Il Matrimonio segreto si rivela a Rovigo, poi sarà a Ravenna

Stagione Lirica Teatro Sociale

mercoledì 13 novembre 2013 ore 16.00 teatroragazzi

venerdì 15 novembre 2013 ore 20.30 turno A

domenica 17 novembre 2013 ore 16.00 turno B

Il Matrimonio segreto

dramma giocoso in due atti

musica di Domenico Cimarosa

libretto di Giovanni Bertati

Personaggi Interpreti

Signor Geronimo Fabrizio Beggi

Elisetta Giulia Semenzato

Carolina Dorela Cela

Fidalma Loriana Castellano

Conte Robinson Andrea Zaupa

Paolino Filippo Adami

Maestro concertatore

e direttore d’orchestra Damiano Binetti

Regia Italo Nunziata

Scene e costumi Pasquale Grossi

Light designer Patrick Latronica

Orchestra Regionale Filarmonia Veneta

Coproduzione del Teatro Sociale di Rovigo, del Teatro Comunale di Ferrara e del Teatro Comunale di Treviso Mario del Monaco Concorso Toti Dal Monte edizione 2012

La Stagione Lirica e di Balletto del Teatro Sociale di Rovigo prosegue con

“Matrimonio Segreto”, di Domenico Cimarosa, in scena venerdì 15 novembre alle 20.30 e in replica domenica 17 novembre alle 16.

La prima rappresentazione risale al 7 febbraio 1792 al Teatro di Corte di Vienna.

L’opera verrà presentata giovedì 14 novembre alle 18 in Accademia dei Concordi, a cura dell’Associazione Amici del Teatro Sociale di Rovigo “Miranda Bergamo Berton”.

Relatore Sergio Garbato

Felicità e Commedia

nel Matrimonio segreto

di Sergio Garbato

Les jours de bonheur, vous préfèrerez Cimarosa; dans les moments de tristesse, Mozart aura l’avantage.

Stendhal

Quando, la sera del 7 febbraio 1792, all’Hofoper di Vienna, andò trionfalmente in scena Il Matrimonio segreto, Mozart era già morto sia pure da appena due mesi e l’opera comica italiana aveva ormai esaurito la sua eccezionale vitalità.

Il «Matrimonio segreto», dunque, arrivava a giochi fatti, nel momento in cui restava posto solo all’epigonismo

e allo stanco perdurare di moduli e schemi fin troppo collaudati. Era il frutto tardivo di una stagione lentamente consumata nel serrato avvicendarsi di titoli e nomi che, nel volgere degli anni, avevano segnato il trionfo europeo di un genere. Un genere che, peraltro, era stato già trasformato, visto che Mozart aveva felicemente trasceso ogni dato iniziale, facendo imboccare alla commedia buffa la strada tanto più ardua dell’ approfondimento psicologico e drammatico, rimandando, nella inquietante densità di significati, a più complessi e rivelatori rapporti con la realtà.

Il miracolo del Matrimonio segreto è proprio la sua capacità di tener conto e ignorare al tempo stesso questi fatti, compendiando così la parabola di un secolo e perpetuandone gusto e stile, ma anche caricandosi impercettibilmente delle luci sinistre del suo tramonto.

Una purezza che non viene mai incrinata dall’imitazione o dalla preveggenza.

Questo forse perchè Il Matrimonio segreto nasceva proprio quando la Rivoluzione francese metteva tutto in discussione e le corti d’Europa si attardavano a rimpiangere un tempo che mai più avrebbe potuto essere «ritrovato».

In questa prospettiva, il capolavoro di Cimarosa assumeanche, ma dall’esterno, un valore emblematico.

Quel soffermarsi, per un momento, al di là della storia, a riguardare indietro, con la coscienza però che quella pausa è già essa stessa illusione. Si risistemano in questo modo le irrinunciabili tessere di un difficile mosaico, prescindendo dalle occasioni e dalla quotidianità, ritrovando nella perfezione del capolavoro tutto il senso e il percorso dell’opera comica settecentesca. Senza però forzare verso nuove direzioni e neppure aggiungendo postumi significati, al punto, insomma, che Il Matrimonio segreto è l’elegante rappresentazione dello stile di tutto un secolo, l’approdo ultimo di una vicenda musicale che qui trova la sua assolutezza.

