Firenze

18 – 23 ottobre | Teatro della Pergola PRIMA NAZIONALE
(feriale ore 20:45, festivo ore 15:45)

Elledieffe – La Compagnia di Teatro di Luca De Filippo
QUESTI FANTASMI!
di Eduardo De Filippo
con Gianfelice Imparato, Carolina Rosi, Massimo De Matteo, Paola Fulciniti, Federica Altamura, Andrea Cioffi, Nicola Di Pinto, Viola Forestiero, Giovanni Allocca, Gianni Cannavacciuolo, Carmen Annibale
scene e luci Gianni Carluccio
costumi Francesca Livia Sartori
musiche Andrea Farri
ritratti Fabio Lovino
regia Marco Tullio Giordana
si ringrazia per il sostegno il Comune di Foggia

Durata: 2h e 10’, intervallo compreso.

Una grande eredità teatrale intatta nel tempo. A circa un anno dalla prematura scomparsa di Luca De Filippo, la Elledieffe, la compagnia teatrale che porta il nome del grande attore e regista, oggi diretta da Carolina Rosi, mette in scena con Gianfelice Imparato, in prima nazionale al Teatro della Pergola di Firenze dal 18 al 23 ottobre, il capolavoro eduardiano Questi fantasmi!, con la regia di Marco Tullio Giordana.
Una storia a tratti farsesca, che racconta la necessità di essere ciechi, di credere senza riserve a una realtà inverosimile, per tutelare se stessi e un ideale di famiglia minato al suo interno. Quinte, pareti, mobili, pavimento, è come fossero stati dilavati dal tempo, coperti da una polvere impalpabile. Uno spazio che tende al monocromatismo, che vuole evocare le immagini come se emergessero dalla memoria, labili e imprecisate come i fantasmi del titolo. Evidente il richiamo agli anni ‘40, ma completamente re-interpretati e quasi stilizzati.
“Si tratta di un debutto importante”, afferma Carolina Rosi, “sintesi di un lavoro che avvia percorsi artistici condivisi, e che continua, nel rigoroso segno di Luca, a rappresentare e proteggere l’immenso patrimonio culturale di una delle più antiche famiglie della tradizione teatrale italiana”.
Un nuovo attraversamento dell’opera di Eduardo dopo l’applaudito Non ti pago della scorsa stagione, l’ultimo titolo portato in scena da Luca De Filippo.

