Die Zauberflöte in Teatro, Tv, Radio e Cinema

Di Wolfgang Amadeus Mozart

Quinto appuntamento del ciclo

“Prima delle prime”

Stagione 2010/2011 – organizzato dagli Amici della Scala

di Wolfgang Amadeus Mozart

libretto di Emanuel Schikaneder

TEATRO ALLA SCALA
RIDOTTO DEI PALCHI “A. TOSCANINI”
MERCOLEDI’ 16 MARZO 2011 ORE 18.00

1791. È l’ultimo anno di vita di Mozart. Anno denso di composizioni importanti (Clemenza di Tito, Concerto per clarinetto, Requiem) tra cui il Singspiel Die Zauberflöte per il teatrino popolare di Emanuel Schikaneder (Theater auf der Wieden) a Vienna. Ultima opera rappresentata da Mozart, non sembrerebbe il suo messaggio al futuro. Eppure la fiaba scritta dall’eclettico teatrante scrittore Schikaneder, ricca di sorprese e scatti di divertimento, offre un modello di vita ai giovani, attraverso le idee e i simboli di una cerchia illuminata, massonica, a cui entrambi gli autori appartenevano.
Rappresenta la storia di un principe predestinato che deve conquistare la purezza iniziatica fra pericoli e prove, e fondare il mondo nuovo con la fanciulla regale che gli è destinata. Due mondi opposti si affrontano. Le Tenebre, con la sua magica Regina della Notte, madre della fanciulla Pamina, dominatrice e ambigua, pronta a offrire il ritratto che innamora o il pugnale crudele di vendetta, ammaliante con le sue fioriture di sopracuti stellari. La Luce del Tempio, con la solennità grave, ma rasserenante, della musica rituale, degli Iniziati, di Sarastro che è loro guida severa, ma anche comprensivo come un padre per la fanciulla, che ha sottratto alla madre per destinarla alla missione della giovane coppia. È magia ed è percorso verso la verità; il prodigioso chiama suoni e piccoli personaggi di incanto, e quando il viaggio rituale rischia colori cupi o seriosi, ecco il controcanto buffonesco dell’uccellatore Papageno, l’uomo comune, con le sue spregiudicate, gioiose, ma anche sofferte avventure.
Il segno di Mozart è la leggerezza trasparente: in ogni episodio sentiamo l’invenzione sorgiva, fanciullesca del motivo musicale, e penetriamo, quasi attraverso dissolvenze, nell’emozione, nel sentimento che nasce, si dichiara. Può essere il palpito del riconoscersi come quando i due giovani si vedono la prima volta, le lagrime di Pamina di fronte al silenzio (obbligato) dell’amato; lo struggimento del Terzetto del commiato prima del viaggio o invece la gioia di Tamino quando ode la voce di lei che sta per raggiungerlo per affrontare assieme le prove, e la felicità fervida, pulsante
del duetto per superare e costruire assieme. Varietà prodigiosa di fantasia e di profonde, delicate intensità nel susseguirsi degli episodi. Ma con la stessa mano di leggerezza e trasparenza Mozart predispone e lega tutto in armoniosa linea unitaria.

(testo di F.C.)

Ne parlerà Elisabetta Fava, ricercatrice di storia della musica presso l’Università degli studi di Torino, nell’incontro “Luci di una farsa fiabesca” al pianoforte e con ascolti.

Ingresso libero fino a esaurimento dei posti

20, 22, 24, 26, 30 marzo 2011
1, 3 aprile 2011

DIE ZAUBERFLÖTE

(Il flauto magico)

Wolfgang Amadeus Mozart

opera in due atti

libretto di Emanuel Schikaneder

(Proprietà Fondazione Teatro alla Scala)

Prima rappresentazione: Theater auf der Wieden, Vienna, 30 settembre 1791

Nuovo allestimento

Direttore

Regia WILLIAM

Scene William Kentridge e Sabine Theunissen

ROLAND BÖER

KENTRIDGE

Costumi Greta Goiris

Coreografia Jenifer Tipton

Video Catherine Meyburgh

Produzione Théâtre Royal del la Monnaie di Bruxelles,
Teatro di San Carlo di Napoli, Opéra de Lille, Théatre de Caen

Prezzi: da 187 a 12 euro

Infotel 02 72 00 37 44

Sarastro / Tamino  Günther Groissböck, Saimir Pirgu (20, 24, 30 marzo; 3 aprile) / Steve Davislim (22, 26 marzo; 1 aprile)

Sprecher / I Priester (Oratore / I Sacerdote)   Detlef Roth

II Priester (II Sacerdote) Roman Sadnik

Königin der Nacht (Regina della notte)    Albina Shagimuratova

Pamina      Genia Kühmeier

I Dame (I Dama)  Aga Mikolaj

II Dame (II Dama)  Heike Grötzinger

III Dame (III Dama)  Maria Radner

Papagena  Ailish Tynan

Papageno  Alex Esposito

Monostatos  Peter Bronder

I Geharnischter Mann (I Armigiero)  Roman Sadnik

II Geharnischter Mann (II Armigiero)  Simon Lim

teatroallascala.org

Günther Groissböck, Saimir Pirgu (20, 24, 30 marzo; 3 aprile) / Steve Davislim (22, 26 marzo; 1 aprile)
Detlef Roth