Ce lo assicura, più ancora della attenta ammirazione di Goethe, l’estrema suggestione stendhaliana, che fu una vera e propria iniziazione alla musica: «La musica mi è piaciuta per la prima volta a Novara, qualche giorno prima della battaglia di Marengo. Andai a teatro, davano Il Matrimonio segreto». Scoperta fatale che segnò, lo possiamo dire, tutto un destino umano e letterario. E ancora la felicità della scoperta di Stendhal è il ponte che mancava per congiungere l’inquieto tramonto del secolo con i fermenti romantici già dietro alla porta: «Credo ch’e l amor mio per Cimarosa vienne di ciò ch’elli fa nascere delle sensationi pareilles a quello che desidero di far nascere un giorno.

Quel misto d’allegria e di tenerezza del Matrimonio è affatto congeniale con me» (osservazioni scritte in un italiano un po’ balordo e sgrammaticato in una pagina di diario del 30 settembre 1812 a Mosca). L’origine del soggetto, così come le varie elaborazioni che seguirono, denuncia, oltre all’indubbio cosmopolitismo (al punto che il libretto non ebbe mai bisogno di particolari adattamenti con la diffusione europea dell’opera), la tensione verso la sintesi e il superamento degli sparsi e contraddittori frammenti del gusto settecentesco.

Si tratta del Marriage à la mode, sulfureo e straordinario ciclo pittorico, sei stampe e sei dipinti, eseguito intorno al 1745 dal grande William Hogart (allo stesso artista si richiameranno, due secoli più tardi, Auden e Strawinskij per The Rake’s Progress). Ciclo che, nel presentare le tristi conseguenze di un matrimonio di interesse, aveva ispirato, oltre a un anonimo poemetto e un romanzo politico (The Marriage Act del 1754 di John Shebbeare), la brillante e celebrata commedia di David Garrick e George Colman senior, The Clandestine Marriage (1766), nel cui prologo si rende omaggio, appunto, al pittore.

La fortunata commedia di Garrick e Colman sr. Trovò derivazioni in Francia e altrove, finendo per diventare

Sophie ou le mariage caché (1768) di Marie Jeanne Laboras de Mezières meglio nota come Madame Riccoboni e, successivamente, ventidue anni dopo, Le mariage clandestin di J. A. Pierre vicomte de Ségur.

Da questi tre lavori teatrali (ma la fonte diretta è molto probabilmente l’ultimo), Giovanni Bertati desunse il libretto per Cimarosa. Se, a tutta prima, il soggetto, nel Matrimonio segreto, appare piuttosto edulcorato rispetto alle sue origini figurative, va anche detto che le tinte rosee non attenuano del tutto la luce del lontano modello. Ma, piuttosto che il tema del matrimonio clandestino o alla moda, Bertati coglie l’indubbia teatralità di rappresentare, assieme alla vicenda che non può che essere commedia, un ambiente, un gusto, un atteggiamento. E, in questo senso, è particolarmente puntuale l’osservazione di Francesco Degrada che «nella storia della librettistica settecentesca, questa reticolare interconnessione tra le singole opere drammatiche, e il loro stretto rapporto con il teatro di prosa e con le vicende della cultura del tempo, ampiamente intesa, produce intorno ad un determinato nucleo drammatico una stratificazione di motivi, una ricchezza di contenuti che la musica ha buon gioco a rilevare». Al punto, nel caso del Matrimonio segreto, che il soggetto e la sua affermazione finiscono per essere dimenticati e condensati, sublimati, nell’opera, quasi fossero nati con e per essa.

Nessun intendimento, naturalmente, in Bertati e in Cimarosa, di compendiare, attraverso un soggetto e la sua traduzione in lavoro drammatico e musicale, una vicenda che aveva trovato più di un riscontro, e tanto meno il proprio tempo o un atteggiamento morale. Ma il risultato è poi quello, grazie, forse e paradossalmente, a una sorta di amoralità nel trattamento, proprio sulla soglia ultima del secolo rappresentato.