A settant’anni dalla sua prima rappresentazione, avvenuta il 7 gennaio 1946 al Teatro Eliseo di Roma, Questi fantasmi! di Eduardo arriva al Teatro della Pergola di Firenze in prima nazionale dal 18 al 23 ottobre nella messinscena della Compagnia di Teatro di Luca De Filippo, in un’edizione affidata a uno dei più rigorosi e autorevoli registi italiani, Marco Tullio Giordana.
“L’improvvisa scomparsa di Luca è stata crudele e destabilizzante. Ho dovuto imparare a guardare la vita da un altro lato. Reagire al dolore di una perdita, una ferita profonda che non smetterà mai di sanguinare, ripensare il presente, innanzitutto, e immaginare un futuro possibile, e non solo per me”, afferma Carolina Rosi, “ho cercato una direzione, imponendomi una lucidità necessaria. L’ho trovata nel ricordo vivo di Luca, nella sua tenace ostinazione, nel rispetto per la vita e per gli altri, nell’amore profondo verso la famiglia e verso i suoi compagni di palcoscenico. Un pensiero che mi conforta, che mi spinge ad affrontare con forza nuove sfide. A partire da quel prezioso scrigno di passione ed umanità che è la Elledieffe, la nostra Compagnia, di cui ho assunto la responsabilità della direzione. Ho affidato Questi fantasmi! a Marco Tullio Giordana perché sicura che ne avrebbe esaltato i valori ed i contenuti, che avrebbe abbracciato la Compagnia e diretto la messinscena con lo stesso amore con il quale cura ogni fotogramma”.
Nel cast di Questi fantasmi!, che unisce diverse generazioni di attori, ci sono Gianfelice Imparato, nel ruolo di Pasquale Lojacono, affiancato da Carolina Rosi (Maria, la moglie) e da Nicola Di Pinto, Massimo Di Matteo, Giovanni Allocca, Paola Fulciniti, Gianni Cannavacciuolo, fino ai giovanissimi Carmen Annibale, Federica Altamura, Andrea Cioffi, Viola Forestiero. La scenografia e le luci sono di Gianni Carluccio, i costumi di Francesca Livia Sartori, le musiche di Andrea Farri.
La commedia, scritta nel 1945, è la seconda, dopo Napoli Milionaria, a far parte della raccolta Cantata dei giorni dispari. Eduardo si ispirò probabilmente per la sua realizzazione a un episodio di cui fu protagonista suo padre, Eduardo Scarpetta. Racconta infatti quest’ultimo che la sua famiglia, in ristrettezze economiche, fu costretta a lasciare la propria abitazione da un giorno all’altro. Il padre riuscì a trovare in poco tempo una nuova sistemazione, all’apparenza eccezionale, in rapporto all’affitto ridottissimo da pagare. Dopo alcuni giorni si chiarì il mistero: la casa era frequentata da un impertinente “monaciello”, lo spiritello leggendario del folclore napoletano…
“L’attualità di Questi fantasmi! è per me addirittura sconcertante”, sottolinea il regista Marco Tullio Giordana, “emerge dal testo non solo la Napoli grandiosa e miserabile del dopoguerra, la vita grama, la presenza liberatrice/dominatrice degli Alleati, ma anche un sentimento che ritrovo intatto in questo tempo, un dolore che non ha mai abbandonato la città e insieme il suo controcanto gioioso, quello che Ungaretti chiamerebbe “l’allegria del naufragio”. Il tipo incarnato da Pasquale Lojacono – replicato nelle figure di Alfredo, di Gastone, del portiere Raffaele – con la sua inconcludenza, l’arte di arrangiarsi, la disinvoltura morale, l’opportunismo, i sogni ingenui e le meschinità, non è molto diverso dai connazionali d’oggi. La grandezza di Eduardo sta nel non ergersi a giudice, nel non sentirsi migliore di lui, di loro. Non condanna né assolve, semplicemente rappresenta quel mondo senza sconti e senza stizza. Il suo sguardo non teme la compassione, rifiuta la rigidità del moralista”.
La vicenda inizia con Pasquale Lojacono che si trasferisce con la giovane moglie Maria in un appartamento all’ultimo piano di un palazzo seicentesco (in via Tribunali 176). Maria non sa che il marito ha ottenuto il fitto gratuito per cinque anni di quell’enorme casa (18 camere e 68 balconi) in cambio del compito di sfatare la leggenda sulla presenza di spiriti nella casa. Il portiere Raffaele spiega al nuovo inquilino cosa dovrà fare per ottemperare al suo impegno contrattuale: per dimostrare che non ci sono fantasmi dovrà mostrarsi ogni giorno, due volte al giorno, fuori tutti i 68 balconi, mostrando serenità e allegria. A tal scopo dovrà anche cantare ad alta voce (inizierà con Lucean le stelle, continuerà con Ah l’ammore che fa fa)! Ascoltando però i racconti del portiere, della sorella di quest’ultimo e del “dirimpettaio” di casa, tal Professor Santanna, il nostro protagonista incomincia a credere all’esistenza degli spiriti; pertanto, quando s’imbatte in Alfredo, l’amante della moglie, lo scambia per un fantasma. La storia di Questi fantasmi! prosegue con Alfredo che fa pervenire sostanziosi aiuti economici alla