Roman Sadnik

Albina Shagimuratova

Genia Kühmeier
Aga Mikolaj

Heike Grötzinger

Maria Radner

Ailish Tynan
Alex Esposito
Peter Bronder
Roman Sadnik

Simon Lim

Date

domenica 20 marzo 2011 ore 20 ~ prima rappresentazione

martedì 22 marzo 2011 ore 20 ~ fuori abbonamento

giovedì 24 marzo 2011 ore 20 ~ turno M

sabato 26 marzo 2011 ore 20 ~ fuori abbonamento

mercoledì 30 marzo 2011 ore 20 ~ turno O

venerdì 1 aprile 2011 ore 20 ~ turno N

sabato 2 aprile 2011 ore 20 ~ turno G, OperaUNDER30

La Scala nel mondo

Televisione

dal vivo il 20 marzo su Rai 5

Date

domenica 20 marzo 2011 ore 20 ~ prima rappresentazione

martedì 22 marzo 2011 ore 20 ~ fuori abbonamento

giovedì 24 marzo 2011 ore 20 ~ turno M

sabato 26 marzo 2011 ore 20 ~ fuori abbonamento

mercoledì 30 marzo 2011 ore 20 ~ turno O

venerdì 1 aprile 2011 ore 20 ~ turno N

sabato 2 aprile 2011 ore 20 ~ turno G, OperaUNDER30

La Scala nel mondo

Televisione

dal vivo il 20 marzo su Rai 5

Radio

dal vivo il 24 marzo su Radio Rai 3

Cinema

dal vivo il 24 marzo e in differita in 380 sale digitali nel mondo, in Italia 61 sale

vedi microcinema.eu

Europa, 175 sale

Stati Uniti, 144 sale

vedi www.emergingpictures.com

Elenco in costante aggiornamento

L’OPERA IN BREVE

di Cesare Fertonani

dal programma di sala del Teatro alla Scala

Al di sotto della superficie fiabesca che ne occupa lo strato più accessibile e al di là del messaggio ultimo che la qualifica in modo inequivocabile come coronamento del pensiero illuministico in musica, «Die Strahlen der Sonne vertreiben die Nacht» [«I raggi del sole dissipano la notte»], Die Zauberflöte continua ad apparirci opera enigmatica per eccellenza. Enigmatica perché allegorica, allusiva ed elusiva in un gioco di livelli e rimandi di significazione di cui sembra di non riuscire mai a render ragione senza residui. Né può essere altrimenti se si considera che le notizie documentate sulla sua genesi sono rimaste piuttosto frammentarie alimentando il proliferare di leggende e dicerie; che la storia della critica e della recezione ha conosciuto controversie pressoché infinite non soltanto sui significati ma sulla qualità stessa dell’opera (del libretto, se non della musica); e che, infine, la pluralità dei piani e delle chiavi di lettura consente di moltiplicare gli approcci interpretativi pressoché all’infinito. In breve, tutto ciò ha accresciuto l’aura affascinante di un’opera unica e complessa come soltanto Mozart nel suo ultimo anno di vita poté concepire.
Die Zauberflöte è definita nel catalogo autografo, alla data del luglio 1791, «Eine teutsche Oper in 2 Aufzügen» [«Un’opera tedesca in 2 atti»], laddove peraltro la dicitura non dice molto di più della lingua del testo – sin da Die Entführung aus dem Serail [Il ratto dal serraglio] (1782) Mozart aveva manifestato il suo entusiasmo per il consolidarsi di un teatro musicale tedesco – e del riferimento formale, quello del Singspiel, in cui numeri musicali si alternano a parti recitate. L’opera nacque dal rapporto di amicizia di Mozart con l’attore Emanuel Schikaneder (1751-1812),
che dal 1789 era impresario del Freihaus-Theater auf der Wieden. È probabile che Mozart e Schikaneder, autore anche del libretto, abbiano incominciato a lavorare al progetto sin dall’autunno del 1790. Mozart compose quasi tutta la partitura (a eccezione dell’Ouverture e della Marcia dei sacerdoti) nella prima metà del 1791, giacché in luglio
e agosto fu occupato con la commissione imperiale della Clemenza di Tito.
Sostanziata dal pensiero illuministico e in particolare dagli ideali utopici di rigenerazione – morale, politica e sociale – della massoneria, cui Mozart e Schikaneder appartenevano entrambi, l’opera s’avvale di un libretto frutto della rielaborazione di diverse fonti. La principale è data dalle fiabe del Dschinnistan raccolte da Christoph Martin Wieland (1786-89), specie quella intitolata Lulu, oder die Zauberflöte [Lulu, o Il flauto magico] di August Jakob Liebeskind; sempre da Wieland e da Sophie Friederike Hensel era stato tratto il soggetto del Singspiel Oberon, König der Elfen [Oberon, re degli Elfi] di Karl Ludwig Giesecke e Paul Wranitzky, rappresentato da Schikaneder nel 1789. L’ambientazione egizia e l’apporto di idee massoniche derivano invece
essenzialmente dal saggio Über die Mysterien der Ägypter [I misteri degli Egizi] di Ignaz von Born (1784), dal dramma Thamos, König in Ägypten [Thamos, re d’Egitto] di Tobias Philipp von Gebler (1774) per il quale Mozart aveva scritto delle musiche di scena nel 1779, e dal romanzo Séthos (1731) di Jean Terrasson nella traduzione di Matthias Claudius (1777-78).
Die Zauberflöte può essere vista anzitutto come la rappresentazione di un rituale di iniziazione massonica nel quale s’invera l’affermazione di nuovi valori universali.
Nell’allegoria e nelle simmetrie di simbolismi che contrappongono il freddo oscurantismo (il male) del regno della Regina della Notte alla calda luce della ragione (il bene) del regno di Sarastro s’inscrive il percorso che conduce, attraverso una serie di prove, la coppia di eletti Tamino e Pamina alla conquista di una superiore dimensione
etica e spirituale nel segno dell’amore inteso come consapevole, suprema realizzazione dell’armonia nel mondo degli uomini. Dimensione, questa, alla quale fa riscontro quella inferiore e complementare impersonata dalla naturale, inconsapevole semplicità di Papageno, che alla fine riceverà comunque in premio la sua Papagena. Sulla base
della popolare Zauberoper, connotata dalla compresenza del meraviglioso e dello spettacolare, del comico e del sentimentale, Mozart, che intervenne in misura cospicua sul libretto di Schikaneder nel corso della composizione, innestò un’interpretazione musicale tale da trascendere ogni tradizione e convenzione. Nel segno di una
drammaturgia shakespeariana coesistono e interagiscono, come elementi organici di uno stesso mondo fantastico, il serio e il comico, il sublime e il triviale, la solennità del rito iniziatico e la banalità della vita quotidiana. Per questa geniale sintesi di arte ‘alta’ e arte ‘bassa’ Mozart ricorre a un gamma, inaudita per ampiezza e varietà, di registri
stilistici e di idiomi espressivi, sulla linea del nuovo teatro musicale sviluppato con Die Entführung aus dem Serail e poi, soprattutto, con la trilogia di opere su testo di Da Ponte: gamma riconducibile di volta in volta al Singspiel, all’opera seria o a quella comica italiana, alla tragedia gluckiana, alla riscoperta del contrappunto, alla musica
massonica e il cui collante è costituito dall’autonomia significativa e dalla pregnanza drammatica del linguaggio strumentale.
Dalla prima rappresentazione il 30 settembre 1791, cui presero parte nei diversi ruoli virtuosi come Josepha Hofer (Regina della Notte) e attori-cantanti come lo stesso Schikaneder (Papageno), il successo andò via via crescendo per assumere ben presto respiro planetario.