Così, Il Matrimonio segreto resta, in definitiva, lavoro autonomo da quello che lo muove e che rappresenta, miracolo di equilibrio e poesia, di sentimento e cinismo.

Il librettista, Giovanni Bertati, veneziano di terra ferma, alternativa a Da Ponte, poeta cesareo nella corte che già aveva ospitato Metastasio, consegna, con Il Matrimonio segreto, il suo capolavoro letterario (eppure con Cimarosa aveva già collaborato in più di una occasione Il capriccio drammatico nel 1781, Gli amanti alla prova nel 1786 e, in seguito, Amor rende sagace nel 1793).

Capolavoro, si badi, non tanto di finezza linguistica e letteraria, quanto di totale disponibilità a essere messo in musica, già rivelando un possibile (ed effettivo) rapporto con il secolo seguente.

Così, nella costruzione di una commedia di modi indubitabilmente settecenteschi, già si indovinano termini diversi e anticipatori, che verranno ripresi negli anni a venire. «Costanti stilistiche – scrive Franca Cella-modulano con misura i vezzi del Settecento e li rendono accettabili all’Ottocento, anzi ricorrenti, senza più altro riferimento che quello musicabile».

Quelle nozze, celebrate già prima dell’apertura del sipario, danno un taglio diverso alla situazione, addirittura la determinano, spostando l’interesse dal matrimonio, che dovrebbe alla fine coronare le ansie degli innamorati, agli espedienti per poterlo esplicitare e farlo diventare socialmente reale. Da qui, i contrasti e i molti equivoci.

Il dato fondamentale diventa allora l’ignoranza da parte di tutti di quel matrimonio già avvenuto.

Ecco che, all’interno della commedia, ogni fatto e ogni sentimento si spostano dal proprio centro verso altre direzioni: il conte Robinson non vuole più sposare Elisetta, ma Carolina che crede libera; Fidalma moltiplica le sue attenzioni per Paolino e comincia a far progetti; Elisetta vuole invece togliere di mezzo la sorella presunta rivale; e ancora Geronimo ha modo di lusingare con altri calcoli la propria avarizia. Insomma, proprio a causa dell’ignoranza del dato iniziale, ogni cosa viene interpretata e spinta diversamente dal suo reale consistere. Per un attimo si dà libero accesso all’irrompere della vita, come se niente fosse successo, come se i giochi non fossero già fatti, lasciando che le possibilità si moltiplichino, le direzioni divergano, mentre il destino scopre una nuova disponibilità.

Non è soltanto l’elegante e settecentesca commedia degli equivoci, anche se il modo di proporsi non è poi mutato, prospettandosi addirittura non dissimile, non fosse che si svolge fra quattro pareti, dal romanzo inglese del tempo che, per altri versi, aveva caratterizzato il secolo.

È lo spirito che cambia. Nel Matrimonio segreto, infatti, traversie ed equivoci servono soprattutto a  illuminare caratteri e psicologie, a dare maggior vigore, almeno per quanto riguarda i protagonisti, alla “comédie larmoyante” che si avvia verso la sua definitiva acquisizione borghese.

Colpisce soprattutto la gratuità dell’azione, visto che le nozze già avvenute non si potranno certo cancellare e comunque verranno a galla, prima o poi, per far rientrare la realtà nei suoi previsti binari. E ancora, i pretesti e gli equivoci, le traversie e le incomprensioni non sono, come in Mozart e Da Ponte, modi di rimandare a una complessità di sentimenti che ripropone le profondità dell’essere. In Cimarosa e Bertati, invece, il cuore non ha misteri, tutto è abbastanza prevedibile, la leggerezza degli intenti e dei colori dà alle cose un anormale sorriso, scioglie tutto nella delicatezza di un acquerello. L’opera vuole essere immediatamente e completamente fruibile: un pretesto per la musica.