famiglia Lojacono, aiuti che vengono interpretati da Pasquale come regali degli spiriti che l’avrebbero preso a ben volere! L’equivoco prosegue e il nostro protagonista è l’unico a non avvedersi di quello che sta realmente accadendo; dopo un’esilarante scena nella quale, per Pasquale, si consuma un litigio tra spiriti (in effetti i litiganti sono Alfredo, sua moglie, i suoi bambini e altri parenti), l’amante di Maria decide, apparentemente, di tornare in famiglia privando dei suoi regali il povero Pasquale. La storia si avvia alla conclusione: con un marchingegno Pasquale riesce a incontrare ancora Alfredo, chiedendogli un ulteriore e sostanzioso aiuto economico, spiegando allo “spirito” che i soldi gli servono per riconquistare la moglie di cui è perdutamente innamorato. Alfredo, commosso per la triste confessione, gli lascia un pacco di banconote e scompare dalla loro vita.
Questi fantasmi!, una delle prime commedie di Eduardo a essere rappresentata all’estero (nel 1955 a Parigi, al Théâtre de la Ville – Sarah Bernhardt), ha raccolto unanimi consensi in tutte le sue diverse edizioni: un successo assoluto ascrivibile allo straordinario meccanismo di un testo che, nel perfetto equilibrio tra comico e tragico, propone uno dei temi centrali della drammaturgia eduardiana: quello della vita messa fra parentesi, sostituita da un’immagine, da un travestimento, da una maschera imposta agli uomini dalle circostanze.
La Compagnia ringrazia il Comune di Foggia e il Teatro Pubblico Pugliese per aver concesso il Teatro Giordano per l’allestimento e il debutto in anteprima nazionale di Questi fantasmi!, che dopo le recite a Firenze sarà in scena al Teatro Manzoni di Pistoia dal 4 al 6 novembre e al Teatro Carignano di Torino dal 18 al 30 aprile.
Elledieffe – La Compagnia di Teatro di Luca De Filippo
nota di Carolina ROSI

L’improvvisa scomparsa di Luca è stata crudele e destabilizzante. Ho dovuto imparare a guardare la vita da un altro lato. Reagire al dolore di una perdita, una ferita profonda che non smetterà mai di sanguinare, ripensare il presente, innanzitutto, e immaginare un futuro possibile, e non solo per me. Tutto il mio mondo è saltato in un istante, negli affetti, a casa, nel lavoro. È umano, certo, e non esiste un addio che non sia struggente, ma perdere tutto così, all’improvviso, è qualcosa di indicibile.
Ho cercato una direzione, imponendomi una lucidità necessaria. L’ho trovata nel ricordo vivo di Luca, nella sua tenace ostinazione, nel rispetto per la vita e per gli altri, nell’amore profondo verso la famiglia e verso i suoi compagni di palcoscenico. Un pensiero che mi conforta, che mi spinge ad affrontare con forza nuove sfide. A partire da quel prezioso scrigno di passione ed umanità che è la Elledieffe, la nostra Compagnia, di cui ho assunto la responsabilità della direzione.
In questo terribile anno la Compagnia è restata unita, nella tournée di Non ti pago, l’ultimo titolo portato in scena da Luca e che viene ripreso anche nella nuova stagione teatrale, ma anche nell’intenso lavoro di progettazione e costruzione, di ciò che adesso ci apprestiamo a presentare. Iniziamo con il debutto di Questi fantasmi! di Eduardo, nella preziosa ed attenta regia di Marco Tullio Giordana, al quale ho affidato questo testo perché sicura che ne avrebbe esaltato i valori ed i contenuti, che avrebbe abbracciato la compagnia e diretto la messinscena con lo stesso amore con il quale cura ogni fotogramma. Proseguiamo, pochi giorni dopo, con quello di Bordello di mare con città di Enzo Moscato affidato alla regia di Carlo Cerciello, di cui in seguito riprendiamo anche Scannasurice sempre di Moscato e, ancora, la nuova tournée di Daniela Marazita con Hai appena applaudito un criminale con cui si ripropongono temi, sull’esclusione ed il disagio, cari sia ad Eduardo che a Luca.
Continueremo l’attento e rigoroso lavoro sul repertorio eduardiano, così da non disperdere il patrimonio culturale rappresentato da una delle più antiche famiglie della tradizione teatrale italiana, anche avviando, nell’immediato futuro, collaborazioni e con altri registi ed attori, “maestri della scena”, con cui sentiamo di poter avere una completa condivisione di intenti.
È il caso, ad esempio, del progetto proposto dal NEST di Napoli sull’allestimento de Il sindaco del rione Sanità, che coprodurremo insieme al Teatro Stabile di Torino, con la regia di Mario Martone.
Allo stesso tempo dedicheremo spazio ed impegno produttivo a tanti altri progetti, trasformando in lavoro una passione e una curiosità condivisa con Luca verso la drammaturgia contemporanea, in modo particolare verso quella napoletana, espressa da più generazioni di autori e scrittori.
Non è semplice, ma niente è semplice.