IL SOGGETTO

dal programma di sala del Teatro alla Scala L’azione si svolge in un antico Egitto immaginario.
Atto I
Paesaggio montuoso, sullo sfondo un tempio.
Tamino, vestito da cacciatore, entra in scena inseguito da un serpente. Sopraffatto dall’emozione, cade svenuto. Le porte del tempio si aprono ed escono tre damigelle che, ucciso il serpente, ammirano il volto del giovane e in fretta si allontanano per avvertire la Regina della Notte. Tamino, ripresi i sensi e visto il serpente morto, si stupisce e
crede di dovere la sua salvezza a uno strano personaggio appena comparso: è Papageno, un uccellatore vagabondo vestito di piume, che suona un piccolo flauto. Papageno non smentisce, ma è subito punito per la menzogna dalle tre damigelle ricomparse, che gli chiudono la bocca con un lucchetto d’oro. Intanto le fanciulle mostrano a Tamino il
ritratto della figlia della Regina della Notte: la bellezza della giovane infiamma il suo cuore. Ma la fanciulla è stata rapita dal malvagio Sarastro; e Tamino, ormai conquistato dalla sua avvenenza, si offre di salvarla. Le damigelle allora porgono a Tamino un flauto d’oro, dotato di poteri magici, liberano Papageno dal lucchetto e gli ingiungono
di seguire Tamino fino al castello di Sarastro; anche a lui consegnano uno strumento magico, un carillon.

Sala nel palazzo di Sarastro.
Pamina ha tentato di fuggire per sottrarsi alle insistenze di Monostatos, ma è stata ripresa da costui e ora viene ricondotta con la forza nel palazzo. Monostatos vede Papageno, si spaventa e fugge; così Papageno può avvicinare Pamina, rivelarle di essere stato mandato dalla madre di lei, con un giovane principe, per liberarla. I due fuggono.

Un bosco.

Entra Tamino guidato da tre geni. Si vede il tempio di Iside: due porte sono chiuse, quella della Ragione e quella della Natura; un’altra, quella della Sapienza, si apre e un sacerdote spiega a Tamino che Sarastro non è uno stregone crudele e che è stato indotto per giusti motivi a sottrarre Pamina all’influenza della madre. Lo rassicura comunque che la fanciulla è viva. Tamino e Papageno, che scorta Pamina, si cercano a lungo nel bosco, servendosi dei loro strumenti per farsi sentire, e il carillon si dimostra utilissimo per mettere in fuga Monostatos e i suoi uomini che stanno per catturare Papageno e Pamina. Compare Sarastro: Pamina chiede perdono della fuga e ne spiega i motivi. Sarastro si dichiara pronto a concederla in sposa a un cavaliere degno di lei, ma non potrà mai lasciarla tornare dalla madre. Tamino viene trascinato in scena da Monostatos; i due giovani, che non si sono ancora mai visti, si gettano l’uno tra
le braccia dell’altro, mentre Monostatos, che ha chiesto una ricompensa per il suo operato, viene punito.

Atto II

Bosco di palme con architetture.
Sarastro si rivolge ai suoi sacerdoti perché si prendano cura di Tamino desideroso di affrontare le prove che gli verranno assegnate per entrare a far parte della schiera degli iniziati e per sposare Pamina.

Atrio del tempio.

Tamino e Papageno incappucciati si preparano, saldo nel suo proposito il primo, colto da improvvisi terrori il secondo. La prima prova che li aspetta è il silenzio. Rimasti soli, i due sono avvicinati dalle tre damigelle della Regina della Notte che cercano in ogni modo di dissuaderli dall’impresa,ma invano.

Un boschetto.

Monostatos si avvicina furtivamente a Pamina addormentata e cerca di baciarla.
Sopraggiunge la Regina della Notte a proteggere la figlia che si getta nelle sua braccia felice, cercando consolazione per quello che lei crede l’abbandono di Tamino, tutto preso dalle sue pratiche d’iniziazione. La Regina della Notte affida alla figlia un pugnale per uccidere Sarastro, ma Monostatos, che tutto ha sentito, minaccia di rivelare l’intrigo. Sopraggiunge Sarastro, che caccia Monostatos e rassicura la fanciulla dicendo che non la vendetta, ma l’amore, conduce alla felicità.

