L’Arena rievoca la sua prima Aida

AIDA

di Giuseppe Verdi

Arena di Verona, 18 giugno Prima

Sabato 18 giugno alle ore 21.15 va in scena Aida di Giuseppe Verdi, secondo titolo in cartellone per l’89° Festival lirico 2011 all’Arena di Verona.

La direzione d’orchestra è affidata al maestro Daniel Oren e la regia a Gianfranco de Bosio. La coreografia di Susanna Egri vede étoile la ballerina areniana Myrna Kamara. In scena i complessi artistici – Orchestra, Coro e Corpo di ballo – e Tecnici dell’Arena di Verona insieme alla moltitudine delle comparse per un allestimento spettacolare.

In scena per 15 serate, l’Aida verdiana viene proposta nella rievocazione dell’allestimento originario di Ettore Fagiuoli, architetto veronese, con il quale si diede il via al primo Festival areniano quasi un secolo fa, il 10 agosto 1913.

Protagonisti alla Prima del 18 giugno grandi artisti cui il pubblico areniano è affezionato. Il soprano Micaela Carosi ritorna in Arena per interpretare Aida, ruolo che ha ricoperto nell’anfiteatro scaligero dal 2001 al 2008; voce verdiana e premio “Abbiati” proprio in questo ruolo, Aida l’ha portata ad esibirsi anche al Metropolitan di New York, consacrandola al pubblico internazionale. L’antagonista Amneris è l’apprezzato soprano Giovanna Casolla, presenza areniana dal 1986, che negli ultimi anni ha brillato sulla scena italiana ed estera come Turandot, ruolo ricoperto anche nella scorsa stagione areniana e nei Festival 2003, 2005 e 2009. Eccellente baritono verdiano è Alberto Gazale che ritroviamo nei panni del padre di Aida, il re etiope Amonasro, ruolo che l’ha visto calcare le scene areniane per sei edizioni dal 1999 al 2005. Il guerriero Radamès sarà il tenore Marco Berti, personaggio interpretato in Arena nelle stagioni 2006, 2008 e 2010.

L’Orchestra è guidata dal Maestro Daniel Oren, immancabile direttore in Arena dal 1984, alla sua quattordicesima direzione di Aida. La regia è affidata a Gianfranco de Bosio, che per questo titolo verdiano ha realizzato più di venti messe in scena nel mondo, senza contare le rappresentazioni televisive e cinematografiche. Il pubblico lo ritroverà regista in questo 89° Festival anche per il quarto titolo in cartellone: Nabucco. Le coreografie del Corpo di ballo areniano, inserite da Verdi nell’azione drammatica per accentuare la spettacolarità dell’opera, sono curate da Susanna Egri, che segue le edizioni dell’allestimento storico di Aida in Arena dal 1982.

La genesi dell’opera è frutto di una commissione del chedivè d’Egitto Ismail Pascià a Giuseppe Verdi, tramite l’egittologo Auguste Mariette, per un’opera su soggetto nazionale da rappresentarsi nell’ambito dei festeggiamenti inaugurali dell’apertura del Canale di Suez, avvenuta il 17 novembre 1869. La vicenda della schiava etiope Aida ambientata nell’antico Egitto dei Faraoni piacque al compositore italiano – che fece realizzare il libretto in lingua italiana ad Antonio Ghislanzoni – non tanto per l’esotismo, quanto perché ben si prestava a farne una sorta di grand-opéra italiana. La Prima andò in scena al Cairo il 24 dicembre 1872 con la direzione di Franco Faccio.

Aida è diventata un vero e proprio capolavoro di grande successo popolare per la spettacolarità scenica e la ricchissima invenzione melodica, ma anche per il significato di grande attualità che l’opera rivela allo spettatore: Verdi, quale leitmotiv della sua produzione, concentra l’attenzione sul conflitto intimo e individuale dei personaggi, imprigionati e schiacciati dal Potere imperante, sviluppandone una psicologia profonda. La “teatralità” di Aida si può quindi riassumere in due parole: monumentalità e introspezione.

Eugenio Montale ha descritto Aida come l’opera che meglio si presta ad un teatro all’aperto, con i suoi «effetti da Cinemascope» e la sua grandiosità «anche quando i sacerdoti portavano barbe di cartapesta e indossavano accappatoi da spiaggia… E poiché gli occhi son più volubili degli orecchi… è ovvio che l’Aida meno di ogni altra opera di repertorio potrà sfuggire alle intenzioni novatrici di scenografi, registi e coreografi». Solenne e rigido, il dramma faraonico verdiano trova quindi nella scenografia storica di Ettore Fagiuoli del 1913 la sua collocazione ideale. Una traduzione imponente, perfettamente adatta agli spazi areniani, che rivela il suo culmine nella Marcia trionfale del secondo atto, vera colonna sonora delle stagioni liriche veronesi con i suoi ampi e slanciati intervalli.