Questi fantasmi!
nota di Marco Tullio GIORDANA

La prematura scomparsa di Luca De Filippo è stata per tutti quelli che lo amavano uno shock. A me reso ancor più insopportabile dal fatto che la nostra amicizia era appena nata, ancora verde, e non aveva potuto maturare ancora i suoi frutti. Per questo quando Carolina Rosi, la sua battagliera compagna in teatro come nella vita, mi ha chiesto di continuare i progetti che stavamo accarezzando, ho aderito con entusiasmo.
Per me, più che raccogliere un’eredità, si tratta di continuare il lavoro che Luca ha svolto sul repertorio di Eduardo, un lavoro che definirei di precisione filologica e contemporaneamente di continuo aggiornamento. Questo non ha significato per Luca l’asserzione di un unico paradigma né lo sbarramento di altre strade (tant’è vero che le commedie di Eduardo sono sempre state a disposizione anche di altre compagnie), ma per lui, che l’aveva “nel sangue”, il mondo di Eduardo non poteva che rispettare le intenzioni dell’Autore, intenzioni di cui era stato addirittura testimone. Non potrò ovviamente fare la stessa cosa, ma per quel che mi sarà possibile intendo rimanere fedele al suo esempio. D’altronde Il manoscritto originale di Questi fantasmi!, datato 1945, dà indicazioni dettagliatissime.
Assieme a Gianni Carluccio – che oltre alle scene cura le luci dello spettacolo – abbiamo inteso riprodurre l’ambiente e gli arredi descritti in modo così puntiglioso. Tuttavia non si tratta di una scena realistica (anche se non mancano i panni stesi e l’evocazione del palazzo “dello Spagnuolo”). Quinte, pareti, mobili, pavimento, è come fossero stati dilavati dal tempo, coperti da una polvere impalpabile. Uno spazio che tende al monocromatismo, che vuole evocare le immagini come se emergessero dalla memoria, labili e imprecisate come i fantasmi del titolo. In teatro, molto più che nel cinema, ci si può liberare dagli obblighi realistici addirittura nei materiali. Arredi e fondali possono esser costruiti con qualunque cosa o dipinti in modo da renderli simili a illusioni. È un vantaggio di cui cerco di approfittare il più possibile ogni volta che affronto un testo teatrale, anche nella scelta dei costumi, qui disegnati da Francesca Livia Sartori, altra mia fedele collaboratrice, con evidente richiamo agli anni ‘40, ma completamente re-interpretati e quasi stilizzati – soprattutto nella scelta dei tessuti.
Eduardo è uno dei nostri grandi monumenti del ‘900, conosciuto e rappresentato, insieme a Pirandello, nei teatri di tutto il mondo. Grandezza che non è sbiadita col tempo, non vale solo come testimone di un’epoca. Al contrario l’attualità di un testo come Questi fantasmi! è per me addirittura sconcertante. Emerge dal testo non solo la Napoli grandiosa e miserabile del dopoguerra, la vita grama, la presenza liberatrice/dominatrice degli Alleati, ma anche un sentimento che ritrovo intatto in questo tempo, un dolore che non ha mai abbandonato la città e insieme il suo controcanto gioioso, quello che Ungaretti chiamerebbe “l’allegria del naufragio”. Il tipo incarnato da Pasquale Lojacono – replicato nelle figure di Alfredo, di Gastone, del portiere Raffaele – con la sua inconcludenza, l’arte di arrangiarsi, la disinvoltura morale, l’opportunismo, i sogni ingenui e le meschinità, non è molto diverso dai connazionali d’oggi. La grandezza di Eduardo sta nel non ergersi a giudice, nel non sentirsi migliore di lui, di loro. Non condanna né assolve, semplicemente rappresenta quel mondo senza sconti e senza stizza. Il suo sguardo non teme la compassione, rifiuta la rigidità del moralista. Sembra anzi identificarsi in Pasquale, riconoscersi perlomeno nelle sue qualità di visionario sognatore che non si arrende mai, nemmeno quando gli altri vedono in lui solo un fallito.
Altrimenti perché Maria starebbe con lui, perché non l’ha già lasciato? Per tornaconto, per vigliaccheria? E se avesse invece visto in lui qualcosa di commovente? Se ne avesse colto la voglia di vivere, di cacciare la testa fuori dall’acqua? La sua disperata vitalità?

domenica 11 settembre, ore 18.15


San Miniato al Monte, Firenze

Fondazione Teatro della Toscana
con il contributo del Comune di Firenze
in collaborazione con Fondazione Fabrizio De André Onlus e Radio Popolare Network
media partner Controradio
CENTO ANNI DI SPOON RIVER
Le parole di Edgar Lee Masters, la musica di Fabrizio De André
leggono le poesie Marco Baliani, Iaia Forte, Gabriele Lavia, Maurizio Lombardi, Giulia Weber
interpretano le canzoni Mauro Ermanno Giovanardi, Petra Magoni & Ferruccio Spinetti, Morgan, Peppe Servillo
suonano gli intermezzi Trio Amadei, Markus Stockhausen, Orchestra della Toscana (ORT) diretta da Saverio Lanza
un evento dell’Estate Fiorentina 2016