Atrio del tempio.
Tamino e Papageno continuano la loro prova. Compare una vecchia orrenda che dichiara di essere Papagena e si mette a parlare con Papageno, finché non scompare con grande fragore di tuoni. Nel cielo appare una tavola imbandita a cui i due iniziati possono rifocillarsi prima di continuare la prova. Richiamata dal flauto di Tamino, Pamina entra in scena, ma l’amato non può parlare ed ella, sconvolta, tenterà di uccidersi: la salveranno i tre geni rassicurandola sui sentimenti dell’innamorato. Ora Tamino deve superare altre prove: quella del fuoco e quella dell’acqua. Pamina ha
seguito l’innamorato e gli consiglia di suonare il flauto magico. Le prove sono così superate.

Un giardino.

Papageno si dispera perché per un attimo gli è apparsa Papagena, divenuta giovane e bella, ma subito è sparita. Il suono del carillon la farà ricomparire.

Paesaggio di rupi scoscese.

La Regina della Notte, con Monostatos e le tre damigelle, cerca di avvicinarsi nascostamente al tempio per introdursi e uccidere Sarastro. Ma la terra, scossa da un terremoto, si apre per inghiottirli.

Nel tempio del Sole.

Sarastro in trono, circondato dai sacerdoti, con Tamino e Pamina celebra la vittoria del Sole sulle Tenebre.

ROLAND BÖER – direttore

Ha studiato pianoforte, composizione e direzione d’orchestra. Dopo il suo primo incarico come maestro ripetitore all’Opera di Francoforte (1996-99), dal 1999 al 2001 ha lavorato alla Deutsche Oper am Rhein di Düsseldorf/Duisburg e, nello stesso periodo, è stato assistente di Antonio Pappano al Festival di Bayreuth, al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles e al Covent Garden di Londra. Dal 2002 al 2008 è stato Kapellmeister all’Opera di Francoforte, dove ha diretto non solo le maggiori opere di Mozart, Rossini, Verdi e Puccini, ma anche capolavori quali Chovanščina
di Musorgskij, una nuova produzione della Sposa venduta di Smetana, e Die Meistersinger von Nürnberg di Wagner. È stato poi nuovamente invitato dall’Opera di Francoforte, per la nuova produzione di Lucia di Lammermoor di Donizetti e per le riprese di Don Carlo di Verdi e di Arabella di R. Strauss.
Direttore d’orchestra di fama internazionale, lavora per il Théâtre de la Monnaie di Bruxelles, la Deutsche Oper di Berlino, l’Opera di Berna, il Covent Garden di Londra, la English National Opera (ENO), l’Opera Reale Svedese di Stoccolma e la Volksoper di Vienna. In ambito concertistico ha diretto la Rundfunkorchester des Bayerischen
Rundfunks, la Radiosinfonieorchester Frankfurt, la Filarmonica di Oslo, l’Orchestre Philharmonique de Luxembourg, la Scottish Chamber Orchestra, l’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia di Roma, la Bournemouth Symphony, la London Symphony Orchestra, l’Opera North Orchestra…
Ha registrato, in particolare, con la Philharmonic Orchestra di Londra e per la BBC Scottland.
Dal 2009 è Direttore Musicale del Cantiere Internazionale d’Arte Festival di Montepulciano, dove spazia dai concerti sinfonici a nuove produzioni operistiche (fondazionecantiere.it). In particolare, l’estate prossima, in occasione della 36° edizione del Festival, dirigerà una nuova produzione di Ariadne auf Naxos di R. Strauss e la Seconda Sinfonia di Mahler.
All’inizio della stagione 2010-11 ha riscosso grande successo con le nuove produzioni di Les contes d’Hoffmann di Offenbach (Opera di Francoforte) e Le nozze di Figaro di Mozart (Opera di Varsavia) e anche in occasione del suo debutto con la Liverpool Philharmonic Orchestra.

WILLIAM KENTRIDGE – regia e scene

Artista e regista nato a Johannesburg in Sud Africa. il suo lavoro fonde l’aspetto personale e quello dell’impegno politico mediante un uso innovativo del disegno a carboncino, del film d’animazione, della cinematografia e del teatro. Dopo aver partecipato a documenta X, mostra d’arte moderna e contemporanea che si svolge ogni cinque anni a Kassel (1997), diverse sue esposizioni personali sono state allestite in musei e gallerie di tutto il mondo. Nel 1998 una mostra antologica è stata ospitata al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, per poi proseguire in altri musei europei (1998-
99). Al 2001 risale un’altra antologica a Washington, e poi in diverse città degli Stati Uniti e del Sud Africa. Carolyn Christov-Bakargiev, nel gennaio 2004, ha curato presso il Castello di Rivoli di Torino una nuova mostra retrospettiva, che poi è stata presentata anche in altri musei in Europa, Canada,Australia e Sud Africa. Nel 2009 parte da San
Francisco una grande mostra itinerante, che tocca musei del Texas, della Florida, al MoMA di New York, prima di proseguire al Jeu de Paume di Parigi, all’Albertina Museum di Vienna, a Gerusalemme, Melbourne e Vancouver. Nello stesso anno espone anche in Giappone (Kyoto,Tokyo e Hiroshima).
Confessions of Zeno (ispirato alla Coscienza di Zeno di Svevo) è un multi-media shadow oratorio“ commissionato per documenta XI nel 2002. L’installazione 7 Fragments for Georges Méliès. Day for Night and Journey to the Moon è stata presentata alla Biennale di Venezia 2005.

