Il Nabucco di Poda a Rovigo
Stagione
Teatro
mercoledì 13 febbraio 2013 ore
venerdì 15 febbraio 2013 ore 20.30
domenica 17 febbraio 2013 ore 16.00
Nabucco
Dramma lirico in quattro atti
Musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Temistocle Solera
Nabucco Elia Fabbian
Ismaele Armaldo Kllogjeri
Zaccaria Riccardo Zanellato
Abigaille Dimitra Theodossiou
Fenena Romina Tomasoni
Gran Sacerdote di Belo
Christian Faravelli
Abdallo Massimiliano Chiarolla
Anna Silvia Celadin
Maestro concertatore e direttore
d’orchestra Jari Hämäläinen
Regia scene costumi e luci
Stefano Poda
Assistente alla regia Paolo Giani Cei
Maestro del coro Giorgio Mazzucato
Orchestra Regionale Filarmonia Veneta
Coro Li.Ve. e Venezze Consort
Nuova produzione Li.Ve Teatro Sociale di Rovigo, Comune di Padova, Città di Bassano Opera Festival in coproduzione con Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Ultimo appuntamento con la Stagione Lirica del Teatro Sociale di Rovigo, che venerdì 15 febbraio alle 20.30, vede in scena “Nabucco”, dramma lirico in quattro atti, musica di Giuseppe Verdi, libretto di Temistocle Solera. L’opera sarà in anteprima ragazzi martedì 12 e mercoledì 13 febbraio alle 16 e in replica domenica
17 febbraio, sempre alle 16.
La presentazione dell’opera è prevista per giovedì 14 febbraio alle 18 nella sala Oliva dell’Accademia dei Concordi, a cura dell’associazione Amici del Teatro Sociale di Rovigo.
Nabucco – Stefano Poda
Nabucco, per quanto opera giovanile, possiede, musicalmente e drammaturgicamente, un procedere fluido ma intenso, sintetico e allo stesso tempo capace di emozionare nel profondo. Tanto è solido, che dal punto di vista registico ha porto il fianco ad una serie infinita
di “interpretazioni”: dalla contrapposizione antica Ebrei/Babilonesi (che già era un pretesto risorgimentale per Italiani/dominatori stranieri) si è passati a schemi più “attuali” quali “Ebrei/Nazisti” oppure “Occidentali/Al Qaeda”, in un’ottica in cui “più attuale” vorrebbe dire “più comprensibile” o “meno noioso”.
La via di questo Nabucco è tutt’altra: per dar vero corpo a tale lacerante antitesi fra umanità, a questo manicheismo fra bianco e nero, la strada è eliminare ogni riferimento contingente, spogliare tutto e affidarsi davvero alla musica. Niente più divise, niente più buoni e cattivi, niente più armi e oppressi. La drammaturgia cessa di essere un peplum antico o moderno, superficiale ma rassicurante, e diventa una dimensione interiore: tutta la contrapposizione fra Ebrei e Babilonesi, fra Jeovah e Belo, fra fede e obiettività, viene ricondotta in contemporanea all’interno delle singole persone che abitano il palcoscenico. Il dissidio, la paura del diverso, l’antitesi non opprimono più genericamente un “popolo”, ma l’individuo: buoni e cattivi sono la stessa persona in punti diversi del suo percorso, oppure anche in attimi ravvicinati in maniera scissa, forse schizofrenica, a mostrare che bene e male sono in ogni uomo e i popoli sono tutti uguali. Sul palcoscenico, sopra alle teste, riflessa e immobile, pende semplicemente l’anima nuda e silente di ognuno dei personaggi.
Uno spettacolo quindi né moderno né convenzionale, ma “antico”, privo di “effetti” e di piccole astuzie, ricco invece di piccoli simboli come una sorta di strumento ottico, affinché chi vede ed ascolta, veda ed ascolti la storia della propria anima, nel miserere della civiltà delle parole e delle immagini sprecate, dove Eros si crede libero e Thanatos rimosso.