Leo Nucci è Simon Boccanegra

Simon Boccanegra, quinto titolo della Stagione Lirica 2013-2014 della Fondazione Teatri di Piacenza, che debutterà al Teatro Municipale il 14 marzo alle 20,30 (Turno A) e in replica il 16 marzo alle 15,30 (Turno B) – anteprima per le scuole il 12 marzo alle 15,30.

Commissionata a Giuseppe Verdi dal Teatro La Fenice nel 1886, dal dramma “Simón Bocanegra” di Antonio Garcìa Gutiérrez, già scrittore-fonte de Il Trovatore, Simon Boccanegra è la storia di un corsaro genovese che nel Trecento sale al trono doganale. La causa politica è solo la linea che unisce le vicende private del protagonista che si snodano nell’arco di venticinque anni e che lo vedono coinvolto in aspetti privati e teneri oltre che in quelli “istituzionali”.

La prima ebbe luogo il 12 marzo 1857 al Teatro La Fenice di Venezia e fu un insuccesso clamoroso, quasi come quello de La Traviata quattro anni prima. Solo ventidue anni più tardi, su suggerimento dell’editore e amico Ricordi, Verdi riprese in mano la partitura di Simon Boccanegra , rivolgendosi ad Arrigo Boito per le modifiche da apportare al libretto originale di Francesco Maria Piave.

Dal punto di vista musicale il rifacimento impegnò Verdi per quasi sei settimane, dall’inizio di gennaio alla terza settimana di febbraio del 1881. Ma già nel novembre 1880 il musicista aveva tracciato a grandi linee il piano di revisione. Originariamente suddivisa in quattro atti, l’opera venne ristrutturata in un prologo e tre atti. Alla fine la revisione comportò la sostituzione di un intero quadro (il secondo dell’atto primo), il radicale mutamento del prologo, l’eliminazione del preludio (in luogo del quale Verdi compose una brevissima quanto memorabile introduzione strumentale), la sostituzione del duetto tra Gabriele e Fiesco (atto primo), la composizione di una nuova scena per il personaggio di Paolo (atto terzo) e inoltre un immenso numero di modifiche, tagli, ritocchi, inserzioni. In un tempo molto limitato e sotto la costante supervisione di Verdi, Boito apportò le modifiche necessarie al vecchio libretto e avanzò personalmente alcuni validissimi suggerimenti.

Il nuovo Simon Boccanegra andò in scena il 24 marzo 1881, alla Scala di Milano, sotto la direzione del più grande direttore d’orchestra italiano di quegli anni: Franco Faccio, e l’opera ottenne un buon successo.

Nonostante l’iniziale successo, il cammino del rinnovato Simon Boccanegra non fu agevole. Alla fine dell’Ottocento l’opera era nuovamente uscita di repertorio e il definitivo recupero fu merito della Verdi–Renaissance tedesca. Dal 1929 l’opera fu infatti inserita nei cartelloni dei maggiori teatri tedeschi con prestigiosi registi e interpreti.

Simon Boccanegra è una di quelle partiture verdiane che, al di là del loro valore artistico, difficilmente avrebbero potuto aver accesso alla popolarità nel corso dell’Ottocento, in quanto il suo soggetto non ruota intorno ad una grande storia d’amore o ad un infiammato dramma di popoli in lotta per la libertà.

Incentrato su un tema ricorrente nel teatro verdiano – la crisi di un sistema di potere e di affetti familiari – Simon Boccanegra finisce infatti per capovolgere i convenzionali rapporti di forza tra i personaggi: non solo il protagonista è il baritono, ma il suo vero antagonista non è il tenore (l’innamorato giovane e romantico) bensì il basso, mentre la donna contesa non è l’amante, bensì la figlia dell’uno (Simone) e la nipote dell’altro (Fiesco). Il cuore dell’opera è rappresentato da un intreccio fatale di odi atavici e fraintendimenti, in una cronica impossibilità di intendersi e comunicare. Le passioni torbide e irrisolte che animano quest’opera buia, complessa e tormentata, sono destinate a sciogliersi solo dopo che l’inesorabile trascorrere del tempo ne ha levigato l’asprezza, ovvero con l’approssimarsi della morte. Tra il prologo e i tre atti trascorrono ben venticinque anni, ed è suggestivo raffrontare questo scarto temporale con il lasso di tempo – ventiquattro anni: dal 1857 al 1881 – che separò nella realtà la nascita delle due versioni. Si direbbe che lo stesso Verdi, per trovare il vero senso di questo dramma, abbia avuto bisogno di riconsiderarlo con uno sguardo retrospettivo, quello stesso sguardo che domina l’atto conclusivo dell’opera e lo rende così umanamente struggente.