Nell’aprile dello stesso anno firma la regia dell’allestimento di Die Zauberflöte di Mozart al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles, poi in tournée a New York, Napoli e Johannesburg. Nell’ottobre 2005 la Deutsche Bank Guggenheim di Berlino ha presentato Black Box/Chambre Noire, una pièce teatrale in miniatura con bambole meccaniche, proiezioni e musica originale di Philip Miller.
Il 2010 è segnato da un’importante mostra antologica al MoMA di New York e dalla messa in scena dell’opera Il naso di Šostakovič al Metropolitan di New York. Nel corso della preparazione dell’opera, ha realizzato disegni, film, bronzi, tappeti, acquaforti, una performance in collaborazione con il compositore François Sarhan dal titolo Telegrams from the Nose, e un monologo teatrale dal titolo I am not me, the horse is not mine. Il naso verrà presentatoa Aix-en-Provence (2011), a Lione (2012) e ripreso ancora al Metropolitan (2013).
Ha ricevuto lauree ad honorem da diverse università e istituti internazionali d’arte e riconoscimenti quali la Carnegie Medal (1999-2000), il Goslar Kaiserring (2003), l’Oskar Kokoschka Award (2008) e il Kyoto Prize for Lifetime Achievement in Arts and Philosophy (2010).

SABINE THEUNISSEN – scene

Ha compiuto gli studi all’Institut Supérieur d’Architecture de la Cambre a Bruxelles e alla Escuela Técnica Superior de Architectura a Siviglia (Programma Erasmus), laureandosi in architettura nel 1992.
Nel corso dello stage dell’ ‘Ordre des Architectes’ ha partecipato allo studio di fattibilità per la ristrutturazione del Teatro dell’Opera di Lille. Parallelamente ha intrapreso studi di pianoforte e d’arte drammatica. Per il Teatro alla Scala ha collaborato tra il 1992 e il 1994 come assistente scenografa alla realizzazione di Don Carlo di Verdi (Franco Zeffirelli), Don Giovanni di Mozart e Falstaff di Verdi (Giorgio Strehler ed Ezio Frigerio), Fedora di Giordano (Luisa Spinatelli) e Oberon di Weber (Luca Ronconi).
Dal 1995 lavora al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles come assistente scenografa. In particolare ha preso parte alle produzioni di Il turco in Italia di Rossini e La traviata di Verdi (Karl-Ernst Hermann), A King Riding (Anna Wiebrock), La Calisto di Cavalli e Pelléas et Mélisande di Debussy (Herbert Wernicke), Chovanščina di Musorgskij (Claire Obolensky), Prometeo et Alceste (Robert Wilson), Just Before (Anne Teresa De Keersmaeker e Jan Versweyveld), Il giro di vite di Britten (Stefanos Lazaridis), Otello di Verdi (John Macfarlane), Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Šostakovič (Benoît Dugardjin), La Cenerentola di Rossini (François Schuiten), Tosca di Puccini (Kaspar Glarner), L’enfant et les sortilèges e L’heure espagnole di Ravel, OEdipe sur la route di Henry Bauchan (Philippe Sireuil e Vincent Lemaire), The Woman Who Walked into Doors da Roddy Doyle (Guy Cassiers), La dannazione di Faust di Berlioz (Roland Aeschlimann), Il ritorno di Ulisse in patria di Monteverdi (William Kentridge), Sogno
d’una notte di mezza estate di Britten (David McVicar e Rae Smith) e Così fan tutte di Mozart (Vincent Boussard).
Nel 2000 ha ideato scene e costumi per La dispute di Marivaux al Théâtre de la Place des Martyrs (regia Hélène Theunissen); nel 2003 le scene per La giostra d’Amore all’Opéra Studio de la Monnaie (regia Sybille Wilson) e recentemente scene e costumi per Marrakech di Paul Pourveur al Théâtre de la Place des Martyrs.

GRETA GOIRIS – costumi

Dopo avere studiato costume teatrale alla Académie Royale des Beaux-Arts di Anversa e scenografia allo Institute del Teatre di Barcellona, ha partecipato, in qualità di assistente di Santiago del Corral, alle produzioni del Koninklijke Vlaamse Schouwburg La signorina Giulia di Strindberg (David Amitin) e Freuds laaste droom (Franz Marijnen). Al Ro Theater è stata assistente di Niek Kortekaas per Pinocchio.
In seguito ha ideato costumi in diverse produzioni: per Johan Simons (Zuidelijk Toneel Hollandia) in coproduzione con Het Tonnelhuis De Leenane Trilogie; in coproduzione con il Kunsten Festival des Arts De Bacchanten da Euripide; per lo Schauspiel Staatstheater di Stoccarda Hannibal; per la Ruhr Triennale Sentimenti e Het Leven een droom (La vita è sogno di Calderón de la Barca); a Eindhoven Vrijdag e Riccardo III di Shekspeare; per il NTGent Ed Is Dead. Ha lavorato con Jacques Delcuvellerie in La grande imprécation devant les murs de la ville di T. Dorst, La madre di Brecht,
Andromaque di Racine, Le barbier de Séville di Beaumarchais , Rwanda 1994 (che ha ricevuto il Prix Océ nel 2000) e La scuola delle mogli di Molière; suoi i costumi di Anathème (Festival d’Avignon, 2005) e Il gabbiano di Dostoevskij (Théâtre National, 2007).
Tra i suoi lavori anche: Les acteurs de bonne foi di Marivaux e Les fourberies de Scapin di Molière (Mathias Simons); 1953 e Charlotte (Marc Liebens); Banda Azufaifo e Het huis der verborgen muziekjes II (Dick van der Harst e Het muziek Lod); Le plaisant voyage di A. de Rojas Villandrando; Liliom di Molnar (Jean-Louis Colinet); La Stellidaura vendicante di Francesco Provenzale (Théâtre de la Monnaie); Le partage de midi di Claudel, Nous les héros di Jean-Luc Lagarce, Des couteaux dans les poules di David Harrower (Philippe Sireuil); Tieste da Seneca, La nuit des rois da Shakespeare, Il sentiero del serpente sulla roccia di T. Lindgren, Le rane da Aristofane (Nathalie Mauger). Tra le ultime produzioni: Re Lear di Shakespeare (Karin Beier, 2009), il Naso di Šostakovič (W. Kentridge, 2010), Ludwig II da L. Visconti (Ivo van Hove, 2011) e Agatha di M. Duras (Julie Va n d e n b e r g h , 2011).