In altri tempi, si è voluto insistere su uno stretto rapporto tra Il Matrimonio segreto e una presunta matrice mozartiana, quasi uno scambio fra i due. Ed è indubitabile che qualcosa ci sia stato (Mozart aveva composto l’aria per soprano «Alma grande e nobil core» da inserire ne I due baroni di Rocca Azzurra del 1789; Cimarosa, dal canto suo, aveva inserito nel Matrimonio segreto il rondò «Al desio di chi t’adora» che Mozart aveva aggiunto alle Nozze di Figaro, per non dire della citazione, nell’ouverture, dei tre famigerati accordi del Flauto magico), anche se poi non risulta che Cimarosa, durante il suo primo soggiorno viennese del 1787, abbia assistito alla rappresentazione delle Nozze di Figaro e del Don Giovanni. Già Eduard Hanslick aveva indicato i termini corretti di un rapporto: «Per quanto poco il Figaro di Mozart e il Matrimonio segreto di Cimarosa derivano l’uno dall’altro, tuttavia fra loro vi è una sorta di matrimonio segreto» e meglio ancora, in tempi più recenti, il citato Francesco Degrada, dopo aver rilevato che «Il Matrimonio segreto rivela insieme a innegabili punti di contatto stridenti estraneità rispetto alla matrice mozartiana», osservava che la diversità consiste soprattutto nel fatto che «la musica di Cimarosa e segnatamente nel Matrimonio segreto, sembra scoraggiare ogni sguardo che oltrepassi la puntuale empiria delle situazioni consegnate dal libretto; essa apre un mondo di pura, dolcissima euritmia per chiuderlo immediatamente nel cerchio magico del suo incanto».

È proprio la qualità particolare della musica cimarosiana che dà al Matrimonio segreto quella invincibile attitudine verso un sentimentalismo sostanziale e tangibile (una qualità fisica), quello stesso che l’indispensabile Stendhal colse immediatamente e pose come esperienza fondamentale per la musica del suo e di ogni tempo.

Tanto più che Cimarosa, sicuramente il maggiore rappresentante dell’opera buffa napoletana della seconda metà del Settecento, rappresenta l’anello mancante tra Mozart e Rossini. E in filigrana già si può cogliere non poco della Cenerentola del pesarese, che sarebbe arrivata venticinque anni dopo: la famiglia incoerente, personaggi come Dandini (che ritrova, pari pari, in «E adesso e adesso prendo fiato», una frase del conte cimarosiano «E rimango dolente e sconsolato») e Don Magnifico e le due sorelle, il gusto per le onomatopee che sono poi una autentica fuga dalla realtà e un sintomo di quella follia che caratterizzerà l’opera rossiniana. Nel Matrimonio segreto, però, la musica volteggia anche pericolosamente, ma non esce mai dalla strada tracciata, perché i personaggi sanno benissimo che non possono scavalcare i limiti dell’azione e del ruolo che è stato loro assegnato.

Alla fine, infatti, si deve ristabilire quell’ordine che era stato provvisoriamente spezzato con una serie di colpi di scena che avevano spinto la situazione di ogni personaggio verso il parossismo.

A ben guardare, molto si gioca sulla tradizionale simmetria dell’insieme: sei personaggi equamente suddivisi in tre uomini e tre donne e secondo due fasce d’età che coincidono con le voci gravi (i vecchi Geronimo,