Domenica 11 settembre, all’interno del complesso di San Miniato al Monte di Firenze, il ricordo dei cento anni della pubblicazione della versione completa dell’Antologia di Spoon River.
Cento anni di Spoon River è un incontro tra teatro e musica che vede, a partire dalle ore 18.15, una lettura itinerante delle liriche di Edgar Lee Masters nel cimitero monumentale delle Porte Sante, con Marco Baliani, Iaia Forte, Gabriele Lavia, Maurizio Lombardi, Giulia Weber. Alle ore 20.45, poi, Mauro Ermanno Giovanardi, Petra Magoni & Ferruccio Spinetti, Morgan, Peppe Servillo, insieme a Trio Amadei, Markus Stockhausen, Orchestra della Toscana (ORT), daranno voce a Non al denaro non all’amore né al cielo, l’album di Fabrizio De André del 1971 ispirato all’Antologia.
Una produzione Fondazione Teatro della Toscana, con il contributo del Comune di Firenze, in collaborazione con Fondazione Fabrizio De André Onlus e Radio Popolare Network. Media partner Controradio. Un evento dell’Estate Fiorentina 2016.

Il penultimo dei grandi progetti dell’Estate Fiorentina 2016 è un omaggio ai cento anni della celebre Antologia di Spoon River, la raccolta di poesie del poeta statunitense Edgar Lee Masters che ispirò il cantautore Fabrizio De André che, con la collaborazione di Giuseppe Bentivoglio e Nicola Piovani, rielaborò i testi di 9 poesie, scrisse le musiche e le raccolse nel 1971 nell’album Non al denaro non all’amore né al cielo.
Domenica 11 settembre Cento anni di Spoon River va in scena al cimitero delle Porte Sante e all’Abbazia di San Miniato al Monte di Firenze. Una serata che viaggia sul duplice binario della letteratura e della musica. Si comincia alle ore 18.15 con la lettura itinerante, tra i vialetti del cimitero monumentale delle Porte Sante, che ospita le tombe di Collodi, Ottone Rosai, Vasco Pratolini, Spadolini, di alcune liriche nella traduzione dell’Antologia di Fernanda Pivano, con Marco Baliani, Iaia Forte, Gabriele Lavia, Maurizio Lombardi, Giulia Weber; dalle ore 20.45, poi, sul sagrato della basilica di San Miniato al Monte, ci sarà il concerto, con Mauro Ermanno Giovanardi, Petra Magoni & Ferruccio Spinetti, Morgan, Peppe Servillo, insieme a Trio Amadei, Markus Stockhausen, Orchestra della Toscana (ORT) diretta da Saverio Lanza.
Una produzione Fondazione Teatro della Toscana, con il contributo del Comune di Firenze, in collaborazione con Fondazione Fabrizio De André Onlus e Radio Popolare Network. Media partner Controradio. Un evento dell’Estate Fiorentina 2016.
“Firenze celebra i cento anni dalla pubblicazione definitiva di uno dei capolavori della letteratura mondiale del ‘900 attraverso le parole di Edgar Lee Masters e le musiche di uno straordinario cantautore-poeta come Fabrizio De André – ha detto il curatore dell’Estate Fiorentina Tommaso Sacchi –. Il cimitero delle Porte Sante è il luogo naturale in cui raccontare le vite umane del microcosmo immaginario di Spoon River: un dialogo alternato tra musica e parole. Uno spaccato di umanità varia affidato a cinque grandi musicisti e a cinque grandi attori del nostro Paese. Un ringraziamento speciale va a Dori Ghezzi e a Padre Bernardo senza la ostinata passione dei quali il progetto non sarebbe stato possibile”.
“Ringrazio di cuore tutti gli artisti che hanno aderito all’evento con passione ed entusiasmo – ha detto la presidente della Fondazione Fabrizio De André onlus Dori Ghezzi –. Allo stesso tempo non posso non ricordare la passione, l’entusiasmo e, soprattutto, il coraggio di Fernanda Pivano, senza la quale non avremmo molto probabilmente conosciuto né le parole di Masters né quelle di Fabrizio perché, come tutti sappiamo, fu lei a tradurre i versi del poeta americano e a farli conoscere in Italia durante il Fascismo, quindi a far sì che Fabrizio, insieme a Giuseppe Bentivoglio e a Nicola Piovani, scrivessero poi Non al denaro non all’amore né al cielo. Questa iniziativa, fortemente voluta dal Comune di Firenze, è una nuova occasione per ringraziarla e rendere omaggio alla sua sensibilità e intelligenza”.
“Questa celebrazione di Spoon River è per la Fondazione Teatro della Toscana non solo l’occasione di collaborare attivamente con il Comune alla valorizzazione di un bene straordinario della città – ha detto il direttore generale della Fondazione Teatro della Toscana Marco Giorgetti –, ma anche il momento di inaugurazione delle attività della stagione 2016/2017, che si annuncia ricca di appuntamenti. Un bel connubio tra musica e teatro che siamo particolarmente lieti di orchestrare”.

Martedì 24 – mercoledì 25 maggio, ore 20:45

 

C.I.C.T. / Théâtre des Bouffes du Nord in coproduzione con The Grotowski Institute; PARCO Co. Ltd / Tokyo; Les Théâtres de la Ville de Luxembourg; Young Vic Theatre; Singapore Repertory Theatre; Théâtre de Liège; C.I.R.T., Attiki Cultural Society and Cercle des Partenaires des Bouffes du Nord BATTLEFIELD basato sul Mahābhārata e lo spettacolo scritto da Jean-Claude Carrière adattato e diretto da Peter Brook e Marie-Hélène Estienne musica Toshi Tsuchitori luci Philippe Vialatte costumi Oria Puppo con Carole Karemera, Jared McNeill, Ery Nzaramba e Sean O’Callaghan musicista Toshi Tsuchitori Spettacolo in inglese con sopratitoli adattamento e traduzione a cura di Luca Delgado

Durata: 1h e 10’, atto unico.

