient’altro che se stesso.
Filippo Timi

ESTRATTI STAMPA

« Bulimico di vita, esasperato, caricaturale e dai toni accesi quanto e come le fotografie di La Chappelle
con punte di umorismo “non sense” assolutamente esilaranti. Citazioni musicali che vanno da
Celentano ai Queen, dall’Uomo Tigre a Baglioni, costumi decisamente “importanti”, nell’accezione del
“non passano inosservati” che strizzano l’occhio alla “Marie Antoinette” di Sofia Coppola ed alle visioni
surreali di Tim Burton. Un Don Giovanni che probabilmente non sarebbe piaciuto a Mozart ma che
piace molto al pubblico: risate a sottolineare i corretti tempi comici e silenzi per i momenti di
riflessione in cui Timi prende di petto i problemi della società attuale, stupro, omosessualità, potere. »
Beatrice Ceci, Tusciamedia.com, 14 dicembre 2013

« Don Giovanni è il prototipo di una umanità volubile, che ha fame di potere, che ama la mistificazione e l’autoinganno, proprio perché sa che è condannata ad estinguersi, che non potrà esimersi dal suo appuntamento con la morte. Egli ha capito che la vita è ingiusta, una farsa che si trasforma in tragedia, e che la vita è giustificata solo dalla morte. Questa consapevolezza lo trattiene, non lo fa bruciare, benché desideri di bruciare, essendo convinto che un desiderio morto non è più un desiderio. »
La nazione ed. Pistoia, 21 novembre 2013