Se dal punto di vista drammaturgico la modifica più importante introdotta dalla versione 1881 riguarda il quadro che chiude il primo atto, composto ex novo e destinato a diventare la scena più intensa e spettacolare dell’opera, sul piano poetico appaiono non meno determinanti i cambiamenti alla prima parte del prologo e, in particolare, l’aggiunta di quel breve ma straordinario preludio il cui motivo principale sembra far scaturire il dramma dalle brume della memoria, dando piena evidenza musicale all’idea fondamentale del trascorrere del tempo.

Il colore complessivamente severo deriva sia dal largo impiego di uno stile vocale tra il declamato e l’arioso (quanto a dire dall’assenza di motivi orecchiabili: a nessuna delle arie è toccato in sorte di entrare a pieno titolo nel repertorio concertistico), sia dal predominio delle voci gravi e virili (Simone, Fiesco, ma anche i congiurati Paolo e Pietro, e lo stesso coro, per lo più maschile), cui si contrappone una sola voce femminile: quella luminosa e calda del soprano lirico che interpreta il ruolo di Amelia, la giovane donna tenera e gentile, coinvolta suo malgrado nel dramma esistenziale e politico degli uomini che l’amano e ne fanno oggetto delle loro contese.

Musicalmente la partitura risente inevitabilmente degli anni che trascorrono tra la prima e la seconda versione e delle esperienze umane ed artistiche del suo autore. Le parti nuove sono facilmente riconoscibili e presentano una finezza di scrittura ed una brillantezza ritmica e timbrica lontane dallo stile disadorno e un po’ monocorde dell’opera del 1857. La tinta ombrosa che caratterizza la prima versione permane anche nella seconda, ma attraversata da lampi sinistri che, nella terribile scena della maledizione che chiude il primo atto, arrivano a coagularsi in effetti espressionisti.

Opera avara di grandi arie, Simon Boccanegra si fa invece apprezzare per una straordinaria aderenza della musica al dramma, già riscontrabile nella versione originale ma notevolmente accresciuta dalla revisione, che elimina i brani più convenzionali e trasforma alcuni recitativi in moderni declamati melodici. Unica pecca dell’opera – è stato detto – è la presenza di un secondo atto che, per ragioni di struttura narrativa, Verdi non ha potuto rielaborare se non in minima parte e che, nella sua brevità, schiacciato com’è tra la grandiosità della scena finale del primo atto e la commovente tragicità del terzo, ha quasi l’aspetto di una parentesi e di un ritorno al Verdi più convenzionale. Ma anche qui, la qualità della musica e la sintesi drammatica sono tali da giustificare la piena riabilitazione che la critica ha ormai accordato a questa partitura intensa e sottile, che, tra le altre cose, ha il merito di offrirci uno dei ritratti più autentici dell’uomo Verdi: pessimista, scuro, ma sempre umano e profondo Da un allestimento del Teatro Municipale Giuseppe Verdi di Salerno, l’opera, per la regia di Riccardo Canessa, si avvale delle scene e costumi di Alfredo Troisi. Il cast comprende il baritono Leo Nucci (Simon Boccanegra), il soprano Davinia Rodriguez (Maria Boccanegra), il basso Carlo Colombara (Jacopo Fiesco), il tenore Fabio Sartori (Gabriele Adorno), il baritono Alexey Bogdanchikov (Paolo Albiani), il basso Simon Lim (Pietro), il tenore Ernesto Petti (Un capitano dei balestrieri) e il soprano Federica Vitali (Un’ancella).

Il Maestro Francesco Ivan Ciampa dirigerà l’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna; a completare il cast il Coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto da Corrado Casati.

Per info e biglietti è possibile rivolgersi alla biglietteria del Teatro Municipale di Piacenza, in via Verdi 41, al numero di telefono 0523.492251 o al fax 0523.320365 o all’indirizzo mail biglietteria@teatripiacenza.it.