Martedì 24 e mercoledì 25 maggio va in scena alla Pergola il grande teatro internazionale. A distanza di trent’anni dal suo Mahābhārata, opera memorabile e monumentale, il maestro della scena Peter Brook torna con Battlefield al celebre poema epico indiano, uno dei testi fondamentali della religione induista. Con lo stesso scarno linguaggio del capolavoro dell’85 – niente scena, elementi e colori naturali – medesimo l’adattamento di Jean-Claude Carrière, rivisto con Marie-Hélène Estienne, solo 4 attori, Carole Karemera, Jared McNeill, Ery Nzaramba e Sean O’Callaghan, e un musicista, Toshi Tsuchitori, Battlefield racconta la guerra di sterminio nella famiglia dei Bharata tra i cinque fratelli Pandava e i cugini Kaurava. Yudishtira, il re dei Pandava, ne esce vincitore, ma guardando intorno la morte e la distruzione provocata, ammette la sua sconfitta. “In guerra una vittoria è una sconfitta – afferma Peter Brook – voglio raccontare la storia di Battlefield per far capire a Obama, Hollande, Putin e a tutti i presidenti cosa succede dopo la battaglia. Se tu sei un leader e sostieni una guerra devi sapere che farai milioni di morti, anche se vinci”. Uno spettacolo della Fondazione Teatro della Toscana nell’ambito di Fabbrica Europa 2016. Il Mahābhārata è il più ampio poema epico non solo dell’India, ma di tutta la letteratura mondiale. La sua messa in scena nel 1985 (circa nove ore) lasciò senza fiato, per semplicità e profondità, il pubblico del Festival di Avignone. Oggi Peter Brook con Battlefield trova la possibilità di far rivivere sul palcoscenico quelle stesse fascinazioni in un atto unico di poco più di un’ora, che arriva alla Pergola in esclusiva regionale martedì 24 e mercoledì 25 maggio. Una storia di violenza e rimorso che interroga il nostro tempo e riflette i conflitti che straziano il mondo. Una guerra di sterminio che si consuma tra fazioni della stessa famiglia, i Bharata, per una storia universale che ci insegna ancora, inaspettatamente, ad aprire gli occhi di fronte alla realtà. “Gli Indiani dicono – annota Peter Brook – che ogni cosa è contenuta nel Mahābhārata, e se non è nel Mahābhārata non esiste. Questo grande poema epico di migliaia di anni fa è cresciuto negli anni assimilando le più importanti idee cosmiche e metafisiche, accanto alle cose più semplici della vita di tutti i giorni. La terribile descrizione della guerra che si consuma nella famiglia dei Bharata, con “dieci milioni di morti”, può far pensare a Hiroshima o alla Siria oggi”. Londinese, classe 1925, due figli (uno regista, l’altra attrice) Brook ha segnato la storia degli ultimi decenni con storici spettacoli che vanno da Shakespeare a Weiss (il leggendario Marat / Sade), da Oliver Sacks a Beckett, ma è stato anche autore di importanti saggi (in particolare sui suoi rapporti con un altro maestro, Jerzy Grotowski) e regista cinematografico (Il signore delle mosche del 1963). Quando più di trent’anni fa, dopo l’esperienza del teatro africano, decise di affrontare il Mahābhārata (che sarebbe divenuto poi anche un film ridotto da nove a tre ore e a cui avrebbe partecipato, come unico attore italiano, Vittorio Mezzogiorno), lui aveva forse una visione meno pessimistica del futuro. Adesso, a 91 anni, rimasto vedovo (sua moglie era l’attrice Natasha Parry), pare cogliere il tempo in maniera diversa. “Nessuna nostalgia — chiarisce – se ho deciso di riproporlo è perché ce n’è bisogno”. Dunque, Battlefield è un grande affresco sull’esistenza umana dove ritroviamo espressi, in modo moderno e incalzante, i quesiti della nostra vita attraverso il racconto della grande guerra fratricida che dilania la famiglia Bharata. Da una parte sono schierati cinque fratelli, i Pandava, dall’altra i loro cugini, i Kaurava, i cento figli del re cieco Dhritarashtra. Entrambi usano terribili armi di distruzione. Alla fine del conflitto prevalgono i Pandava, il più anziano dei quali, Yudishtira, deve salire al trono con il peso di una vittoria macchiata dalla distruzione. Il re Dhritarashtra, che ha perso tutti i suoi figli, e il nuovo re, suo nipote Yudishtira, condividono lo stesso bruciante dolore. Infatti, sia Yudishtira che Dritarashtra, il vecchio re, preda dell’angoscia e del rimorso, si interrogano sulle azioni passate cercando di dipanare il bandolo delle proprie responsabilità. “Vogliamo parlare di quello che accade – spiega Peter Brook – dopo la battaglia. In entrambi gli schieramenti, i leader attraversano un momento di profondo dubbio; chi vince afferma: “la vittoria è una sconfitta”; chi perde ammette: “avremmo potuto evitare questa guerra”. Nel Mahābhārata alla fine i leader hanno la forza di porsi queste domande. Per questo la reale platea a cui ci rivolgiamo è composta da Obama, Hollande, Putin e da tutti i presidenti”. La ricchezza della lingua di questo testo epico senza tempo e i suoi racconti sempre sorprendenti, permettono quindi di trasferire al presente una storia che, seppur appartiene al passato, riflette al contempo gli aspri e durissimi conflitti del nostro presente. La grande lezione del regista inglese è quella di raccontare una carneficina con solo quattro attori Carole Karemera, Jared McNeill, Ery Nzaramba e Sean O’Callaghan (tre africani e un irlandese capaci, come dice il maestro, “di cuore e arte”) e un musicista, Toshi Tsuchitori, in uno spazio spoglio illuminato da una luce rossa che allude al sangue versato (le luci sono di Philippe Vialatte, i costumi di Oria Puppo). “Quando guardiamo i notiziari – precisa Peter Brook – siamo arrabbiati, disgustati, furiosi. Ma nel teatro ognuno può vivere attraverso tutto questo e uscire più sicuro, coraggioso e fiducioso nel poter affrontare la vita. Per me il teatro è la possibilità di vivere, per un’ora o due, in un luogo di raccoglimento insieme al pubblico, un’esperienza condivisa affinché ognuno possa sentirsi rigenerato dai propri pensieri”. TOURNÉE: 29 – 30 maggio 2016: Teatro Storchi / Modena / Italia 03 – 05 giugno 2016: Printemps des Comédiens / Montpellier / Francia 09 –12 giugno 2016: Teatros del Canal / Madrid / Spagna 28 settembre – 09 ottobre 2016: Brooklyn Academy of Music / New York / USA 25 – 29 ottobre 2016: Atelier Théâtre Jean Vilar / Louvain-la-Neuve / Belgio 03 – 04 novembre 2016: Théâtre de Sartrouville / Francia 30 novembre – 2 dicembre 2016: Radiant-Bellevue / Caluire-et-Cuire / Francia 07 – 09 dicembre 2016: Théâtre de Villefranche / Francia 04 – 08 gennaio 2017: La Comédie de Clermont / Clermont-Ferrand / Francia 12 – 14 gennaio 2017: Les Théâtres de la Ville de Luxembourg / Lussemburgo 18 – 20 gennaio 2017: Comédie de l’Est / Colmar / Francia 28 febbraio – 2 marzo 2017: Théâtre de Nice / Francia 06 – 08 marzo 2017: Comédie de Saint-Etienne / Francia 26 – 30 giugno 2017: Théâtre des Nations / Mosca / Russia