Fidalma e il Conte Robinson) e quelle più acute (i giovani Paolino, Carolina ed Elisetta). Ecco, dunque, il basso comico Geronimo che una mezza sordità rincitrullisce e che ripropone il vecchio beffato della Commedia dell’arte e della tradizione dell’opera buffa napoletana, ma anche veneziana; gli fanno riscontro la sorella Fidalma, contralto, vedova che smania di risposarsi e il Conte Robinson, basso, l’aristocratico squattrinato rappresentante di una aristocrazia in declino, che la Rivoluzione francese stava cancellando dalla storia e che, con Geronimo, nell’irresistibile duetto comico «Se fiato in corpo avete», sembra presagire una celebre pagina del donizettiano Don Pasquale. Ma ecco, anche, il tenore Paolino, il classico giovane amoroso, velleitario e smarrito, non diversamente dal Don Ottavio mozartiano, tormentato dalla clandestinità del suo matrimonio e al tempo stesso dai pericolosi approcci del Conte verso la sua segreta sposa, così che la sua aria «Prima che spunti in ciel l’aurora» si può intendere come un malizioso anticipo del romanticismo donizettiano e più ancora del belcanto rossiniano; è però Carolina, soprano e figlia minore di Geronimo, l’eroina incontrastata dell’opera, già prefigurando la Cenerentola rossiniana che con lei condividerà l’acuta sensibilità e la nobiltà dei sentimenti, che traspaiono nella grande e perfetta aria «Perdonate, signor mio» e ancora nel magnifico e patetico recitativo che sottilmente si trasforma in un’aria «Misera!… In qual contrasto»; infine, Elisetta, soprano, sorella maggiore di Carolina, mossa da una acredine e da una fatuità che diventano vera durezza di cuore che non esita a consigliare per Carolina la strada del convento.

Agli spunti del soggetto e del libretto Cimarosa ha saputo, ogni volta, far corrispondere situazioni musicali adeguate e caratterizzanti, tutto costruendo su una libera invenzione melodica, che finisce per creare nuovi riscontri e una più sottile trama strutturale.

«La melodia ha le sue esigenze di forma, – scrive Paolo Gallarati – si estende in ampie simmetrie, raggiunge la quadratura attraverso ordinate ripetizioni, clausole, ampie spaziature interne. Difficile utilizzarla per seguire l’incalzare di un’azione in chiave realistica…

Quella di Cimarosa è una cantabilità che non rinuncia mai ad espandersi in lunghezza, circolando tra le voci e l’orchestra in dolci, meravigliosi arabeschi. Risultato: il dramma rallenta il suo passo, il canto si abbandona a fluviali ripetizioni di parole, già ridotte al minimo da Mozart, per dar modo alla melodia di avvolgere tutto nelle sue ideali corrispondenze».

La spontaneità e la assoluta libertà creativa, eredità naturale dell’opera buffa napoletana, qui diventano inesauribile ricchezza melodica, che dà sobrio colore alle emozioni, sfumando continuamente dal comico al patetico e viceversa, tratteggiando con finezza le psicologie. Ogni convenzionalità viene bandita nell’invenzione, nel gioco di rispondenze, riportandoci soprattutto il ritratto di un mondo sentimentale, in cui gli affetti non si incrinano che per un momento. È fin troppo facile, allora, parlare di grazia, eleganza, fresco languore. Tutte caratteristiche, è vero, che furono proprie di Cimarosa e che certo non mancano nel Matrimonio segreto, ma che vengono immerse in una costruzione di grande sapienza compositiva e di attenta libertà formale, dove la sensibilità timbrica fa la sua parte.

«Nell’incontro dialogante fra i caratteri onde scaturiscono le scene d’assieme – ha notato Teodoro Celli – in cui è miracolo l’unità pur nella continua specificazione delle persone, riconosciamo il più grande valore del Matrimonio. Ma su tanta giocondità di commedia, trema il melanconico palpito degli sposi segreti, quell’accento patetico che fa di Carolina e Paolino persone presaghe dell’imminente stagione romantica. Ascoltate Paolino nell’ultimo atto proporre alla sua donna di fuggire, con la frase carezzevole e struggente: “Pria che spunti in ciel l’aurora…”: riconoscerete nella sua la voce di tanti personaggi che il successivo melodramma ci donerà, via via nel secolo seguente, fino a chiudersi con l’incantevole amore degli adolescenti Fenton e Nannetta del Falstaff verdiano».

Ma probabilmente, Il Matrimonio segreto va visto e gustato al di là delle sue implicazioni, nella sola luce della poesia. Prova ne sia il successo che sempre l’ha accompagnato, fin da quella sera del suo debutto a Vienna, quando l’imperatore Leopoldo II, alla fine della recita, chiese subito una replica immediata.