JENNIFER TIPTON

Originaria dell’Ohio, è nota per il suo lavoro di lightning designer nella danza, nel teatro e nel teatro d’opera. Tra i suoi lavori più recenti: Three Dubious Memories, coreografia di Paul Taylor; Lo schiaccianoci, coreografia di Alexei Ratmansky per l’ American Ballet Theater; Lo zoo di vetro di T. Williams per il Mark Taper Forum; Vieux Carré
di T. Williams nella ripresa del Wooster Group; Il postino di Daniel Catán, con regia di Ron Daniels alla Los Angeles Opera; Aida di Verdi, con la regia di David McVicar alla Royal Opera House di Londra. Insegna illuminotecnica presso la Yale School of Drama.
Fra i numerosi premi che ha conseguito: il Dorothy e Lillian Gish per il suo contributo all’arte (2001) e il Jerome Robbins per il suo contributo alla danza (2003). Nel 2008 ha ricevuto riconoscimenti dalla United States Artist “Gracie” Fellow e dalla MacArthur Fellow.

CATHERINE MEYBURGH

“Film maker” sudafricana, ha collaborato fin dall’inizio con William Kentridge per le proiezioni nella Zauberflöte di Mozart (Théâtre de la Monnaie di Bruxelles, BAM di New York, Teatro San Carlo di Napoli, Johannesburg, Città del Capo, Festival d’Aix-en-Provence e infine la Scala). Inizia a lavorare con William Kentridge alla fine degli anni
Novanta realizzando proiezioni per il teatro di prosa e per quello d’opera: Il ritorno d’Ulisse in patria di Monteverdi, Ubu and the Truth Commission di Jane Taylor, Zeno at 4am di William Kentridge e, più recentemente, Il naso di Šostakovič (première al Metropolitan di New York, marzo 2010). Ha collaborato anche con Philip Miller e
Gerhard Marx per REwind: A Cantata for Voice, Tape and Testimony, musica di Philip Miller (New York, Londra, Johanneburg, Città del Capo)
È stata regista di numerosi documentari (Madiba, A Hero for All Seasons, Alan Paton’s Beloved Country e Kentridge and Dumas in Conversation); la sua ultraventennale attività di “film editor” annovera documentari, lavori per la televisione e lungometraggi (The Gugulethu Seven, Angola – Saudades from the One Who Loves You, Sophiatown,
The Glow of White Women, Yizo Yizo, Heartlines, Gugu and Andile, Portrait of a
Young Man Drowning…).
Ancora con William Kentridge ha collaborato ai ‘Soho animation films’ Stereoscope, Weighing and Wanting, Tide Table e altri film per mostre, tra cui le tre installazioni cinematografiche Breathe, Dissolve e Return, ‘multi projection works’; Black Box/Chamber Noire e Learning the Flute, gli otto film di I am not me, the horse is not mine e il ciclo di dodici film per l’installazione Carnets d’Égypte realizzata al Louvre di Parigi nel giugno 2010.

Dal programma di sala del Teatro alla Scala

La lavagna di Sarastro
(note di regia)

William Kentridge

Queste note su Die Zauberflöte sono state scritte a Bruxelles nell’aprile del 2005, alla fine di un anno di disegni e animazioni per la produzione, prima però dell’inizio delle prove. Una tappa intermedia nel lavoro.

Studiando il Flauto

Circa otto mesi fa, dopo che avevo iniziato a lavorare a questa produzione del Flauto magico, fui invitato a realizzare una mostra nel museo di una piccola cittadina. Il museo si trovava in una vecchia casa in legno e muratura, e una delle sale – un refettorio di monaci – aveva le pareti interamente ricoperte di pannelli di legno e dipinti, che non si potevano toccare. Decisi di fare una proiezione in questa sala, usando come schermo una lavagna nera, indipendente dal resto della sala, per vedere se si poteva usare come schermo di proiezione una superficie nera invece della consueta superficie bianca. Avevo ormai dovuto cominciare a pensare al Flauto magico, e decisi di usare la lavagna come una sorta di quaderno di schizzi per la mia nuova produzione, per verificare se poteva nascere un linguaggio visivo particolare. La lavagna richiedeva essenzialmente linee bianche che potessero risaltare sulla sua superficie.
Ci sono due possibilità per disegnare linee bianche. Una consiste nell’usare gesso su carta nera. L’altra nel tracciare una linea nera su carta bianca e poi invertire l’immagine su una pellicola, usando il negativo del disegno, rendendo bianche le linee nere e nera la carta bianca.
Questa è la soluzione che ho scelto, principalmente perché avevo a disposizione una più ampia gamma di tratti e per la maggiore facilità nel disegno, piuttosto che per considerazioni sul significato che poteva assumere il disegno in negativo. Stavo esplorando il mondo delle immagini massoniche, degli dèi e dei miti egizi; guardavo anche alle macchine teatrali del barocco, per trovare una sorta di “vocabolario” specifico per la mia produzione. Montai dunque questi disegni e queste sequenze animate realizzando una versione dell’ouverture dell’opera, e la proiettai nel refettorio dei monaci su una vecchia lavagna scolastica. Alcune delle immagini di questo esperimento, “studiando il Flauto”, sono rimaste nella produzione definitiva (ad esempio il metronomo massonico con l’occhio di Max Ernst).
La scoperta principale fu però la primigenia metafora fotografica. La comprensione del fatto che il modo stesso di lavorare, di fare disegni in negativo, aveva una connessione con la struttura complessiva dell’opera e con i suoi temi. La specificità delle immagini mostrate era meno significativa delle associazioni portate in primo piano dalla loro forma (il positivo e il negativo).
Tutto questo lavoro e queste considerazioni sono sfociati nella produzione in due modi, entrambi significativi. In primo luogo la grande metafora del positivo e del negativo, che nell’opera delinea il conflitto fra la Regina della Notte e il grande sacerdote della luce, Sarastro. I riferimenti presenti nel corso di tutta l’opera alla trasformazione del buio in luce, alla luce del sole che scaccia la notte, diventavano una conferma di qualcosa che era stato scoperto piuttosto che di un’idea perseguita.
In secondo luogo, quando cominciai a seguire questa scoperta, mi accorsi che gran parte dell’opera sembrava adattarvisi. Papageno e Tamino nella cripta del tempio di Sarastro sono letteralmente nella camera oscura – la camera oscura intesa sia come luogo in cui si sviluppano le fotografie e si testano i materiali sensibili alla luce, sia come parte dell’apparecchio fotografico fra la lente e l’oculare.