23 – 24 febbraio, ore 20.45 PRIMA NAZIONALE fuori abbonamento

Fondazione Teatro della Toscana ed Emilia Romagna Teatro Fondazione presentano una produzione del Teatro Nazionale di Cluj-Napoca LIVADA DE VIŞINI (IL GIARDINO DEI CILIEGI) di Anton Čechov traduzione Maria Rotar drammaturgia Stefano Geraci con Ramona Dumitrean, Alexandra Tarce, Anca Hanu, Ionuț Caras, Sorin Leoveanu, Cristian Grosu, Cǎtǎlin Herlo, Irina Wintze, Radu Lǎrgeanu, Patricia Brad, Cornel Răileanu, Matei Rotaru, Miron Maxim musicisti Pusztai Renato Aladar, Albert Gábor Balázs scene e costumi Adrian Damian direzione tecnica Doru Bodrea luci Jenel Moldovan suono Marius Rusu assistenti luci Alexandru Corpodean, Mădălina Mânzat assistente scenografia Florin Călbăjos coordinatore numeri d’illusionismo Florin Suciu suggeritrice Ana Maria Moldovan foto di scena Nicu Cherciu assistenti alla regia Maria Rotar e Francesco Puleo regia Roberto Bacci Durata: 2h e 40’, intervallo compreso. Martedì 23 e mercoledì 24 febbraio una sorprendente ed emozionante prima nazionale al Teatro della Pergola in lingua romena con sovratitoli in italiano: Livada de vişini (Il giardino dei ciliegi) di Čechov nella messinscena del Teatro Nazionale di Cluj-Napoca (Romania), diretta da Roberto Bacci. Un’esperienza straordinaria che ridisegna la sala della Pergola e invita gli spettatori a infrangere la ‘quarta parete’ e condividere l’azione di una compagnia di attori coinvolgenti, la maggior parte dei quali pluripremiati nel loro Paese, con grandi capacita musicali e tempi comici perfetti, come prescrive lo stesso Čechov. Per precisa scelta registica si realizza così un vero dialogo con il pubblico in un grande ‘giardino’ di petali di ciliegio su una scena completamente bianca, che cambia stagione cambiando l’esistenza di chi lo abita. “Non c’è la villa, ci sono solo delle valige, i personaggi sono come in un eterno viaggio”, spiega Roberto Bacci, “si fermano, si illudono di possedere qualcosa, e poi la Storia li porta via.” Lo spettacolo sarà al Teatro Storchi di Modena il 27 e 28 febbraio. È singolare e sconvolgente la messinscena di Livada de vişini (Il giardino dei ciliegi) del Teatro Nazionale di Cluj-Napoca (Romania), diretta da Roberto Bacci al Teatro della Pergola in prima nazionale martedì 23 e mercoledì 24 febbraio. Lo spazio della scena si prolunga sulla platea con un grande ponte che porta verso l’ingresso del pubblico. Il palcoscenico, il ponte e le poltrone degli spettatori sono di un colore bianco abbagliante come i petali dei ciliegi in fiore. I soli elementi che gli attori portano con sé e che formano la scenografia sono le valigie con cui la famiglia arriva da Parigi all’inizio e con cui riparte alla fine. Tutto lo spazio del teatro, anche il foyer durante l’intervallo, è invaso e agito dagli straordinari attori romeni del Teatro Nazionale di Cluj-Napoca, fondato nel 1919, basato sul teatro di repertorio e che ha come mission quella di creare produzioni, fornire un quadro di riferimento per la ricerca nazionale e internazionale dell’arte della performance, e migliorare lo sviluppo culturale della Romania e della più ampia comunità europea. Lo spettacolo ha debuttato a Cluj-Napoca nel 2014 a celebrazione di un doppio evento: 110 anni dalla prima assoluta de Il giardino dei ciliegi, il 17 gennaio 1904 al Teatro d’Arte di Mosca, con la regia di Stanislavskij, e 110 anni dalla morte dell’autore, il 2 giugno del 1904. “Chi e quando ha piantato questi ciliegi?”, si domanda Roberto Bacci, “sono diventati uguali a un’opera d’arte e ce li possiamo immaginare come una distesa senza confini che, in ogni stagione, come un grande orologio naturale, cambia colore. L’uomo e la natura hanno lavorato, spalla a spalla, per anni e adesso il risultato è davanti ai nostri occhi. Ma il tempo della storia degli uomini ha fretta. Adesso si deve tagliare, distruggere, devono essere create le basi di una visione futura del mondo. Arriveranno i villeggianti e bisogna costruire, costruire, costruire. “L’opera d’arte” del nostro giardino dev’essere tradotta in soldi e il nostro futuro in presente. Ma non c’è tragedia in tutto questo, forse solo un po’ di nostalgia”. L’aristocratica Ljuba torna a casa dopo un periodo trascorso all’estero per rimettersi dalle sciagure che le hanno tolto il marito e il figlio; la sua proprietà è in pericolo a causa della sua maldestra amministrazione, ma lei non se ne rende conto. Con lei torna anche la figlia Anja, per la quale spasima lo studente Trofimov, già precettore del bambino defunto; a casa era rimasta invece Varja, figlia adottiva con la testa sulle spalle, conscia dei pericoli che incombono sulla casa, e che tutti danno per fidanzata con il mercante Lopachin, nonostante lui non si sia mai proposto. Questi, milionario, consiglia di costruire, nel giardino dei ciliegi, villini per i villeggianti, ma Ljuba e suo fratello Gajev non capiscono che il fallimento è alle porte, che presto ci sarà un’asta: Ljuba continua, al contrario, a sprecare soldi. Tutti vanno incoscienti incontro alla deriva, salvo Lopachin, che continua ad avvertirli, e Trofimov, idealista, che crede in un futuro migliore e ne parla con accenti profetici. “La famiglia che è bandita dal giardino per debiti”, prosegue il regista, “ci commuove e ci angoscia a causa della sua frivola inconsapevolezza, ma non siamo in grado di percepire il destino di questi esseri umani come un’ingiustizia, benché il loro giardino potesse essere il nostro. Anche i villeggianti che abiteranno le case che saranno costruite sulle rovine del giardino, quando verrà il loro turno, saranno cacciati. Vittime di un’economia tanto apparentemente anonima quanto crudele”. Seguendo lo spirito di Čechov, il dramma del testo è tradotto con una leggerezza, a volte comica, che sfocia nell’abbandono della grande casa e del grande giardino che sarà abbattuto dalle seghe elettriche. I personaggi sono già dei fantasmi quando entrano in scena. Persino Lopachin, il figlio del vecchio sovrintendente diventato oggi proprietario, diventerà da qui a poco un fantasma. “Il dottor Čechov osserva la vita del suo Giardino”, conclude Bacci, “con il microscopio dello scienziato, una vita proiettata sul vetrino illuminato dalla poesia dello scrittore e dalle luci del teatro, mentre ogni attore incarna il proprio personaggio nello stesso modo in cui ognuno di noi sorride, piange, balla, ama… ognuno secondo il suo ruolo e la sua funzione in questa vita. E mentre Čechov osserva e scrive, noi ci riconosciamo in quella brigata di nostri simili accampati, con le loro valigie, aspettando che il treno del futuro li porti soltanto un po’ più avanti”.