I numeri di Aida

L’opera verdiana, oltre ad essere la prima opera andata in scena sul palcoscenico più grande del mondo, è il titolo più rappresentato all’Arena di Verona, dove può vantare ben 566 rappresentazioni per 51 stagioni.

Per il Festival 2011 la Fondazione Arena di Verona presenta la 16a edizione dell’opera nella Rievocazione del 1913.

Aida replica: 26, 30 giugno – 10, 13, 17, 19, 24, 26, 30 luglio – 7, 14, 28, 31 agosto – 3 settembre.

18, 26, 30 giugno – ore 21.15
10, 13, 17, 19, 24, 26, 30 luglio – ore 21.15
7, 14, 28, 31 agosto – ore 21.00
3 settembre – ore 21.00

Rievocazione dell’

Aida

di Giuseppe Verdi

del 1913

Personaggi e interpreti

Il Re
Carlo Striuli (18/6 – 13, 17, 19, 24, 26, 30/7 – 7, 14, 28, 31/8 – 3/9)
Gustáv Beláček (26, 30/6 – 10/7)

Amneris
Giovanna Casolla (18, 26, 30/6 – 7, 14/8)
Mariana Pentcheva (10, 13, 17, 30/7)
Tichina Vaughn (19, 24, 26/7)
Dolora Zajick (28, 31/8 – 3/9)

Aida
Micaela Carosi (18, 26, 30/6)
Amarilli Nizza (10, 19/7 – 7, 14, 28, 31/8 – 3/9)
Hui He (13, 17, 24, 26/7)
Lucrezia Garcia (30/7)

Radamès
Marco Berti (18/6)
Fabio Armiliato (26, 30/6)
Salvatore Licitra (10, 13, 17/7)
Carlo Ventre (19, 24, 26/7)
Walter Fraccaro (30/7 – 31/8 – 3/9)
Marcello Giordani (7, 14, 28/8)

Ramfis
Giacomo Prestia (18/6 – 7, 14, 28, 31/8 – 3/9)
Carlo Striuli (26, 30/6 – 10/7)
Marco Spotti (13, 17, 19, 24, 26, 30/7)

Amonasro
Alberto Gazale (18, 26, 30/6 – 10, 13/7)
Alberto Mastromarino (17, 19, 30/7 – 7/8)
Leonardo López Linares (24, 26/7)
Ambrogio Maestri (14, 28, 31/8 – 3/9)

Un messaggero
Enzo Peroni (18, 26, 30/6 – 10, 13, 17/7)
Francesco Pittari (19, 24, 26, 30/7)
Angelo Casertano (7, 14, 28, 31/8 – 3/9)

Sacerdotessa
Antonella Trevisan (18, 26, 30/6 – 10, 13, 17, 19, 24/7)
Giorgia Bertagni (26, 30/7 – 7, 14, 28, 31/8 – 3/9)

Prima ballerina ospite
Myrna Kamara

Direttore
Daniel Oren

Regia
Gianfranco de Bosio

Coreografia
Susanna Egri

AIDA

A COLLOQUIO CON GIANFRANCO DE BOSIO

di Lorenzo Arruga

L’Aida di Zenatello e Fagiuoli, ridefinita da de Bosio, sta all’Arena di Verona come il colonnato del Bernini a San Pietro in Roma. L’hanno detto in questi giorni a un’emittente captata in auto, probabilmente una radio veneta, e può darsi che abbiano un po’ esagerato. Però questa Aida vetusta nell’età e fragrante nella bellezza, quando ogni tanto riappare in mezzo alle altre interpretazioni, ci dà il grato sollievo di un pezzo rimesso a posto, di un appuntamento felicemente ritrovato, di una proposta sempre logica e feconda. Ci sembra di guardare il monumento con gli occhi del tenore Zenatello quando, fra le nude pietre ancora mai solcate da spettacoli d’opera, decise che era stato creato, pur con qualche centinaio di secoli d’anticipo, per far rappresentare l’Aida.

Anche quest’anno è Gianfranco de Bosio a metterla in scena. Da qualche tempo ha superato l’ottantina, e qualche volta lo dice, forse per la vanità di sentirsi rispondere immancabilmente: ma «figùrati!». E’ per natura un intellettuale, un docente, uno studioso, ma sta sulle assi di palcoscenico dalle brillanti regìe da quando fondò il Teatro Ruzante con gli universitari, a Padova, nel 1949. Nel 1981 il sovrintendente Carlo Alberto Cappelli ebbe l’idea di ripristinare l’allestimento con cui l’Arena incominciò la sua mitica attività di teatro d’opera, il 10 agosto 1913, e gliel’affidò.
Cappelli era un uomo d’idee, e l’idea era rischiosa ma eccellente: era anche uomo di parola, e il contratto fu sancito sùbito con una stretta di mano. Nell’estate del 1982, la vecchia-nuova Aida era acclamata nell’anfiteatro gremito.

I decenni si srotolano, il mondo si scompiglia… Che effetto fa, maestro de Bosio, riprendere questa regìa?

