Gli Atti unici di Cechov a Lugo

MARTEDI 16 DICEMBRE ore 20.30

CTB TEATRO STABILE DI BRESCIA

LE BELLE BANDIERE

Regione Emilia Romagna

Provincia di Ravenna

Comune di Russi

SVENIMENTI

un vaudeville

dagli atti unici, dalle lettere e dai racconti di Anton Cechov

progetto, elaborazione drammaturgica Elena Bucci e Marco Sgrosso

con Elena Bucci, Gaetano Colella, Marco Sgrosso

regia Elena Bucci

macchinismo e direzione di scena Giovanni Macis

disegno luci Loredana Oddone

drammaturgia del suono Raffaele Bassetti

collaborazione ai costumi Marta Benini

foto Luigi Angelucci, Nomadea, Patrizia Piccino

Finalmente incontriamo Anton Cechov, delicato e spiritoso, lieve e rivoluzionario. Cominciamo da tre dei suoi formidabili Atti Unici, operine che lui stesso scherzosamente definiva ‘vaudeville volgarucci e noiosetti’ ma al cui straordinario successo assisteva stupito. Sono nuvole di puro teatro, ritmo ed esilaranti invenzioni che illuminano la solitudine malinconica dei suoi antieroi, le ridicole debolezze di noi tutti e la misteriosa tessitura dei rapporti mentre suggeriscono climi e visioni delle opere future. Affascinati dal mirabile equilibrio tra farsa, commedia e tragedia che si respira nel suo vivace universo, ci immergiamo negli esilaranti bisticci tra Lomov e Natal’ja Stepanova, scanditi dai puntuali interventi del vecchio padre di lei Cubukov, ne La domanda di matrimonio, dove un reciproco e testardo desiderio di nozze si arena tra le meschine recriminazioni sui confini delle rispettive proprietà; oppure nell’appassionato scontro frontale de L’orso, in bilico tra furiosa insofferenza e potente attrazione erotica reciproca, dove la svenevole vedova Popova sfida a duello il ruvido creditore Smirnov, sotto lo sguardo pavido e sgomento del fedele maggiordomo Luka, che già ci ricorda il grande Firs de Il giardino dei ciliegi. I personaggi ruvidi e vitali degli Atti Unici, che litigano sui confini campagnoli per vincere l’imbarazzo di una domanda di matrimonio o si sfidano a duello perché non sanno parlarsi, assomigliano così tanto a noi che ci fanno ridere e disperare, mentre testimoniano della maestria di Cechov nel rendere mitica la realtà quotidiana attraverso la perfezione dei particolari. Accanto a questi tumultuosi duelli a tre, combattuti e risolti su tre piccole pedane, isole di solitudini e stanze per incontri ravvicinati, risuona l’atmosfera surreale di piccoli gioielli come Fa male il tabacco, dove un doppio Njuchin, accompagnato da una misteriosa dama in nero, smarrisce il filo di una conferenza scientifica perdendosi nelle irresistibili riflessioni sulla sua sfortunata vita coniugale. Ci addentriamo nel labirinto creativo di Cechov portando in scena anche gli echi dolci e amari di alcuni suoi delicati racconti, sia che si tratti di un bambino povero e affamato affascinato da un cibo prezioso e sconosciuto che di un piccolo e pavido ometto incapace di vivere allo scoperto. Ascoltiamo i suoi pensieri attraverso la bella prosa delle lettere, che apre uno squarcio sul vivido scambio con la compagnia e i registi, oltre che con Ol’ga Knipper, attrice del Teatro d’Arte di Mosca diretto da Stanislavskij e moglie adorata degli ultimi anni, per la quale lo scrittore ebbe un grande amore, vissuto spesso a distanza a causa della sua malattia e dei fitti impegni teatrali di lei, ricco di consigli di teatro imperativi o imploranti, mancati incontri e sospirate attese. Attraverso la voce di Ol’ga costruiamo lo spettacolo come fosse un film, blocchiamo a tratti i vertiginosi dialoghi per osservare i personaggi immobilizzati come in una fotografia, evochiamo l’autore nella sua solitudine della villa di Yalta o chiuso in sé dopo il primo infelice debutto del Gabbiano, quando giurò che non avrebbe mai più scritto per il teatro.

Accanto alla sua quotidianità, bella e faticosa, trapela il ritratto di un’epoca e comprendiamo meglio questo artista pieno di contrasti, un malinconico con un innato senso della comicità, un solitario che in campagna rimpiangeva lo scintillio di Mosca e di San Pietroburgo, un uomo inquieto che mentre denunciava la mancanza di un luogo tranquillo per sé amava scrivere sentendo nella stanza accanto gli strepiti e i canti di una famiglia d’origine anomala e stravagante.

IL MONDO CECHOV

Accogliamo dunque nella drammaturgia le numerose suggestioni che ci arrivano: dalla biografia dell’autore, alla quale hanno contribuito meravigliosi scrittori come Irene Nemirowskj, dai racconti, una mole impressionante, ricca di ritratti e situazioni dei quali si nutrono le grandi opere teatrali e che cominciò a scrivere per poche copeche nella misura di 30 righe con l’impegno a divertire il pubblico popolare delle riviste per arrivare a disegnare pagine perfette, dalle lettere, una densa e affascinante corrispondenza con amici, colleghi, editori, familiari e con la moglie, che continuerà a scrivere ad Anton per mesi dopo la morte di lui, prolungando oltre la vita la consuetudine alla complicità ma anche all’assenza, dalle opere maggiori, le cui intuizioni e temi attraversano tutta la produzione dello scrittore.

SVENIMENTI

In omaggio a Vselovod Mejerchol’d – che aveva intitolato Trentatrè svenimenti la sua rilettura di tre atti unici di Cechov – abbiamo scelto come titolo del nostro spettacolo Svenimenti, parola che allude ai punti di crisi emotiva e di perdita di controllo dei personaggi, urlo o gioia, pianto o riso ma comunque resa all’incomprensibile emozione della vita. E tenteremo di scoprire il mistero del fascino lieve di questi uomini e donne che, senza avere una dimensione eroica, restano impressi nella memoria per la loro autenticità, nutriti di speranze o ammalati di sconfitte, tragici contro voglia, ridicoli senza consapevolezza, una condizione umana universale che pochi altri autori hanno saputo descrivere con tanta forza e semplicità.

‘Fra due o trecento anni la vita in questo mondo sarà meravigliosa, fantastica. L’uomo ha un’assoluta necessità di una vita simile. Voi direte: ma se questa vita ancora non c’è! Appunto!

Bisogna sognarla, aspettarla, anticiparla, avvicinarne i tempi! È proprio per questo che l’uomo deve vedere e sapere molto…’ (da Tre sorelle, Versinin)

Elena Bucci e Marco Sgrosso

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