Prospettiva barocca

Molto più tardi, quando ormai avevo già realizzato numerosi disegni, mi resi conto che l’occhio disincarnato è una delle immagini chiave del mondo massonico. Un occhio privo di viso, un occhio posto dietro il mirino.

La moltiplicazione delle implicazioni

Nella produzione teatrale userò videoproiezioni, come ho già fatto in precedenza negli spettacoli che ho realizzato con la Handspring Puppet Company, dove abbiamo lavorato con pupazzi e proiezioni, o pupazzi e cantanti dal vivo e proiezioni. Questa era la forma prevista all’inizio del progetto; ma la speranza, generata dalla metafora fotografica, è che la forma stessa delle proiezioni animate trovi una relazione, si colleghi con il significato dell’opera: alla fine
dell’opera siamo nel tempio del sole, e il teatro è inondato di luce pura; in termini cinematografici siamo alla fine del film, quando l’ultima immagine è passata attraverso l’uscita del proiettore e tutto ciò che resta è la luce della lampada del proiettore stesso, cioè nulla – la nostra unica speranza nel cinema è di dare un senso all’interazione di ombra e luce – la platonica chiarezza e certezza di guardare il sole è la fine della verità e del significato più che non la sua nascita. [Questo è solo un pensiero estemporaneo, non un’interpretazione di ciò che vedremo in scena, ma sono consapevole
delle connessioni che ci sono fra tutta la musica che fa riferimento alla luce e al buio e i proiettori posti dietro e di fronte alla scena. Entra però qui in gioco anche la nostra reazione agli insegnamenti di Sarastro: gli anni trascorsi da quando Mozart scrisse quest’opera ci hanno resi più diffidenti rispetto ai filosofi tiranni; la trasmissione forzata della saggezza ha avuto conseguenze indesiderate ma disastrose nel corso degli anni, non solo nel periodo del terrore di Robespierre, cioè negli anni immediatamente seguenti la composizione dell’opera, ma in tutto il periodo coloniale, e nel corso di tutto il nostro secolo. Per quanto possiamo fidarci della guida benevola di Sarastro, alla fine abbiamo più fiducia in Mozart, nel suo mix di razionalità, fantasia e contraddittorietà.]

La camera oscura
Siamo nel ventre dell’apparecchio fotografico: la scena vuota è lo spazio di lavoro per il sistema ottico della macchina, dove il mondo tridimensionale è ricreato su scala ridotta, in forma bidimensionale. La tradizione barocca dei fondali piatti, sistemati in prospettiva dal proscenio al fondo del palcoscenico, mi richiamava alla mente il soffietto di una vecchia macchina fotografica, ma mi ricordava anche lo schiacciamento dei piani che si produce quando si guarda con un binocolo: una sorta di prospettiva quantica, con la profondità data da una successione di superfici piane. Abbiamo dunque ora una combinazione di elementi: la fotografia, la fotocamera, il positivo e il negativo, un riferimento al cinema, e la struttura del teatro barocco, la tipologia di teatro e di scenografia che fu probabilmente quella delle prime produzioni di quest’opera. Sulla base di queste considerazioni Schinkel e le sue famose scene divennero un elemento del nostro progetto.
Le diverse tele dipinte diventano i diversi piani per le proiezioni. Il progetto scenografico che ho elaborato per questa produzione con Sabine Theunissen ha cercato di lasciare spazio a queste associazioni e a questi stimoli affinché potessero emergere e chiarirsi.

Che cosa indossa il fotografo elegante

La metafora e l’immagine stessa dell’apparecchio fotografico aprono l’orizzonte a diverse scelte nella messa in scena e nei costumi. Dobbiamo spostarci dal XIX al XVIII secolo: il Settecento, ovviamente, è solo uno dei tempi dell’opera, che sono almeno tre: il tempo in cui l’opera fu composta (Vienna, 1791), il tempo in cui è ambientata, un non meglio specificato passato egizio, e il tempo di questa nostra produzione (Bruxelles, 2005), non in senso teorico o astratto, ma
nel modo reale in cui lo sperimentiamo noi come pubblico, consapevoli dell’epoca in cui Mozart e Schikaneder scrissero l’opera, con la possibilità di entrare e uscire dal mondo rappresentato nello spettacolo, e consapevoli del nostro essere in teatro nel momento presente.
Il XIX secolo (alcuni costumi sono del 1894, alcuni di pochi anni prima) era presente nella metafora stessa della fotografia. Ma ancora una volta la fotografia suggeriva ulteriori immagini e approcci che creavano particolari relazioni con parti dell’opera.