Dal 24 settembre 2015 al 24 gennaio 2016 Palazzo Strozzi a Firenze ospita Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana, un’eccezionale mostra dedicata alla riflessione sul rapporto tra arte e sacro tra metà Ottocento e metà Novecento attraverso oltre cento opere di celebri artisti italiani, tra cui Domenico Morelli, Gaetano Previati, Felice Casorati, Gino Severini, Renato Guttuso, Lucio Fontana, Emilio Vedova, e internazionali come Vincent van Gogh, Jean-François Millet, Edvard Munch, Pablo Picasso, Max Ernst, Stanley Spencer, Georges Rouault, Henri Matisse.

Dalla pittura realista di Morelli all’informale di Vedova, dal Divisionismo di Previati al Simbolismo di Redon, fino all’Espressionismo di Munch o alle sperimentazioni del Futurismo, la mostra analizza e contestualizza un secolo di arte sacra moderna, sottolineando attualizzazioni, tendenze diverse e talvolta conflitti nel rapporto fra arte e sentimento del sacro. A cura di Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Ludovica Sebregondi e Carlo Sisi, l’esposizione nasce da una collaborazione della Fondazione Palazzo Strozzi con l’Ex Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, l’Arcidiocesi di Firenze e i Musei Vaticani e si inserisce nell’ambito delle manifestazioni organizzate in occasione del V Convegno Ecclesiale Nazionale, che si terrà a Firenze tra il 9 e il 13 novembre 2015, al quale interverrà anche papa Francesco. Grandi protagonisti della mostra sono capolavori come l’Angelus di Jean-François Millet, eccezionale prestito dal Museo d’Orsay di Parigi, opera che emana una religiosità atavica, un senso del sacro trasversale e universale; la Pietà di Vincent van Gogh dei Musei Vaticani, fondamentale perché – nonostante la vocazione religiosa e mistica – l’artista ha rappresentato raramente soggetti sacri, e lo ha fatto ispirandosi a opere di altri autori; la Crocifissione di Renato Guttuso delle collezioni della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, opera emblematica con un’intensa connotazione politica che esprime, come Guernica, un grido di dolore, la Crocifissione bianca di Marc Chagall, proveniente dal The Art Institute Museum di Chicago, l’opera d’arte più amata da papa Bergoglio. La mostra è promossa e organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi e l’Arcidiocesi di Firenze con la collaborazione dell’ Ex Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, Musei Vaticani e con il sostegno del Comune di Firenze, la Camera di Commercio di Firenze, l’Associazione Partners Palazzo Strozzi, la Regione Toscana. Con il contributo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze. Una nuova tournée di Riccardo Muti con la Cherubini Al via domenica 17 maggio dal Teatro Valli di Reggio Emilia, poi Brescia, Bergamo, Baku, Izmir e Bologna Il sempre più intenso e dinamico rapporto che lega Riccardo Muti ai giovani musicisti della Cherubini, l’orchestra che ha fondato nel 2004, è testimoniato da una nuova tournée, la terza nel giro di pochi mesi, che prende il via domenica 17 maggio al Valli di Reggio Emilia. Seguiranno i concerti al Festival di Brescia e Bergamo, poi il tour della Cherubini arriverà fino al cuore del continente euroasiatico, a Baku in Azerbaijan e Izmir in Turchia, per concludersi al Teatro Manzoni di Bologna. Riccardo Muti ha infatti ritagliato quest’anno una porzione importante della sua agenda internazionale alla guida delle orchestre più blasonate del mondo – è appena rientrato da un tour europeo dove ha diretto Berliner e Wiener, mentre a giugno tornerà sul podio della Chicago Symphony Orchestra – per dedicarsi a quella ‘scuola d’orchestra’ continua che caratterizza da dieci anni l’esperienza della Cherubini. Al termine di una intensa settimana di prove nella sede di Piacenza il concerto d’avvio si terrà dunque al Teatro Valli di Reggio Emilia: e già dalla prima composizione in programma si intravede l’incontro tra lo stile orchestrale di area germanica e la grande scuola operistica italiana, che pervade l’intera tournée. Si tratta infatti dell’Ouverture in do maggiore “in stile italiano” D 591 di Franz Schubert, composta nel 1817 sotto l’influsso dei capolavori di Rossini approdati in quegli anni a Vienna, e contrassegnata da quella freschezza melodica e da quella verve ritmica tipiche della musica rossiniana. Alla singolare, e spesso trascurata partitura schubertiana, sarà affiancata la scintillante ed euforica Sinfonia n. 35 in re maggiore K 385 “Haffner” di Mozart, composta nel 1782 inizialmente come serenata, forma di cui conserva il brio e lo smagliante colore orchestrale intrisi però della straordinaria maturità espressiva e stilistica mozartiana. A questa prima parte si contrapporrà, come si è detto, il genio operistico italiano: Giuseppe Verdi. E’ dai “Vespri siciliani” (1855) che Muti attingerà scegliendo di dirigerne la Sinfonia, pagina orchestrale di indiscutibile impatto emotivo, e “Les Saisons”, ovvero la musica per i balletti previsti nel corso del III atto – rispettando il gusto del pubblico francese presso il quale l’opera debuttò nel 1855. Quattro danze (originariamente coreografate da Jules Perrot) concepite insieme all’opera stessa della quale non interrompono il flusso drammatico e narrativo, ma che, pur essendo raramente eseguite in concerto, costituiscono un affresco narrativo che dai toni scuri e spigolosi dell’Inverno conduce al morbido valzer della Primavera per poi perdersi nell’ampio melodizzare dell’Estate fino al temporale che segna l’irrompere dell’Autunno. Ma come spesso accade sotto la direzione di Muti, l’interpretazione della partitura e la maestria tecnica spesso si fanno testimoni di significati e intenti che trascendono il semplice fatto musicale. Sarà così per i concerti che si terranno al Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo: in particolare quello del 19 maggio al Teatro Grande di Brescia, che sarà l’occasione per celebrare la beatificazione di Papa Paolo VI, Papa Montini, a cui la terra bresciana ha dato i natali (per la precisione il suo paese d’origine è Concesio, appunto in provincia di Brescia). In quella serata, come il giorno dopo, 20 maggio, al Teatro Donizetti di Bergamo, all’Orchestra Cherubini si unirà un virtuoso dell’archetto della statura e dell’esperienza di Rainer Küchl: da oltre quarant’anni primo violino della Filarmonica di Vienna, Küchl nello spirito della grande orchestra viennese non ha mai rinunciato alla carriera solistica e al repertorio cameristico, dando vita nel ’73 al Quartetto e, nell’’85, assumendo la direzione del Wiener Ring-Ensemble, ed esibendosi con successo nei contesti più prestigiosi del panorama internazionale. In questa occasione a Rainer Küchl sarà affidata l’interpretazione del Concerto per violino e orchestra n. 7 in re maggiore K 271a di Mozart, una partitura del 1777, il cui manoscritto originale è andato perduto e che probabilmente ci è giunta “ritoccata” dai solisti di scuola francese che lo praticarono nel secolo successivo, ma che tuttavia sprigiona una eleganza e una brillantezza, nonché un equilibrio dialogante tra solista e orchestra degni del suo autore. Nei concerti di Reggio Emilia, Brescia e Bergamo, alla Cherubini si affiancheranno, in un gemellaggio musicale che spesso caratterizza gli appuntamenti dell’orchestra fondata da Riccardo Muti, alcuni giovani musicisti della Filarmonica del Festival di Brescia e Bergamo. Dopo il concerto di Bergamo l’Orchestra e il suo direttore varcano i confini nazionali per approdare a Baku, capitale dell’Azerbaijan, e prendere parte ad un altro importante Festival, l’International Mstislav Rostropovich Festival che quest’anno, nella città natale del grande violoncellista, giunge alla sua ottava edizione. Saranno due i concerti che la Cherubini terrà presso l’Heyder Eliyev Sarayi: il 23 maggio tornando ad eseguire il programma riservato all’Ouverture di Schubert, alla “Haffner” di Mozart e alle pagine dai “Vespri siciliani” Verdi; il 24 maggio, invece, proponendo la lirica intensità della giovanile Quarta Sinfonia in do minore “Tragica” di Schubert e il pathos ardente e drammatico della Quinta Sinfonia in mi minore di Pëtr Il’ič Čajkovskij. Un paio di giorni e la tournée proseguirà a Izmir, ovvero nell’antica Smirne, in Turchia, ancora nel contesto di una prestigiosa rassegna come è il Festival Internazionale di Izmir (che segna quest’anno la sua 29° edizione): il 26 maggio, all’Auditorium Saygun l’Orchestra tornerà a proporre le musiche con cui si è aperto il ciclo. Così come avverrà nell’ultimo concerto, al Teatro Manzoni nell’ambito del Bologna Festival, il 28 maggio, in una serata che, di nuovo, assumerà un significato particolare perché organizzata a favore dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) di cui quest’anno ricorre il 50° dalla fondazione. orchestracherubini.it

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