Io credo che la mia impressione sia la stessa di tutti quelli che ci lavorano: una gioia, un onore. Nessuno dubita che questo spettacolo abbia la giusta misura per collegare il mondo egizio come Verdi lo immaginava, e noi, nel suo spazio ideale.
Non solo per l’ampiezza, con 26 metri di boccascena e 30 di profondità, ma per la suggestione della costruzione storica, per la presenza delle migliaia di spettatori tutti raccolti anche fisicamente verso la scena. E le immagini sono in linea perfetta con quelle che Verdi si aspetterebbe, dopo aver tanto lavorato per rimanere fedele ai disegni acquarellati dell’archeologo Mariette. Noi abbiamo studiato l’allestimento di Fagiuoli con la stesso accanimento con cui Fagiuoli, con i mezzi che aveva a disposizione, ha studiato Verdi e Mariette. Quest’anno ho ripristinato anche il
soffitto del quarto atto, che in un’altra ripresa era stato troppo problematico allestire. In quelle dimensioni, senza soffitto, a cielo aperto, alzare in un intervallo un telone di dipinto di quel peso è per i macchinisti un’impresa esaltante.

E’ un allestimento che ci sembra comunque molto moderno e funzionale, un allestimento modulare: le colonne disegnano ambienti e prospettive diverse, dando unità all’immagine e togliendo i faticosi intervalli per i cambi di scena.

Le colonne sono invisibilmente carrellate a due a due e si spostano creando sette situazioni diverse, come il libretto chiede. E mentre raccolgono tutta l’attenzione per la perfezione del meccanismo e la bellezza, lasciano però respirare l’Arena, non la escludono. Gli allestimenti più deboli in Arena sono quelli che vogliono mimetizzarla, coprirla, piegarla ad altre figurazioni. Invece altri l’hanno fatta protagonista: ad esempio quella del 1969 di Luciano Damiani, con i suoi vuoti e la sua sobrietà ammaliante.

Si è preso delle libertà nel riallestire?

Le libertà richieste ad un regista che deve far vivere lo spettacolo da artisti sempre diversi, e con quegli aggiustamenti che via via si propongono proprio cercando la più consona fedeltà all’idea ispiratrice, e con i mezzi che ci sono offerti. Per esempio, all’inizio il tempio del terzo atto dominava al centro. Con lo scenografo Vittorio
Rossi, che dirigeva l’allestimento, l’ho portato di lato, come l’azione richiede, lasciando protagoniste le rive del Nilo. E poi ogni interprete deve avere i suoi gesti, per esprimere la sua verità. Il compito di un regista è portare la vita in palcoscenico.

E la vita in palcoscenico fuori dal copione? Nel corso di tanti anni e repliche dev’esser successo di tutto… Nel libro che Lei ha scritto per Il Saggiatore, con il diario della regìa, ad esempio, la ballerina Bianca Gallizia racconta che in un’Aida, quando era fra i moretti, nella famosa danza, e le bambine truccate di nero non si riconoscevano più fra loro, non trovarono più le posizioni giuste, si arrangiarono ma ridendo irrefrenabilmente, e ciascuna uscendo si prese uno scapaccione dal direttore di scena.

Eh, gli episodi sono innumerevoli. Ma anche i fatti curiosi ricorrenti. Ricordo la compostezza, la semplicità emozionante di Maria Chiara, Aida… e le proteste della grandissima Fiorenza Cossotto, Amneris perché, dopo il duetto in cui lei deve lasciare la scena per prima, la Chiara attraversando il grande palcoscenico sugli ultimi accordi, faceva in tempo a prendersi un bel po’ di applausi da sola.
Ricordo il formidabile tenore Bonisolli, un tipo fatto a modo suo, che quando di giorno il palcoscenico era sgombro, ci girava velocissimo in bicicletta cantando a squarciagola “Se quel guerrier io fossi…”…

E le nuove generazioni come la prenderanno, quest’Aida di sempre?

Ah, credo proprio bene. Non vengono ad ascoltare un’opera rammodernata, ma un’Aida autentica. Questa lo è, fin nei dettagli. Penso al tempo e allo spazio giusto per il grande corteo, penso alle trombe egizie a grande distanza, in alto, col suono che passa sopra l’orchestra, lucente, trionfale. Penso al raccoglimento dei momenti intimi nel contrasto… E’ un’Aida che più Aida non si può. Li consegniamo a Verdi. In buone mani.

«Questo non scriverlo», direbbe Gianfranco de Bosio se fosse meno navigato nelle interviste, invece scuote il capo e mi sogguarda sorridendo ironico: cose del mondo.
E poi esprime il suo paradossale, saggio parere: «Questa meravigliosa Aida ha avuto la fortuna di essere stata pensata e realizzata da uomini idealisti, capaci e generosi.
Che però hanno avuto anche un vantaggio: non avere tempo e non avere soldi a sufficienza. E hanno dovuto inventare soluzioni geniali».