Circoli culturali maschili

I sacerdoti, ad esempio, non diventano né astratti né specifici sacerdoti di un immaginario antico Egitto; non massoni del Settecento ma membri di una società di studi esclusivamente maschile, una “Royal Geographic Society”; e la Regina della Notte e le tre damigelle non sono esattamente delle suffragette, ma certamente percepiscono la loro esclusione da questa società.
Queste scoperte, la scena come macchina fotografica, il mondo fotografico di positivo e negativo, forniscono un’ampia cornice all’interno della quale collocare ogni personaggio, ogni scena.

Note: dopo due settimane di prove

Disegnare la scena

Il lavoro preliminare sui disegni e le animazioni per la Zauberflöte si è svolto nel mio studio di Johannesburg ed è stato sperimentato con un modello della scena e sagome di legno. Un buon modo per lavorare con il video. Una delle molte questioni rimaste senza risposta era però come trovare una buona relazione fra i cantanti “vivi” e i disegni proiettati. Con il modello ciò non era possibile. Le proiezioni non devono essere solo uno sfondo, ma neppure rendere i cantanti invisibili, ed è importante che l’interprete in scena e la proiezione non siano in contrasto fra loro. Ci sono alcuni principi generali che sono emersi: i cantanti non guardano lo schermo, e l’immagine sullo schermo è ciò che noi immaginiamo che i personaggi stiano vedendo o pensando.
Un movimento del cantante che cerchi di sincronizzarsi perfettamente con il movimento delle proiezioni di fatto lo “disconnette”. Tutto prende vita invece se i cantanti guidano l’immagine, come se la stessero creando, come se le stelle della Regina della Notte fossero chiamate in vita proprio da lei: sulla scena questo significa che lei deve disegnare delle linee non alla velocità alla quale esse appaiono sullo schermo, ma più velocemente, prima dell’immagine, in modo propositivo.
Quando questo meccanismo funziona, si ha una sensazione di attività, di potere, di creazione.
Credo che questa sia una chiave anche per altre sequenze. Mi rendo conto ora che ci sono molte sequenze di disegno: Papageno prende i suoi uccelli disegnandoli sulle proiezioni, i sacerdoti disegnano un’architettura idealizzata. (La lavagna delle proiezioni nel refettorio dei monaci era sempre presente nella produzione, principalmente come veicolo per i tre geni, ma anche perché ho scoperto che le lavagne erano parte importante nei rituali iniziatici degli apprendisti massoni.) Ciò di cui non mi ero reso conto fino a queste settimane di prova era come il disegno quale immagine di
azione o di invocazione dell’azione potesse assumere un ruolo in questa produzione. Una relazione che spero crescerà, dal momento che si collega all’altro grande tema dell’opera: la creazione o almeno la crescita dei personaggi attraverso l’esperienza e il tempo, il loro costruire sé stessi. I rituali di Tamino sono una rappresentazione schematica di tutto questo, ma le prove di Pamina sono il vero cuore dell’opera. Le sue prove – un rapimento, quasi una violenza carnale, un innamorato che tace, una madre che prova a trasformarla in un’assassina – sono prove che, più che ammirare,
ci troviamo a vivere. C’è un parallelismo fra l’insegnamento centrale dell’Illuminismo – che non siamo sostanzialmente definiti, che creiamo noi stessi attraverso l’esperienza – e la costruzione di senso nel processo del disegno.

Note: due settimane prima della prima rappresentazione

Il peso della mano di Sarastro

La forma di ogni scena è ormai definita. Ma ci sono ancora questioni di dettaglio all’interno di ogni scena che possono modificare il senso dell’intero spettacolo.
Sarastro pone la sua mano sulla spalla di Pamina. Per rassicurarla, per trattenerla, per allontanarla da Tamino. Quanto a lungo e quanto saldamente questa mano dovrà essere posta sulla spalla della fanciulla? La distanza fra una mano rassicurante e una mano predatoria è questione di un secondo, può dipendere dalla minima resistenza esercitata da parte della spalla di Pamina. Il compito nei giorni finali di prova è quello di valutare quale durata, quale pressione possa esprimere al meglio tutte le ambiguità di questo rapporto nell’opera: controllo, generosità, insensibilità,
benevolenza e autorità.
L’abbraccio di Tamino e Pamina: in che momento dell’opera essi possono toccarsi, qual è la natura del contatto? Ecco i possibili momenti:

1) Il primo incontro, quando Monostato conduce Tamino da Sarastro e Pamina. Il movimento che avvicina i due innamorati è interrotto da Monostato.

2) Il terzetto dopo il coro dei sacerdoti – qui Sarastro si interpone fra loro. In questo trio si genera un intero mondo di disperazione, che precede e deve giustificare retrospettivamente il tentato suicidio di Pamina. E questo è generato o perduto dalla precisa scelta di tempo di ‘chi guarda chi’ in quale sezione del terzetto, e da chi si volta in quale momento.

3) L’incontro alle porte dell’Inferno – il dramma si gioca negli ultimi 4 o 5 centimetri posti fra loro e nella pressione generata dalla distanza.

4) Il coro finale.

La più ampia questione della meta delle prove di Tamino e Pamina intese come un viaggio verso la saggezza per raggiungere gli iniziati di Sarastro, oppure come un viaggio per far nascere e consolidare l’amore, non è espressa da una messinscena grandiosa, ma ancora una volta dipende da centimetri e da secondi: quanto vicini sono Tamino e Pamina, quanto vicino è Sarastro. E dalla lunghezza dell’abito di Pamina nell’Allegro finale.

Ringraziamenti

Per tutti i disegni si ringraziano la Goodman Gallery, Johannesburg, e la Marian Goodman Gallery,
New York.
Il regista ringrazia Michael Nupen per le conversazioni avute con lui a Johannesburg nei mesi di preparazione della produzione. Queste conversazioni e la corrispondenza successivamente intercorsa sono state alla base di molte idee o immagini usate nella produzione – e hanno rappresentato un grande piacere in sé stesse.

(Traduzione dall’inglese di Silvia Tuja)